Il caro vecchio plutonio. I cattivoni barbuti che minacciano di far saltare il pianeta. Doppiogiochisti, qualche bella figliola. Inseguimenti a piedi, in macchina, in elicottero, un corso accelerato di arrampicata a mani nude sulle montagne del Kashmir, pestaggi vari (tra cui uno, violentissimo, nel bagno di una discoteca parigina).
Christopher McQuarrie, già al timone del precedente episodio e di Jack Reacher e Edge of Tomorrow sempre con Cruise, attinge a tutto il repertorio del cinema alla 007, con tutte le inverosimiglianze del caso ma lo fa con grande classe e dirigendo o facendo dirigere ai suoi assistenti sequenze di grande impatto visivo. Basterebbe la sequenza sugli elicotteri per convincersi che questo ultimo Mission: Impossible è uno dei migliori della serie.
La sceneggiatura, che non è mai la cosa più interessante per film di questo genere, è un po’ cervellotica e inutilmente complicata: del resto McQuarrie, salito alla ribalta più di vent’anni fa scrivendo I soliti sospetti, se la gioca da anni su meccanismi a scatole cinesi e anche Fallout non è da meno con una quantità di personaggi che non sono quello che dicono.
Nulla è come sembra, l’identità è relativa e la maschera da indossare intesa anche come vero ruolo da recitare, è il tema portante di un film che in più momenti strizza l’occhio al cinema. Così Hunt non è quello che è (forse), i suoi sodali sono dei tipi imprevedibili e c’è Henry Cavill, ambiguo personaggio chiave, picchiatore come pochi. Insomma, ci si diverte, al di là di sin troppi colpi di scena.