L’Iran si riavvicina ai suoi Fratelli (ex coltelli) musulmani
Articolo tratto dal numero di febbraio 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
L’Iran messo alle strette dall’aggressività di Donald Trump ha bisogno di alleati: dove li troverà? Il primo che viene in mente è la Turchia, con la quale la Repubblica islamica ha sempre intrattenuto positive relazioni. Ma Trump pare avere concluso un affare con Recep Erdogan: semaforo verde all’occupazione turca della striscia di territorio siriano lungo il confine con la Turchia e nessuna ostilità nei riguardi dell’intervento turco in Libia dalla parte di al-Sarraj in cambio della neutralità di Ankara nel conflitto Usa-Iran culminato, fino ad ora, nell’uccisione del comandante in capo della Forza Al Qods Qasem Soleimani. Nel campo sunnita, a Teheran non resta che ripiegare su antichi amici fidati, coi quali i rapporti si erano raffreddati a causa della Primavera araba del 2011, ma con cui sarà inevitabile riannodarli di fronte a nemici comuni come gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita: la confraternita dei Fratelli musulmani.
Nel novembre scorso alcune testate hanno diffuso un documento del ministero delle Informazioni e della sicurezza nazionale iraniano che documentava un incontro riservato in Turchia fra esponenti egiziani in esilio dei Fratelli musulmani e alcuni dirigenti dei Guardiani della rivoluzione in rappresentanza di Soleimani, al quale Ankara non aveva concesso il visto. L’incontro aveva avuto luogo nell’aprile 2014, e aveva avuto come oggetto un’ipotesi di alleanza fra le due parti avanzata dai Fratelli musulmani da spendere nel contesto di due crisi regionali: nello Yemen, al fine di produrre un avvicinamento fra i ribelli Huthi sostenuti da Teheran e le tribù sunnite sostenitrici del partito al-Islah, la versione locale dei Fratelli musulmani; in Iraq, per arrestare l’ascesa dell’Isis attraverso una valorizzazione dei partiti islamici sunniti da parte del governo sciita filo-iraniano. Fuori dall’intesa sarebbero rimaste la Siria, dove entrambe le parti riconoscevano che non si poteva fare nulla per fermare il massacro che era divenuto il motivo di maggior attrito nella regione fra sostenitori della Confraternita e gruppi sciiti fiancheggiatori dell’Iran; e l’Egitto, dove gli epigoni di Hasan al-Banna (che fondò nel 1928 l’organizzazione al Cairo) non desideravano alcun sostegno iraniano perché, una volta rivelato, gli si sarebbe ritorto contro a livello propagandistico. L’incontro si era però concluso con un nulla di fatto, e non è noto se altri ne siano seguiti.
Fatto sta che il 1° maggio dell’anno scorso il ministro degli Esteri iraniano Javad Zarif ha condannato in una dichiarazione il rinnovato tentativo di Trump (ci aveva già provato nel 2017) di far inserire i Fratelli musulmani nella lista americana delle organizzazioni terroristiche. I Fratelli musulmani sono fuori legge e accusati di terrorismo in paesi come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma in alcuni Stati della regione nei parlamenti sono presenti partiti islamisti affini alla loro ideologia: Giordania, Iraq, Marocco, Turchia, Tunisia; negli ultimi tre paesi gli islamisti hanno portafogli ministeriali, e in Turchia in particolare sono al potere da diciotto anni.
La presidenza Morsi
In realtà i rapporti fra l’islam politico iraniano e la Confraternita risalgono a prima della rivoluzione del 1979 che vide salire al potere l’ayatollah Ruollah Khomeini. Negli anni Quaranta del secolo scorso lo stesso al-Banna incontrò a più riprese mullah iraniani interessati all’attivismo politico-religioso; negli anni Cinquanta fu la volta del fondatore del primo partito islamista iraniano, nonché gruppo armato, Navab Safavi, a incontrare di persona e mutuare le idee di Saiyyd Qutb, l’ideologo dei Fratelli musulmani considerato il padre intellettuale di tutti i movimenti jihadisti successivi e contemporanei. Khomeini in persona, visitato da esponenti dei Fratelli musulmani durante il suo esilio prima in Iraq e poi a Parigi negli anni Sessanta e Settanta, dichiarava la sua ammirazione per il pensiero di al-Banna e di Qutb; l’attuale guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, è stato uno dei più importanti traduttori in lingua farsi (persiano) delle opere di al-Banna e di Saiyyd Qutb.
L’ammirazione si è tradotta in fatti con la vittoria della rivoluzione nel ’79. Come scrivono Alexandre Del Valle e Emmanuel Razavi nel loro libro Le Projet che illustra le strategie di infiltrazione dei Fratelli musulmani in Francia e nel resto del mondo, «la teoria di Qutb della “sovranità assoluta di Dio” (Hakimiyya) ha influenzato non solo la Confraternita fino ai nostri giorni, ma anche l’ideologia dell’ayatollah Khomeini. (…) I Fratelli musulmani hanno anche ispirato il Consiglio dei Guardiani, che ricalca lo schema organizzativo dei Fratelli egiziani. D’altra parte nella sua costituzione Khomeini istituì, come preconizzava al-Banna, un sistema politico che si appoggia su milizie paramilitari come i Guardiani della Rivoluzione».
La massima prossimità fra Fratelli musulmani e Iran si è realizzata nella breve stagione della presidenza di Mohamed Morsi, che due mesi dopo essere stato eletto presidente dell’Egitto si recò in visita ufficiale a Tehran, mettendo fine a 33 anni di gelo diplomatico fra i due paesi. Alla fine del 2012 Qassem Soleimani visitò Il Cairo dove incontrò dirigenti dell’entourage di Morsi, mentre a Beirut il nuovo ambasciatore egiziano annunciava che sarebbero cambiati i rapporti fra il suo governo e il partito-milizia sciita Hezbollah, strettamente legato all’Iran. Il colpo di Stato militare del luglio 2013 che depose Morsi mise fine al paziente lavoro di tessitura di Soleimani, che lavorava a un’intesa iraniano-egiziana in funzione anti-israeliana.
Foto Ansa
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