Lettera aperta ai Padri sinodali di un figlio di divorziati risposati. Cioè io

Di Luigi Amicone
17 Ottobre 2015
Vi scrivo dopo aver letto dell’episodio del piccolo che ha spezzato l’ostia per portarla ai genitori risposati e per raccontarvi come, da bambino che ero, grazie a Cristo, divenni uomo

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Cari Padri sinodali, cari Vescovi che in unione col Papa garantite a me e per me e a tutte le genti del mondo, la presenza di liberazione e salvezza attuale che opera la Chiesa nel mondo. Poiché la Chiesa è il corpo di Cristo, Cristo attuale e operante nel mondo, Colui che ci libera dal potere della menzogna che come una muffa copre il mondo, mentre solo il bene ha radici e profondità, e in qualunque modo il bene si manifesti, provenga dai testimoni di Cristo o da chi non conosce ancora il nome del Salvatore dell’umanità, bene è segno del Bene supremo e definitivo il cui nome è Gesù Cristo, figlio di Dio, il Risorto, che oggi è presente col suo sacrificio – è realmente presente – nel sacramento dell’Eucarestia.

A questo Bene definitivo che è Cristo nella sua Chiesa, mi permetto rivolgermi come persona, padre di famiglia, lavoratore, giornalista.
Sono un cristiano come tanti, uomo al mondo come tutti, con i problemi e le avventure di tutti, né dottore della Legge, né teologo, né sapiente secondo la sapienza di questo mondo. Mi rivolgo direttamente a Voi, cardinali e vescovi riuniti al Sinodo, e cerco di farlo con tutta franchezza, libertà e sincerità, perché vedo quante e gravi e crescenti e penose siano le pressioni, le distorsioni, le oppressioni provenienti dal mondo, specie quello della mia professione.

Ecco, dopo aver letto dell’ennesimo episodio – il bambino che nel ricevere la sua prima comunione avrebbe spezzato l’ostia per portarla ai suoi genitori divorziati risposati – episodio che a mio inutile parere avrebbe dovuto rimanere circoscritto nell’ambito del dialogo sinodale e invece è stato diffuso fornendo così ulteriore alibi al lavorìo di chi è costantemente all’opera per dividere e confondere i pastori della Chiesa e il popolo di Dio, mi sento di dirvi e spronarvi in questo, secondo la mia personale esperienza di quando ero bambino. E da bambino che ero, grazie a Cristo, divenni un uomo.

Provengo da una famiglia di immigrati dal sud al nord Italia. I miei genitori si sposarono in età acerba, quando io ero già nella pancia di mia madre e probabilmente si sposarono senza avere compiuta coscienza del sacramento del matrimonio. Dopo pochi anni e con la nascita della seconda sorellina, la loro unione fallì e con strascichi dolorosi entrambi i figli venimmo affidati da un tribunale a nostro padre. Io avevo 9 anni, mia sorellina 5.

Grazie a Dio, nella notte della nostra infanzia ci sorprese l’incontro con la comunità cristiana e, da allora, da quando questo incontro avvenne – io avevo 14 anni – la cupezza famigliare si trasformò in durevole e luminosa gioia nonostante le tante e dure difficoltà del vivere. Davvero con la sua Chiesa, con un uomo a sua volta toccato e cambiato dall’incontro personale con Cristo, un prete, un giovane prete, si chiamava don Giorgio Pontiggia, prima io e anni dopo mia sorella Rita, Cristo ci ha fatti nuovi.

Così, mentre i nostri genitori, tra i primissimi in Italia, già nel 1973 avevano compiuto il necessario periodo di separazione legale e quindi accedevano al divorzio, noi figli cominciammo a crescere nella grande vita e famiglia della Chiesa cattolica. Il cui volto misericordioso e splendente di verità e amore si palesò nel movimento di Comunione e Liberazione.

