Ma che giustizia è questa che, in nome dell’astrazione, riduce in macerie la vita?

Di Luigi Amicone
01 Febbraio 2013
Risposta al lettore Pivetti che ieri ci ha raccontato le sue disavventure di imprenditore terremotato in Emilia. «Salvano i principi astratti, mentre le aziende chiudono e le persone deperiscono»

Caro Pivetti, nella sua lettera di “italiano che lavora” – e in quali condizioni “terremotate”! – sentiamo tutti la piaga e il coltello che gira e rigira: la distruzione di un benessere e l’insistere, al di là delle note difficoltà economiche e sociali, in questa distruzione in nome di astrazioni che pretendono chiamare “Giustizia”. Con il risultato di ciò che ci fa toccare lei nel dettaglio della sua esperienza personale. L’esperienza di un italiano che cercando semplicemente di lavorare e, quindi, di contribuire alla buona vita sua e della sua gente, trova davanti a sé muri di “burocrazia difensiva” che complicano e, sempre più spesso, addirittura impediscono, qualsivoglia azione di operosità e di bene.

Per esempio: io non so se la ditta Baraldi abbia un suo dirigente socialmente pericoloso, per cui, come ho letto ieri sul Corriere della Sera, ciò giustificherebbe l’atto prefettizio che ha bloccato i cantieri Baraldi oltre che in Emilia, anche al Policlinico di Milano. Però so che bloccare i cantieri per una pura e semplice “informativa” delle forze dell’ordine e non per un giudizio sentenziato da un tribunale, ricorrendo così a una misura di giustizia cautelativa definita “atipica” perfino dall’Espresso (che non è un giornale da dilettanti in fatto di giustizialismi), è un’azione che, nei fatti, si dimostra più ingiusta della ingiustizia (presunta) rappresentata da un singolo individuo “socialmente pericoloso”. Nel caso, un’opera importantissima per la vita del popolo, un ospedale, rischia di rimanere bloccata per anni a causa, appunto, di “un’informativa”. Perché accadono cose così?

Perché come i medici sono passati alla “medicina difensiva” per attenuare i rischi giudiziari (e la pratica medica perciò decade), così procede lo Stato: per per rappresentarsi in astratto efficiente e giusto, evitare l’impegno di un cambiamento (riforma) e radicalizzare il proprio inefficiente dominio (statalismo), lo Stato espande le sue leggi e l’azione degli amministratori delle leggi (i magistrati) in maniera abnorme. Per di più, sostenendo lo Stato che questa sua espansione (vedi moltiplicazione leggi anticorruzione e delle misure cautelative giudiziarie) risponde a necessità di maggiore giustizia.

Nei fatti, come si vede, succede l’opposto: vengono salvati i principi astratti, mentre le aziende chiudono e le persone in carne e ossa deperiscono.

Da cosa è sostenuta questa azione statalista all’insegna dell’espansione delle astrazioni e della distruzione di ogni elementare principio di buon senso e di buon vivere della vita delle persone e della società? È sostenuta dalla mentalità che ha fatto delle “denuncia” una religione e una professione (basta leggere anche da noi certi post) che in taluni casi si organizza in reti, giornali (e fa fare soldi e carriere). E da cosa dipende questa mentalità ormai largamente diffusa di ricerca ansiosa di capri espiatori e di imposizione violenta (violenta, perché strappa pezzi di realtà e ne assolutizza solo alcuni brandelli) di una “Giustizia” che evidentemente non c’è, che non si dimostra nel concreto, che non rende “più giusta” e, anzi, rende più appesantita, impotente e cattiva la vita? Giornali, tv, scuola, intellettuali. Di cosa si parla ogni giorno, senza ormai parlare più di niente che non sia negatività e distruzione, e richiamo morale senza morale?

Perciò avvertiamo benissimo che non soltanto le astrazioni permettono di giocare con le persone e con il loro desiderio di giustizia. Ma le astrazioni camminano sempre a braccetto con la violenza di quel potere cieco che diventa lo Stato, la politica, lo stesso giornalismo, la scuola, la cultura, quando tutti questi protagonisti e “maestri” di umanità, cittadinanza e comunità politica non siano illuminati da un agire che persegue una giustizia autentica. Una giustizia, cioè, fondata sulle evidenze di realtà e la simpatia per l’altro. Manca qualcosa? Sì, perché senza la misericordia – e “la natura delle misericordia è di non essere forzata” ci ricorda l’armato di senso religioso Shakespeare – non c’è giustizia. Ma c’è, dice Dante, il buco “de’ ciechi che si fan duci”. Una cecità, tendenzialmente tirannica, particolarmente visibile in questo momento italiano in cui ciascuno si ritiene  a posto, onesto, giusto.

@LuigiAmicone

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