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L’università di Manchester cancella le parole “madre” e “padre”

L'ateneo pubblica una "guida al linguaggio inclusivo" per evitare di discriminare anziani, neri, Lgbt, diabetici, trans e donne (purché non siano "mamme"). Il tramonto delle accademie del pensiero libero

Caterina Giojelli
13/03/2021 - 1:00
Esteri
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L’Università di Manchester elimina la parola “madre”. E “padre”. E anche “uomo”, “donna”, “anziano”, “diabetico”, “poliziotto”, “marito, moglie, fratello, sorella”. Arriva un momento in cui ci si dovrebbe chiedere se le università occidentali tramonteranno nel sarcasmo o nella tragedia: e quando un ateneo si dimette platealmente dalla sua vocazione storica di spazio di libera ricerca e libero pensiero per diventare l’asilo del progressismo prêt-à-penser, quel momento forse è arrivato.

La guida al linguaggio inclusivo

Il 10 marzo scorso, l’Università di Manchester pubblica una sua nuova ed enfatica “guida al linguaggio inclusivo”. A favorirne la pubblicazione – per «abbracciare e celebrare la differenza e il rispetto», «promuovere l’uguaglianza, la diversità e l’inclusione e fornire le stesse opportunità a tutti», «evitare pregiudizi, gergo o espressioni che escludono determinati gruppi in base a età, razza, etnia, disabilità, sesso o orientamento sessuale» – pare siano stati i docenti stessi: grazie ai loro feedback ,i professori Sarah Mohammad-Qureshi e Paul Marks-Jones del “team uguaglianza, diversità e inclusione”, hanno realizzato la magica guida a cui dovrà attenersi il corpo docente in ogni momento del suo lavoro, dallo scrivere una semplice mail a realizzare pubblicazioni a nome dell’ateneo.

Non si tratta di “mera consulenza linguistica”: la guida maschera dietro la parola “suggerimenti” la condanna di «una certa terminologia che potrebbe altrimenti essere interpretabile, al fine di mantenere la nostra presentazione coerente e i nostri messaggi chiari». Insomma, per evitare qualunque tipo di guai ogni tipo di responsabilità derivata dalle parole scelte dai propri docenti (trattati alla stregua di inurbani studenti del campus) e che potrebbero tradire pericolosi pregiudizi, l’istituzione fornisce un elenco di termini sostitutivi relativi alle categorie: età, disabilità, salute mentale, razza e etnia, sesso e identità di genere, orientamento sessuale, religione.

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Eliminati “anziani” e “diabetici”

Ebbene sì, anche il nostro caratterizzare qualcuno in base all’età tradisce i nostri pregiudizi inconsci: per questo invece di “anziani”, “vecchi”, “pensionati”, “giovani” bisogna utilizzare: over 65, over 75, teenager (tra i 13 e i 19 anni), giovani adulti (tra i 16 e i 24, c’è una lista e un termine per ogni coorte). Quanto alla disabilità, «noi non diciamo diabetici, portatori di handicap, persone che “soffrono di cancro”» eccetera, «non definiamo una persona o un gruppo in base alle disabilità o condizioni. Usiamo un linguaggio che si concentra sulle capacità, piuttosto che sui limiti. Usiamo termini come “persone disabili”, “persone che convivono col cancro”, “persone col diabete”…».

È inoltre vietato parlare di «malati di mente», insomma riferirsi a disturbi e instabilità come fossero una malattia e ai malati come vittime, bensì è necessario riferirsi a persone che convivono con «una condizione di salute metale», al massimo con «problemi di salute mentale».

Il problema delle minoranze bianche

Il capitolo razza ed etnia è un’assurda guida alle complicazioni cose semplici: si affrontano le criticità date dall’utilizzo dell’acronimo BAME (Black, Asian and Minority Ethnic) perché non aiuta ad apprezzare «l’unicità delle singole etnie» e perché certe volte viene utilizzato anche per parlare di minoranze di etnie “bianche” come «zingari, rom e irlandesi» che in molti invece ascrivono al “White British Group”. Morale, va usato solo quando è strettamente necessario ma con l’accortezza di «specificare il più possibile».

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“Black, Asian and White” (bianco al posto di caucasico) verranno usati solo quando si debba parlare di etnia in senso ampio, “Black African, Chinese, Indian , White British” in caso di etnia specifica.

La mamma diventa un “guardian”

Sesso e genere ripropongono un olocausto grammaticale e della logica: dopo il fervorino sull’evoluzione trans e gender fluid ecco l’immancabile codice per rimpiazzare i pronomi “he/him/his/she/her/hers” con un generico plurale “they/them/theirs”. E siccome l’università di Manchester è fiera di usare «termini neutri rispetto al genere, piuttosto che quelli che fanno distinzione di sesso», “uomini e donne” vengono sostituiti da “persone o individui”. “Marito e moglie” diventano “partner”. “Brother e sister” diventano “sibling”.

Per parlare di umanità si deve usare “humankind”, non “mankind” e per parlare di forza lavoro si deve usare “workforce”, mai “manpower”. Scompaiono “chairman”, “policeman”, “spokesman”. Soprattutto, scompaiono “madre e padre”. Diventano “genitori o tutori”, insomma “guardian”.

La religione Lgbt+

Alla voce “orientamento sessuale” si impone di citarlo sempre nei contesti “rilevanti”, come «iniziative di reclutamento progettate per aumentare le candidature di individui appartenenti a minoranze sessuali o di genere, ad esempio lesbiche, gay, bisessuali, transgender o qualsiasi altro orientamento Lgbt+ con cui una persona può identificarsi». E di fare attenzione al contesto “appropriato”: lo stesso termine potrebbe essere utilizzato in senso dispregiativo da individui appartenenti a “gruppi diversi”. La nuova religione dell’orientamento sessuale merita molto più spazio di quella “tradizionale”, giudicata come irrilevante, nel senso che non andrebbe mai citata. E che non si usi mai l’espressione “nome di battesimo” chiedendo o riferendosi al nome di qualcuno.

Questa la guida di una autorità accademica. Che getta un ponte verso il nulla, verso una conoscenza terrorizzata dall’offendere i membri delle caste favorite dall’ideologia della diversità. Che fa le pulci sulla specificazione delle etnie, dell’orientamento sessuale, fino all’ultimo pronome. Ma che davanti alla parola “madre” batte in ritirata e si rifugia nell’ambarabaciccicoccò gender. Proprio come nei migliori asili del nuovo Occidente. E buona “festa del guardian” a tutti.

Foto di Elyssa Fahndrich per Unsplash

Tags: Ideologia GendermanchesterOmofobiaPoliticamente Correttorazzismouniversità
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