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Maledetto il giorno che l’ho impallinato. L’incredibile processo al “killer” del piccione meneghino

Chi ha ucciso il pennuto, gettando «cose in modo pericoloso»? Sul caso si sono già espressi 18 magistrati. Nonostante siano passati oltre 1700 giorni dal fattaccio, il caso non è ancora chiuso

Redazione
13/02/2015 - 16:01
Interni
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piccione-shutterstock_77405Da quasi cinque anni è in corso a Milano un processo per stabilire se il 6 giugno 2010 un avvocato di Milano abbia ucciso con crudeltà un animale, macchiandosi anche del reato di «getto pericoloso di cose». L’animale in questione è un piccione e per rendergli giustizia si sono già impegnati 18 magistrati, in una corsa contro il tempo per arrivare a sentenza definitiva entro giugno 2015, quando il reato cadrà in prescrizione.

IL “FATTACCIO”. Quel fatidico 6 giugno, racconta il Corriere della Sera, l’uomo di 50 anni si è affacciato alla finestra della sua villetta e con un fucile ad aria compressa ha abbattuto il volatile. Il piccione è caduto nel condominio di fianco e i vicini, secondo i quali l’uomo è un habitué del tiro al piccione, hanno chiamato i Carabinieri. Il verbale scritto a otto mani riferisce che l’avvocato avrebbe colpito l’uccello perché suo figlio si era ammalato ed era entrato in coma «a causa di uno di questi volatili».

PRIMI DUE GIUDIZI. Dopo la rimozione del povero animale deceduto, avvenuta attraverso un mezzo speciale del Comune, è scattata inevitabilmente la denuncia per i due gravissimi reati sopra indicati. La cosa gettata in modo pericoloso, solo per inciso, è il proiettile. L’uomo viene condannato dopo qualche mese con decreto penale a ottomila euro di multa, ma si ribella e chiede il rito abbreviato. Passano così due anni, fino a quando l’avvocato 50enne viene condannato il 6 marzo 2012 a un mese e 20 giorni di arresto con la condizionale.

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APPELLO-CASSAZIONE-APPELLO. L’avvocato non ci sta e ricorre in appello. I suoi legali elencano una serie di ragioni: nessuno ha visto chi ha sparato, nessuno sa se il piccione sia morto per un malore, un incidente o per il proiettile, i Carabinieri non hanno redatto un verbale accertandosi della morte del piccione. È vero, l’uomo ha confessato ma il suo avvocato non era presente, quindi l’ammissione di colpevolezza è «inutilizzabile».
Questi piccoli sofismi non riescono a fermare il treno in corso della giustizia e in appello la condanna viene confermata l’8 ottobre 2012. L’uomo però non si abbatte e ricorre in Cassazione. Dopo 16 mesi i cinque giudici della terza sezione penale con un documento di tre pagine zeppo di motivazioni condannano il 50enne per l’uccisione dell’uccello ma rimandano indietro la questione del «getto pericoloso di cose», perché non sufficientemente motivata.

1699 GIORNI DOPO. Il 30 gennaio 2015, 1699 giorni dopo la sparatoria, altri tre giudici (che insieme ai precedenti e all’accusa fanno un totale di 18 magistrati già impiegati nel processo) si interrogano sulla fine del povero piccione ingiustamente ucciso e studiano diverse possibilità: il getto pericoloso non è detto che sia il proiettile, potrebbe anche essere «il corpo stesso del piccione ferito e agonizzante precipitato tra le persone». Pericolosissimo: la condanna viene inevitabilmente confermata anche per il secondo reato.
Per evitare che cada in prescrizione, le motivazioni vengono depositate dopo soli 10 giorni, invece che 30. Siamo arrivati così al 10 febbraio ma il 7 giugno scatta la prescrizione. Ora l’avvocato sembra intenzionato a fare ancora ricorso in Cassazione, impiegando così altri sei magistrati. Disposti a tutto, pur di far trionfare la giustizia e vendicare la memoria del piccione.

Foto piccione da Shutterstock

Tags: animalicausagiudicimagistratiMilanopiccioneprocessotribunale
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