Mori: «Il blitz di via Montenevoso e il giallo del memoriale di Moro»

Di Chiara Rizzo
22 Dicembre 2011
Il generale Mario Mori racconta come i carabinieri hanno scoperto il famoso memoriale di Moro e perché se ne sono fatti sfuggire una parte

[internal_video style=”height: 233px; width: 347px; float: left; margin-right: 10px; margin-top: 5px;” vid=24339]In un’intervista a Tempi, il generale Mario Mori racconta il blitz di Montenevoso e il giallo del famoso “memoriale Moro”.

Generale Mori, parliamo degli inizi della sua carriera. 16 marzo 1978. è il giorno in cui viene rapito Aldo Moro in via Fani a Roma e lo stesso in cui lei arriva a Roma nella sezione Anticrimine guidata dal Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Cosa ricorda di Dalla Chiesa e dell’attività di contrasto alle Br?
«Ci sarebbero davvero così tante cose da ricordare, anche sul carattere di quest’uomo! Io avevo già lavorato con Dalla Chiesa prima, e proprio quel giorno tornai di nuovo a lavorare con lui, al comando della sezione Anticrimine. Per quanto riguarda il metodo di lavoro, penso che l’episodio significativo che possa sintetizzare tante cose sia il blitz di via Montenevoso a Milano, nell’ottobre del ’78, anche se non vi ho partecipato personalmente. Tutto è cominciato davvero per un colpo di fortuna: nella mia carriera ho imparato che anche questa è una componente importante. Il ritrovamento su un autobus di un borsello, che apparteneva al brigatista rosso Lauro Azzolini e che dentro conteneva la chiave di un appartamento. Individuammo una certa zona di Milano e poi provammo la chiave finché non trovammo l’appartamento giusto. Sa quante altre volte negli anni mi è capitato di dover battere interi quartieri, palmo a palmo, per individuare la toppa giusta di una chiave? E tutte le volte, maledicendo dentro di me quella chiave! L’appartamento giusto era quello di via Montenevoso e iniziammo il servizio di osservazione da un palazzo di fronte (l’osservazione, insieme al controllo, al pedinamento e alla conoscenza di tutta la cultura del'”nemico” è stato uno dei punti centrali delle investigazioni di Dalla Chiesa. Nel suo libro, Mori ricorda che il generale Dalla Chiesa, ad esempio, «pretendeva che imparassimo il vocabolario delle Brigate rosse, studiando i loro volantini, perché era convinto che la conoscenza del nemico, della sua mentalità e del suo linguaggio ci avrebbe aiutato a prevenirne le mosse», ndr)».

E poi, cosa successe?
«Scoprimmo che nell’appartamento vivevano altri due brigatisti, Franco Bonisoli e Nadia Mantovani. Non intervenimmo subito perché volevamo vedere se il filo, rappresentato da Azzolini, poteva condurci anche ad altro. E così individuammo altri tre covi delle Br. Poi arrivò l’ordine di irruzione e nel covo di via Montenevoso catturammo i tre terroristi e scoprimmo le famose carte di Moro».

Ma proprio il blitz di via Montenevoso, generale, è un episodio controverso. Nel 1990, infatti, un semplice muratore facendo dei lavori di ristrutturazione nell’appartamento, ritrovò dietro un tramezzo il memoriale completo di Moro. Come avete fatto, voi carabinieri, a farvi sfuggire quello che poi ha ritrovato un muratore?
«La spiegazione è semplice. Quando perquisimmo l’appartamento, battendo sui muri, non sentimmo il rumore di vuoto lì dove c’era il tramezzo, perché i brigatisti lo avevano, furbamente, riempito di materiale pressato, per cui quel buco nella parete risultava “pieno”. Fu solo abbattendo interi muri, che poi saltò fuori nel 1990».

Ancora un altro mistero circonda però quell’episodio. Nel 2000, il colonnello Umberto Bonaventura, che aveva coordinato il blitz, dichiara di essersi fatto consegnare le carte di Moro ritrovate dal Capitano Roberto Arlati, che materialmente aveva eseguito l’irruzione, di averle fotocopiate e poi riconsegnate. E nel 2004 Arlati raccontò che invece quando le carte gli vennero riconsegnate dopo le fotocopie, erano meno di quelle uscite dal covo.
«No, non è così. Bonaventura fece fotocopiare il memoriale ritrovato per consegnarlo immediatamente a Dalla Chiesa, che a sua volta lo consegnò al Ministero dell’Interno. Ma non abbiamo fatto sparire nulla. Rifletta: se avessimo voluto occultare qualcosa, quando poi ci fu il ritrovamento del 1990, sarebbe venuti fuori quali erano i passaggi scottanti del memoriale nascosto, no? E invece quel memoriale integrale non conteneva ulteriori passaggi scottanti. Nessuna censura».

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