Meriam ha partorito la piccola Maya: «Una buona notizia dentro una prova durissima»

Di Redazione
27 Maggio 2014
La donna, in prigione da febbraio con il figlio di 20 mesi, sarà visitata dal marito. Intanto gli avvocati pensano ad appellarsi alla Corte Suprema

sudan-meriam-islam-waniMeriam Ibrahim, la sudanese cristiana di 27 anni condannata all’impiccagione per essersi rifiutata di abiurare la fede cristiana, ha partorito in carcere. «È una bambina», hanno dichiarato i suoi legali al Telegraph. «Questa è una buona notizia dentro la prova terribile di Meriam. Ho in programma di visitarla con il marito Daniel entro oggi. Penso che chiameranno la bimba Maya», ha aggiunto l’avvocato, Mohaned Mustafa Elnour, intervistato dal Daily Mail.

DAVANTI ALLA CORTE SUPREMA. La donna è detenuta con i piedi legati da febbraio insieme al figlio Martin di 20 mesi, ma la pena di morte non è ancora stata eseguita: secondo la legge coranica il bambino in grembo deve essere preservato, mentre Meriam dovrà pagare con la vita il “tradimento” dell’islam due anni dopo il parto per consentire l’allattamento della figlia.
Giovedì scorso la difesa della donna ha presentato un ricorso alla corte d’appello di Bahri e Sharq Al Nil e se il tentativo fallirà gli avvocati, che rischiano a loro volta la vita, hanno già pensato a nuove strade, fra cui la presentazione del caso alla Corte Suprema del Sudan e alla Corte Costituzionale.

«RIBALTATE LA SENTENZA». Il governo sudanese è stato condannato dai media internazionali, ma il caso riguarda direttamente anche Washington, dato che Meriam è sposata con Daniel Wani, cittadino degli Stati Uniti. Chris Smith, presidente della commissione del Congresso americano che sovraintende i rapporti con l’Africa, settimana scorsa aveva esortato «gli Stati Uniti e tutta la comunità internazionale» a «pretendere che il Sudan ribalti immediatamente la sentenza». Smith aveva poi aggiunto che «la volontà ferma della signora Ibrahim di affermare la sua libertà religiosa, anche di fronte alla morte, è un segno di grande forza e di un coraggio non comuni».

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4 commenti

  1. Ale

    Continuate a scrivere ma esiste una petizione da firmare per chiedere la liberazione di questa donna.. Mi auguro che l’abbiate fatto tutti per un aiuto concreto invece di fiumi di parole, utili ma non alla poveretta.

  2. eva

    Il problema è che questi paesi sono teocrazie cioè non si basano su leggi democratiche ma su leggi basate sulla morale religiosa che per definizione ragiona in modo dogmatico e sul confronto e compromesso tra principi diversi. Poi è chiaro che se per tempi lunghi la popolazione viene plasmata sulla morale e non sul buon senso, magari anche povera e ignorante questo tipo di principi assoluti diventano consuetudine consolidata. Al punto che on nome di Dio si può fare qualsiasi tipo di violenza.

  3. Joao

    Ma secondo me tutta sta vicenda e’ legata solo ed esclusivamente a suo marito: cittadino Americano. Se il marito fosse stato del Burkina Faso a quest’ora (forse) era gia’ libera. Io sto lavorando in Africa (sono stato anche in Sud Sudan) e vi posso dire che certe cose che da noi sarebbero considerate assurde (questa e’ una) qua sono acettate dalla maggioranza della popolazione come normali. Per esempio un mio college Sudanese, mi ha raccontato che un suo vicino ha comprato una delle sue mogli (la poligamia e’ molto diffusa), ha pagato circa 20 vacche (la dote), poi la donna una volta si era rifiutata di cucinare e lui l’ha presa a cazzotti (non schiaffi) mandandola all’ospedale. Tutto questo con l’approvazione della famiglia della donna (!!!). Ora, ma di cosa ci stupiamo ?? Ecco perche’, quando rientro in Italia e incontro gente (sinistroidi rifondaioli) che mi riempiono di cavolate tipo “quanto sono belle le civilta’ africane”, “quanta cultura che hanno”, “come dovremmo imparare da loro”, bhe gli sputerei in unocchio. Saluti

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