Migranti. Mantovano: «Sul progetto Albania il governo non torna indietro»

Di Piero Vietti
16 Novembre 2024
Intervistato da Tempi al forum della Fondazione Iniziativa Europa a Stresa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ha parlato dello scontro con i giudici sui rimpatri e dei rischi della disinformazione con l'intelligenza artificiale: «Ma no a censure orwelliane»
Alfredo Mantovano
Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano (foto Ansa)

Il governo non ha nessuna intenzione di recedere rispetto al progetto Albania; non c’è nessun disorientamento dopo la decisione della Consulta sull’autonomia differenziata; le criticità sulla nomina di Raffaele Fitto alla vicepresidente dell’Unione europea «non riguardano soltanto il candidato italiano ma tutto l’insieme della Commissione, e penso che sarebbe molto importante che questo stallo venisse superato perché l’ultima cosa di cui ha bisogno adesso l’Ue è avere una condizione di fermo quando tante decisioni devono essere assunte».

Ospite dell’annuale forum organizzato a Stresa dalla Fondazione Iniziativa Europa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, ha parlato del tema del convegno – Governare il cambiamento: Umanesimo e Intelligenza Artificiale – ma non solo.

Mantovano: «Grazie a Dio la questione migranti non passa dai tribunali»

Intervistato da Tempi, Mantovano ha commentato la recente sospensione da parte del tribunale di Roma del provvedimento di convalida del trattenimento di alcuni migranti mandati in Albania rimettendo il tutto nelle mani della Corte di Giustizia: «La questione dei migranti in Italia grazie a Dio in larga parte non passa dalle aule giudiziarie: nell’anno in corso, rispetto allo stesso periodo dello scorso, siamo a meno due terzi di arrivi irregolari di migranti e meno un terzo rispetto al 2022. Siamo nel pieno svolgimento del decreto flussi triennale che farà entrare oltre 450.000 migranti regolari in Italia».

Il caso Albania si riferisce alla questione rimpatri, ha precisato il sottosegretario, che in collegamento da Palazzo Chigi ha detto di voler cercare «di evitare commenti, dico solo che su larga parte dei media le decisioni del tribunale di Roma e altri uffici giudiziari, penso a Bologna, sono state presentate come decisioni obbligate dal diritto europeo. È una fake news: non c’è nessuna direttiva o norma che legittimi queste decisioni, c’è soltanto una pronuncia della Corte di giustizia dell’Ue che affronta un caso che con l’immigrazione come la conosciamo noi ha poco a che fare, riguarda un cittadino moldavo presente nella Repubblica Ceca».

Mantovano: «Aspettiamo la Cassazione»

Si tratta di una interpretazione particolare che non legittima le conseguenze tratte dal tribunale di Roma, ha spiegato il sottosegretario, perché non riguarda i criteri generali per cui un paese si può ritenere più o meno sicuro, ma la presenza di minoranze da tutelare in un determinato paese. La giurisprudenza della Corte di giustizia europea e della Cassazione non parla di questo: «Una recente sentenza della Cassazione sui “paesi sicuri” ha stabilito che il migrante che chiede l’asilo deve allegare le ragioni di possibile rischio soggettivo nel suo paese, e che il giudice deve fare un’indagine mirata su quella specifica condizione, non sulle condizioni generali del paese di origine, peraltro attingendo a fonti dubbie».

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La Cassazione si pronuncerà a breve sul caso primi dodici migranti portati in Albania, ha aggiunto Mantovano: «Non manca molto, attendiamo la decisione della Cassazione, che un mese fa si è pronunciata con un esito non esattamente sovrapponibile a quello dei tribunali di Roma e Bologna. Da parte del governo non c’è nessuna intenzione di recedere rispetto al progetto Albania».

L’Ai minaccia l’informazione?

Interrogato sulla minaccia che le tecnologie basate sull’intelligenza artificiale lanciano all’informazione, incidendo sulla percezione della realtà e dunque sui processi decisionali dei cittadini, Mantovano ha risposto citando l’Isis, «che a maggio ha annunciato la realizzazione del primo notiziario interamente fatto con intelligenza artificiale: questo fa capire la facilità che il gruppo terroristico islamista avrà di inondare il web di materiale propagandistico. Il problema è serio, dato che internet è il primo bacino di recrutamento dei gruppi estremisti, soprattutto tra i più giovani. Il discorso non riguarda solo l’estremismo jihadista: alcuni stati mettono in campo operazioni che alterano la percezione soprattutto di noi cittadini occidentali sulle questioni politiche».