Potete forse immaginare cari Padri sinodali, con quale scandalo e in quale scontro con i nostri genitori ci pose la Chiesa quando ci invitò a testimoniare anche pubblicamente il nostro dissenso sulla legge del divorzio. Eppure, in una condizione umana, sociale ed economica (sì, perché ogni famiglia in sé divisa è una famiglia più povera anche economicamente) che mi toccava fin nelle fibre delle ossa, non dubitai minimamente, nei miei 18 anni, a battermi apertamente, spavaldamente, pubblicamente, contro il divorzio. Naturalmente suscitando le comprensibili ire (dal loro punto di vista e condizione) dei miei genitori.

Certo che i miei genitori non potevano capire né, tantomeno, condividere il mio impegno antidivorzista. La Chiesa che conoscevano loro era fatta spesso di individui che si erano dati a una certa “professione”, curavano una certa “carriera”, sapevano di incenso e moralismo, ma non erano uomini che conoscessero e patissero la vita degli uomini. Erano degli “addetti” alla religione, distanti anni luce dalla vita reale del popolo.

Però, un certo giorno, perfino il mio papà comunista e separato, giovanotto ormai divenuto adulto che tirava la carretta con immenso sacrificio e solitudine (come mia madre operaia, d’altronde) venne anch’egli sorpreso da quel prete, don Giorgio, che stava introducendo suo figlio a un livello stranamente baldanzoso, indipendente e cosciente della vita. Per farla breve, mentre io mi staccavo sempre più dalla famiglia di origine (finché, ai vent’anni, me ne andai a vivere in un appartamento con altri universitari), mio padre e mia madre si rifecero una famiglia (partecipando noi figli di “primo letto”, come si diceva allora, a entrambi i matrimoni civili).

Di tutti quegli anni e successivi, fino ad oggi, quando io stesso, ormai prossimo alla vecchiaia, da che ho avuto la grazia di avere sei figli (e giusto qualche giorno orsono ho accompagnato all’altare la mia prima, Lucilla), trattengo un valore infinito e totale. Il valore infinito e totale dell’amore che dura e che si approfondisce quanto più tende a fondarsi non sul “tenerume” – ah l’amore che sentimento volatile! – ma sulla roccia di un grande Incontro. Per me l’Incontro cristiano è stato semplicemente questo: esaltazione di tutta la ragione e di tutti i sentimenti più belli. Tant’è che, foglia al vento che fui da bambino, per nulla immaginando di fare famiglia dopo aver sperimentato il dramma della mia famiglia, mi sono ritrovato in un certo senso ad essere padre e fratello e amico anche dei miei genitori.

In tutto questo cosa c’entra l’eucarestia? C’entra perché è il sacramento in cui Cristo assimila a sé colui che si nutre del Suo corpo. Ed è naturale, perciò, che i miei genitori risposati e i rispettivi nuovi coniugi, tutti, chi più chi meno, sebbene più o meno credenti, essendo tutti battezzati abbiano sofferto del non potere accedere alla comunione. E in realtà io so – anche se non conosco i dettagli perché l’esperienza in proposito è loro, non mia – che i miei genitori, padre e madre risposati con i loro rispettivi coniugi, hanno preso la comunione se e quando in coscienza hanno ritenuto di poterla prendere o perché autorizzati dagli stessi ministri di Dio.

Ma cosa voglio dire con questo? Voglio forse accreditare il soggettivismo o, più intellettualmente, la pastorale della misericordia che “rimargina le ferite”? Voglio forse supportare quel vasto schieramento anche di ecclesiastici che, figli della mentalità mondana odierna, si fanno dettare dai giornali e dalla televisione una sorta di esaltazione, euforia, ubriacatura, di un inesistente “diritto alla Grazia”? Com’è disumano e disincarnato tutto questo! Come è molto più reale e misericordioso il cammino e l’esperienza dentro la Chiesa maestra di libertà e di umanità!

Perciò, con tutto questo, con quanto sopra esposto, mi permetto affermare che, per quanto ne capisca la mia esperienza, non abbiamo bisogno di nessun aggiornamento della verità. Non abbiamo bisogno di nessuna “riforma” del sacrificio eucaristico. Non abbiamo bisogno di nessuna comprensione “moderna” e sentimentale della condizione dei divorziati e dei risposati davanti all’eucarestia.

