Libano, il confine che non conosce pace

Di Giancarlo Giojelli
09 Giugno 2024
Razzi e droni: la tensione a nord di Israele resta alta. Hezbollah continua a lanciare bombe incendiarie, l'esercito israeliano risponde colpo su colpo. Qui la gente vive col fiato sospeso
Un incendio scoppiato lungo una strada in seguito agli attacchi di Hezbollah dal Libano vicino a Kiryat Shmona, nel nord di Israele, 4 giugno 2024 (Ansa)
Un incendio scoppiato lungo una strada in seguito agli attacchi di Hezbollah dal Libano vicino a Kiryat Shmona, nel nord di Israele, 4 giugno 2024 (Ansa)

L’auto partita da Tiro, la città più meridionale del Libano, avanza lenta verso Naqura, la scogliera a picco sul mare trasparente e azzurro dove ha sede il comando generale dell’Onu. Dai finestrini sporgono grandi bandiere azzurre con le insegne dell’Unfil, l’acronimo di United Nation interim forces in Lebanon, la forza delle Nazioni Unite in Libano. È un modo per segnalare ai combattenti che gli occupanti non sono miliziani, non hanno armi. Ogni spostamento viene segnalato all’Unfil e al ministero della difesa libanese (e si sa che da lì la segnalazione è inoltrata ad israeliani ed a Hezbollah).

Fino a due mesi si poteva viaggiare così, in relativa sicurezza. Ora non più. Secondo fonti diplomatiche britanniche, a metà giugno potrebbe scattare l’offensiva israeliana e la reazione di Hezbollah in tal caso sarà durissima: la milizia è ora un vero esercito, meglio armato delle forze regolari libanesi.

Una nuova battaglia sul fronte Nord sarebbe certamente più dura di quella del 2006. Fonti israeliane minacciano: «Siamo pronti a colpire duro e non ci fermeremo a Sud. Possiamo colpire fino a Beirut». Le avvisaglie della guerra sono sotto gli occhi di tutti, nonostante gli Stati Uniti abbiano chiesto di fermare la minacciata offensiva che potrebbe evolversi coinvolgendo l’Iran.

Un mitra o un ramo d’ulivo

Ogni giorno dal Libano piovono razzi e missili sempre più precisi e sofisticati che colpiscono le postazioni israeliane e spesso cittadine e kibbutz sul confine. Ogni giorno Israele risponde con lanci di droni e raid aerei mirati su obiettivi che, in qualche modo, possono essere legati ad Hezbollah, e spesso sono abitazioni civili vicino o sotto le quali il Partito di Dio posiziona i suoi lanciamissili. Le vittime libanesi, negli ultimi otto mesi, sono oltre settanta: per Israele molti sono comandanti di Hezbollah. Per i libanesi la realtà è diversa e le vittime civili, tra cui bambini, sono molti di più.

È un fatto che la guerra “a bassa intensità”, così è stata definita finora, sta superando i limiti e le regole non scritte ma rispettate dalle parti in conflitto dal 2006, da quando la guerra si era fermata con il dispiegamento di diecimila soldati Onu, di cui milleduecento italiani. Regole che imponevano il rispetto di una fascia di cinque-dieci chilometri su entrambi i lati, all’interno della quale si doveva limitare il lancio degli ordigni. Ora si spara molto più in là. E Israele risponde colpo su colpo.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, che nei giorni scorsi ha visitato il Nord del paese devastato dai roghi accesi dal lancio di bombe incendiarie, parlerà al congresso statunitense il 24 luglio. Avrà con sé un mitra o un ramo di ulivo? Che ne sarà tra un mese e mezzo del suo governo dal quale gli estremisti ultrasionisti vogliono uscire se non sarà lanciata l’offensiva finale contro Gaza? Che effetto avrà avuto la disperata quanto crescente pressione dei familiari degli ostaggi per un cessate il fuoco che permetta di riprendere le trattative?

Il fumo si alza da un villaggio nel sud del Libano a seguito di un attacco israeliano, 9 maggio 2024 (Ansa)
Il fumo si alza da un villaggio nel sud del Libano a seguito di un attacco israeliano, 9 maggio 2024 (Ansa)

Si vive così, sapendo che ci sono i cecchini

Gaza e gli ostaggi sono solo un aspetto di questa guerra che tra poco potrebbe allargarsi oltre i limiti regionali. La diplomazia internazionale non è concentrata solo nel valutare nuove possibili mediazioni al piano per Gaza presentato dal presidente statunitense Joe Biden – ammesso che questo possa essere accettato, soprattutto a partire dal primo passo, la tregua di sei settimane -, gli sguardi del mondo sono rivolti più a Nord, al confine tra Israele e Libano. I due fronti sono legati: Hezbollah ha ripetuto che non ci sarà tregua, anzi i combattimenti si intensificheranno finché non sarà finita la guerra di Gaza: non solo, il Partito-esercito sciita chiede il ritiro di Israele dalle fattorie di Sheb’a, che si insinuano nel confine tra Siria e Libano, occupate (o conquistate) dagli israeliani nella guerra del 1967.

