E adesso vediamo se, come promesso, davvero «dopo l’8 dicembre cambia tutto». Intanto, nel giro di pochi mesi il “Rottamatore” ha portato a compimento una missione (quasi) impossibile. Ha straripato nelle roccaforti rosse dove non più di un anno fa aveva trionfato Bersani. Ha polverizzato l’ultimo pallido erede del fu Partito comunista italiano.
Matteo Renzi è un vincente dall’aura irresistibile. Un leader autentico. E all’opposto di Grillo, spirito furioso e giocatore col fuoco, ha il vantaggio di rappresentare una novità positiva, schietta, ragionevole. Decisionista nel terminare il vecchio apparato consortile. Sfrontato quanto basta a far presentire al popolo della sinistra un destino politico maggioritario, non solo per “vocazione” ma, finalmente, per trionfo alle urne. Insomma, un bel carisma fiorentino che ha imparato, messo da parte ed è sul vivo di praticare l’arte di un innominabile Cavaliere.
Così a Matteo Renzi adesso tocca di governare. E per adesso (anche alla luce del delirio golpista del genovese) provando a governare la stabilizzazione di Letta. Ma può farlo senza “fare cose”? E può il Quirinale continuare ad assicurare che le polemiche sono «dannate», le «elezioni sono lontane», se non succedono “cose”? È fatale: se il governo reale, cioè il Renzi-Letta-Napolitano, non troverà volontà ed energie per non farsi risucchiare nella palude dei rinvii e non vara entro gennaio almeno un paio di riforme che diano ossigeno e speranza alle famiglie italiane (comprese ovviamente la legge elettorale e una messa in fuori gioco del “partito delle procure”) a Renzi per primo converrà andare a votare. Sperando che, nel frattempo, l’Italia non finisca cappottata in un ’48.