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Licenziato (con un trucco) il «razzista e omofobo» Scruton. Ma lui non si arrende ai «censori»

Uno dei filosofi più importanti del mondo è caduto vittima di un trappolone mediatico studiato per farlo apparire un mostro. Ecco la sua versione

Pietro Piccinini
12/04/2019 - 3:30
Esteri
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Roger Scruton

Alla fine ce l’hanno fatta. I pretoriani del pensiero unico politicamente corretto sono riusciti a far passare per mostro uno dei filosofi viventi più importanti del mondo e hanno costretto un governo un po’ pavido a licenziarlo con infamia.

Come riporta il Guardian, mercoledì 10 aprile un portavoce del ministero dell’Edilizia abitativa britannico ha annunciato che Sir Roger Vernon Scruton è stato rimosso «con effetto immediato» dalla presidenza della commissione “Building Better, Building Beautiful”, «a seguito delle sue dichiarazioni inaccettabili».

Superfluo discutere qui dell’utilità o meno della commissione in questione, deputata a offrire al governo di Londra consigli per lo sviluppo armonico e il miglioramento architettonico dei centri urbani del paese. Sicuramente, comunque, se nel Regno Unito esiste un filosofo che ha i titoli per discutere di canoni estetici e di bellezza, questi è Roger Scruton. A rendere davvero clamorosa la notizia della cacciata di Scruton sono piuttosto le «dichiarazioni inaccettabili» che l’hanno motivata, non solo perché non c’entrano nulla con l’edilizia e l’architettura, ma anche perché sono frutto di una mezza (o anche intera) trappola mediatica.

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«CAPOLAVORO DI DISONESTÀ GIORNALISTICA»

Erano mesi che i laburisti e la stampa di sinistra chiedevano in tutti i modi il siluramento di Scruton, accusando questo punto di riferimento del pensiero conservatore di essere un islamofobo, omofobo e pure antisemita, come al solito sulla base di vecchie frasi estrapolate da contesti ormai dimenticati. A provocarne infine il licenziamento, però, è stata una intervista concessa a George Eaton del New Statesman pochi giorni fa, in cui il filosofo avrebbe detto che il termine “islamofobia” «è una parola propagandistica inventata dai Fratelli Musulmani allo scopo di impedire ogni discussione su una questione fondamentale»; che «chiunque pensi che in Ungheria non esista un impero di Soros non ha osservato bene i fatti»; e che «ogni singolo cinese è una specie di replica del prossimo, e questo fa molta paura».

Bene, chi ha voglia e tempo per approfondire può leggersi questo articolo di Douglas Murray dello Spectator (celebre settimanale britannico per cui scrive lo stesso Scruton), dove si spiega perché l’operazione del New Statesman è «un capolavoro di disonestà giornalistica». Qui sarà sufficiente citare un brano del commento di Dominic Green, sempre per lo Spectator.

«Mercoledì George Eaton, vicedirettore del New Statesman, ha modificato selettivamente alcune affermazioni di un’intervista per poter denunciare che Scruton aveva fatto dichiarazioni razziste sul popolo cinese e su George Soros e gli ebrei ungheresi, e che aveva espresso idee “islamofobiche” sugli immigrati in Europa. La conseguente furia twittarola ha gettato nel panico i ministri conservatori spingendoli a cacciare Scruton dalla
Building Better, Building Beautiful commission – nonostante Eaton sia stato poi obbligato a pubblicare le frasi di Scruton non ritoccate. […]

Successivamente Eaton ha postato sul suo profilo Instagram una foto di se stesso mentre sorseggia una bottiglia di champagne, con questa didascalia spaccona: “Quello che si prova quando si ottiene il licenziamento da consigliere del governo di un razzista e omofobo di destra come Roger Scruton”. Più tardi quella sera Eaton ha tolto la foto, forse dopo aver scoperto un senso della vergogna prima di allora a lui sconosciuto. Ma non aveva terminato la sua squallida esibizione. Non era soddisfatto del suo tentativo sleale di mettere a tacere Scruton, uno che per tutta la vita è stato difensore della libertà di espressione e che rischiava la vita dietro la Cortina di ferro quando ancora Eaton non era neanche nato. Eaton deve dare a tutti noi qualche lezione:

“Non esiste un contesto in cui è OK parlare di un ‘impero di Soros’ (un tropo antisemita). O parlare dei cinesi come repliche l’uno dell’altro (un tropo razzista). O parlare dell’islamofobia come una ‘parola propagandistica’, o di ‘tribù’ musulmane'”.

Sono i dictat di un ignorante politicamente corretto».

LA VERSIONE DEL CAVALIERE

Dal momento che Sir Scruton, oltre a essere un «razzista e omofobo» antipatico a un certo tipo di giornalisti, è anche dal 2016 un cavaliere di Sua Maestà per «servizi alla filosofia, all’istruzione e alla pubblica educazione», descritto dalla stessa casa reale britannica come un eroe che negli anni Settanta e Ottanta ha combattuto per la libertà e la democrazia nei paesi dell’Est Europa oppressi dal regime comunista sovietico, vale la pena di conoscere anche la sua versione dei fatti, messa nero su bianco ieri nel suo blog ospitato dal sito dello Spectator. Un post significativamente intitolato “Le mie scuse per aver pensato”.