È una zona strategica, da lì si domina tutto il Nord di Israele, fino a Nazareth e Tiberiade. Il comandante militare dell’Idf della regione settentrionale, Ori Gordin, durante la cerimonia che ha ricordato l’inizio della guerra del 2006, ha detto: «Siamo pronti e preparati: quando riceveremo l’ordine, il nemico incontrerà un esercito forte e attrezzato». È una risposta a quanti dicono che Israele non può sostenere la guerra al Nord contro un esercito ben più agguerrito di Hamas. Una risposta a chi chiede che siano realizzate le condizioni per far rientrare i settantamila israeliani che hanno lasciato le loro case e Kibbutz nell’alta Galilea, e sono sfollati più a Sud in attesa del promesso ritorno, che tarda ormai troppo per una economia fatta di fabbriche, aziende agricole innovative e start up HiTech: una economia che ormai si sostiene a fatica, sotto la pioggia di razzi lanciati da Hezbollah.

Pochi volontari sono rimasti per mandare avanti le attività produttive e la situazione è ormai insostenibile. Siamo andati nei campi coltivati, e subito dalle alture libanesi sono piovuti i colpi dei cecchini. Avvertimento o minaccia andata a vuoto? In questi casi non c’è né il tempo né la voglia di controllare. Bisogna stare fermi e aspettare almeno un’ora prima di uscire allo scoperto. Si sa che dopo i primi colpi i cecchini aspettano l’arrivo di eventuali soccorsi per colpire di nuovo e meglio. Si vive così, anche soltanto per mungere le mucche o raccogliere la frutta che marcisce sugli alberi. Anche questo fa parte delle regole non scritte.

Soldati israeliani sul confine col libano, 8 maggio 2024 (Ansa)
Soldati israeliani sul confine col libano, 8 maggio 2024 (Ansa)

Stesso destino, da un parte e dall’altra

Ci sono, dall’altra parte del confine, quasi centomila profughi libanesi che si sono rifugiati più a Nord, verso Sidone, migliaia di famiglie che vivono in alloggi di fortuna. Ci sono i campi coltivati che rappresentano una delle maggiori risorse delle province meridionali libanesi, a Sud del fiume Litani, ora semi abbandonati. Anche qui avventurarsi nei villaggi è sempre più pericoloso, abbiamo visto case civili devastate dai razzi lanciati contro auto con a bordo ufficiali Hezbollah che hanno invano cercato riparo sotto i portici delle abitazioni. A poche decine di metri, in territorio israeliano, situazioni molto simili, paure identiche, volti che cercano una speranza.

Un confine blindato, per attraversare il quale bisogna passare da altri aeroporti, un confine segnato da muri e reticolati, disseminato di mine: un confine che si teme venga attraversato dai tank che spareranno ad alzo zero sulle case, che spareranno diritto con i cannoni quando sono a poche decine di metri dal bersaglio. Li abbiamo visti colpire così 18 anni, mentre sui campi piovevano le bombe cluster, grappoli di proiettili che restano appesi agli alberi o affondano nel terreno, che restano silenti per anni in mezzo alle coltivazioni.

Diciotto anni fa ho visto gli effetti di quelle bombe e ricordo un gruppo di bambini feriti dalle biglie di acciaio degli ordigni, erano sopravvissuti per miracolo. Ora avranno almeno 25 anni e probabilmente fanno parte delle milizie pronte ad un’altra guerra. Mentre altri bambini e giovanissimi soldati cresciuti a poche decine di metri da loro si addestrano ad una speculare battaglia. Così come allora tutto si deciderà sotto il sole di una nuova estate, tra gli alberi carichi di frutta dove il sole incendia con i suoi raggi d’oro il tramonto, immagine di pace nel cielo che si fa sempre più blu, trafitto di stelle, in un silenzio e una oscurità che improvvisamente cedono al fragore e ai fuochi di guerra della notte. La stessa terra rossa di argilla, lo stesso sole arancio, lo stesso cielo indaco, gli stessi bagliori: da una parte e dall’altra, in mezzo c’è solo una stretta valle.

È il confine che segna le sorti di tanti esseri umani. Donne, bambini, uomini giovani e anziani, hanno vissuto a pochi metri di distanza e non si sono mai conosciuti: hanno gridato in coro la loro disperazione e desiderio di pace. Sanno che quel tratto di terra che li divide segnerà una sorte che non conoscono. E ci riguarda. Perché non si muore soli. Tutto qui marca un comune destino.

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