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Mantovano fa riferimento alla nota operazione di disinformazione russa che dal 2022 ha sfruttato una rete di bot automatizzati per moltiplicare contenuti filo-Cremlino sulle principali piattaforme social. «C’è però anche un lato positivo: le tecnologie di Ai offrono strumenti di contrasto a queste minacce: la capacità in modo più facile profili falsi e individuare contenuti scritti, audio e video illeciti».

I pericoli della disinformazione secondo Mantovano

Bilanciare l’esigenza di difendersi da questo tipo di minacce tutelando la libertà d’espressione è un punto ancora irrisolto: da una parte i social raccolgono contenuti generati da chiunque, a differenza dei media tradizionali, in cui i giornalisti sono tenuti a specifiche regole deontologiche; dall’altro ci sono questi attori stranieri che tentano di indebolire le nostre democrazie.

«Da quando sono a Palazzo Chigi», ha risposto sorridendo Mantovano, «dispongo di qualche strumento di informazione in più, e noto che sui media tradizionali non sempre vengono rispettate le regole deontologiche: pur non parlando quasi per nulla con i giornalisti mi trovo virgolettate sui giornali frasi che non ho mai pronunciato. Detto questo, la disinformazione è dannosa quando realizzata per obiettivi non politici, come aumentare i propri follower, diventa più grave quando condotta da attori che vogliono danneggiarci».

Gli algoritmi troppo “correct” sono un pericolo

Per venirne a capo bisogna intanto essere consapevoli dei limiti tecnici degli strumenti utilizzati per monitorare ciò che viene pubblicato online, ha spiegato Mantovano, facendo l’esempio dell’algoritmo di Facebook che per due settimane ha censurato ritenendola fake una foto vera di Donald Trump portato via dalle guardie del corpo subito dopo aver subito l’attentato in Pennsylvania: non riusciva a distinguerla da un’altra manipolata in cui si vedevano i bodyguard sorridere.

«Non dobbiamo dimenticare poi che gli algoritmi rilanciano l’inclinazione di chi li progetta: il software di intelligenza artificiale di Google Gemini generava immagini di militari nazisti di colore o donne asiatiche, per via della programmazione molto “correct”.

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Che cosa si intende per disinformazione

Il secondo aspetto da considerare è che le grandi realtà istituzionali mondiali di riferimento, manche quelle private no profit, hanno adottato una nozione di disinformazione sempre più ampia, che ricomprende certamente la diffusione di notizie false, ma anche di notizie ritenute fuorvianti e persino di notizie vere quando si ritiene che vengano pubblicate con l’intento di causare danno. Non solo: la piattaforma di riferimento dei factcheckers di tutto il mondo First Draft, oggi sostituita tra gli altri da Google, metteva in guardia dai rischi disinformativi della satira. Questa discrezionalità a cui i gestori delle piattaforme si conformano è notevole, e rappresenta un pericolo».

La Costituzione e la libertà d’espressione

Per muoversi senza sbagliare Mantovano indica nella Costituzione la prima bussola, «che tutelando la libertà di espressione le mette come unico limite l’ormai desueto “buon costume”. È una libertà fondamentale che non deve essere compressa se non in casi estremi, quando sono in pericolo i valori costituzionali più importanti: quando ci si trova di fronte a contenuti palesemente fake come l’imitazione di pagine web delle principali testate giornalistiche realizzate dalla campagna di disinformazione russa di cui parlavo prima, quando si integrano reati come il reclutamento a fini di terrorismo, quando sono diffusi account falsi o veri di cui è accertato il legame con agenti ostili che li utilizzano come proxy per lanciare campagne volte a inquinare la nostra informazione. Fuori da questi casi eclatanti dovrebbero essere il buon senso e il dibattito pubblico a decretare cosa è giusto e cosa non lo è lasciando il più aperto possibile il confronto tra opinioni».

Mantovano e il caso “Ultima cena”

Un conto, ha concluso il sottosegretario, è una finta pagina del sito di Eurosport che titola “I Giochi olimpici di Parigi saranno apertamente Lgbt”, un altro, «come purtroppo è avvenuto, è definire disinformativi i post che hanno sollevato dubbi su alcuni aspetti organizzativi dei Giochi o che affermavano come la cerimonia di apertura delle Olimpiadi avesse rappresentato in forma opinabile L’Ultima Cena. Se vogliamo utilizzare davvero la tecnologia per contrastare minacce reali dobbiamo scongiurare il rischio di censure che richiamano Orwell e che dovrebbero essere a noi estranee».

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