Già l’incipit del pezzo restituisce adeguatamente il tenore della sua reazione alla vicenda:

«Recentemente ho dato un’intervista al New Statesman, presupponendo che, in quanto ex critico enologico della rivista, sarei stato trattato con rispetto, e che il giornalista, George Eaton, volesse davvero parlare della mia vita intellettuale. Non è la prima volta che sono costretto a riconoscere quanto sia sbagliato rivolgersi ai giovani di sinistra come se fossero esseri umani responsabili».

Quell’intervista, contesta il filosofo, non è altro che «un insieme di osservazioni decontestualizzate, alcune delle quali studiate appositamente per accusarmi di reati di opinione, e per convincere il governo che io non sono adatto a fare il presidente della commissione che mi è stata affidata».

L’IMPERO DI SOROS E DI ORBÁN

Scruton passa poi a recuperare il contesto in cui ha usato l’espressione “impero di Soros”, parlando davanti all’Accademia Ungherese. Non era con ogni evidenza un modo per infamare gli ebrei di Ungheria, come ha tentato di semplificare l’intervistatore. Al contrario il filosofo tentava di spiegare perché, in seguito alle persecuzioni subite da quella comunità a opera prima dei nazisti e poi dei sovietici, l’antisemitismo (che esiste ancora) è diventato un argomento talmente sensibile nel paese da rappresentare inevitabilmente un ostacolo rispetto a ogni tentativo di recuperare un’identità “nazionale” condivisa, compreso quello di Viktor Orbán, che Scruton dice di apprezzare (non è ancora un reato questo, no?).

«Col senno di poi», riconosce Scruton, «avrei potuto scegliere le parole più attentamente». Il riferimento è naturalmente all’espressione “Impero di Soros”, che riecheggia un certo complottismo. Ciò detto, anche sul conto del miliardario filantropo ebreo-ungherese, qualche precisazione Scruton ha il diritto di farla.

«Quanto all’Impero di Soros, io sono l’unica persona che conosco che ha davvero tentato di persuadere Viktor Orbán ad accettare la sua presenza, e in particolare quella della Central European University. Non mi è riuscito, ma questo è un altro problema. Devo aggiungere che non sono amico né nemico di Orbán, ma lo conosco dai giorni in cui aiutai lui e i suoi colleghi a mettere in piedi una libera università sotto i comunisti. Quello che fece allora Orbán fu il primo passo verso la liberazione del suo paese, e George Soros era tra quelli che lo aiutarono. È triste per l’Ungheria che i due abbiano litigato, e che dal loro scontro sia risorto il vecchio spettro dell’antisemitismo. Considerata l’aggressività delle due personalità, tuttavia, non sorprende affatto».

«CONFORMISMO UMILIANTE»

Nella sua replica, Scruton spiega anche con le dovute argomentazioni il significato della sua critica all’uso del termine “islamofobia” (un modo, al pari di “omofobia”, di «chiudere ogni dibattito su una questione in cui è ammessa una sola visione possibile») e quello della battuta sui cinesi (non un insulto al popolo in quanto tale, bensì un attacco alle intenzioni del partito comunista di Pechino di trasformare i cittadini in replicanti).

Comunque ormai la lapidazione è virtualmente avvenuta. La morale della favola, per Scruton, è che nel Regno Unito – ma non solo lì, andrebbe aggiunto – «ci stiamo infilando in una pericolosa condizione sociale in cui la diretta espressione di opinioni che confliggono – o anche solo sembrano confliggere – con un ristretto insieme di idee ortodosse viene istantaneamente punito da una banda di guardiani autoproclamati».

«Siamo costretti con l’intimidazione ad appiattirci in un conformismo avvilente intorno a una serie di discutibili dottrine ufficiali, e ci viene ordinato di sposare una visione del mondo che non possiamo mettere alla prova per paura di essere pubblicamente umiliati dai censori. Questa visione del mondo può portare a un ordine sociale nuovo e liberato; oppure può portare alla distruzione sociale e spirituale del nostro paese. Come possiamo saperlo, se abbiamo troppa paura per discuterne?».

Lo diceva già il Catholic Herald in un commento che Tempi ha riproposto qualche mese fa:

«Se Scruton uscirà danneggiato da questa protesta [il riferimento allora era alle richieste di licenziarlo, ndt], il messaggio da intendere sarà che è più semplice credere in ciò in cui si crede in privato che in pubblico, cosa che porterà a ulteriori ritirate dalla politica, dal giornalismo e dall’università, con un effetto domino: meno liberi pensatori intelligenti si troveranno nello spazio pubblico, meno attrattivo questo sarà, e più si allargherà il boicottaggio. Chi mai vorrebbe rinchiudersi in un Parlamento o in un Congresso con il tipo di persone che credono sinceramente che Roger Scruton sia un mostro?».

Foto Alexandros Michailidis/Shutterstock

Tags: antisemitismogeorge sorosislamofobianew statesmanOmofobiaroger scrutonspectatorungheriaviktor orban
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