Nel caso dei miei genitori so benissimo che, avessero avuto la cognizione e, inoltre, le opportunità economiche, per rivolgersi alla Sacra Rota degli anni Sessanta, è probabile che il loro matrimonio sarebbe stato dichiarato nullo. Ma è andata in diverso modo ed è andata bene così. Nessuno della nostra famiglia sente rimorsi o sensi di colpa per quanto è accaduto. Poiché vedete, un altro aspetto decisivo del cristianesimo è che esamina tutto al fuoco del giudizio della Verità e dell’Amore, Cristo, e di tutto, niente escluso, trattiene il valore, il bello, il positivo. Schiantando il male nella polvere del passato.

E questo avviene grazie all’educazione al senso del proprio limite e, di conseguenza, all’accettazione del limite altrui. Educazione che, attraverso i sacramenti, ci riscatta umanamente e ci ricostituisce continuamente come esseri umani nuovi, capaci di ripresa, indistruttibilmente positivi, proiettati fuori dalle nostre beghe psicologiche e sociologiche, tesi a tutto quanto c’è di vero, buono, bello, nuovo, in noi e nel mondo fuori di noi.

Tutto ciò è, in effetti, l’impronta di una società cristiana. Ed è l’impronta, all’opposto, dell’odierna società post e anticristiana, tesa continuamente invece che a perdonarsi il male e perciò a risorgere dai disastri personali e sociali, a continuamente insistere nel rinfacciarsi e nel sottolineare il male e i disastri personali e sociali. È la società della sistematica divisione.

La società cristiana custodisce con gioia il passato, vive lietamente il presente, si proietta con fiducia razionale verso il futuro. La società post e anticristiana guarda con nostalgia o rancore il passato, vive con rabbia e violenza il presente, spera nel futuro come magicamente.

Ma cosa vogliono anche i cristiani sottomessi alla pressione mediatica, ammalati di complesso di inferiorità rispetto ai nuovi idoli sentimentali, sostenuti dai postcristiani e anticristiani che non capiscono o disprezzano la Chiesa? Vogliono che, come in un piccolo dramma o melodramma borghese, l’eucarestia diventi uno zuccherino per sedare gli scrupoli psicologici di un’anima in pena. O, più seriamente, vogliono una riforma del sacramento del matrimonio per piantare nel cuore della Chiesa il vulnus, la ferita, che la strappi dalla certezza della Verità. Vogliono aprire nel seno della madre Chiesa la contraddizione e il dubbio su se stessa.

Non credo, cari Padri sinodali, che né mia madre, né mio padre comunista, si sentirebbero più lieti e più felici se un moralismo tale e quale a quello di ieri – oggi in nome del sentimento e del progresso, ieri in nome della dottrina e della conservazione – prevalesse nelle Chiesa. E così, in nome di una misericordia separata dalla bellezza, si aprisse la strada al ritorno possibile di anni bui in cui la Chiesa visse sottomessa – seppure mai vinta – ai poteri di questo mondo.

@LuigiAmicone

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46 commenti

  1. Enrico

    Mi è piaciuta la testimonianza di Amicone e i commenti che ne sono seguiti, specie Doroty, che sa distinguere tra chi ha subìto separazione o divorzio rispetto a chi lo ha imposto. Non è un particolare, fa la differenza.
    Mi viene da dire anche una cosa che mi sta sul “gargarozzo”, cioè la prosa di quel vescovo che raccontava del bambino che porta l’Ostia al papà divorziato e risposato, come fosse una merendina Barilla. Allora perchè non raccontare di quei figli che sono usciti distrutti dalla fuga di quel genere di papà, e che se lo vedessero fare la Comunione sarebbero loro a riportare l’Ostia al sacerdote???
    I divorzi e le separazioni, parlo per diretta esperienza, lasciano macerie umane, cicatrici e malesseri che non si risolvono con battute sdolcinate. Il perdono chiede tempo, tanto, e vedere una persona amata che tradisce la propria vita e aspettative, facendo con altri le cose che reputavamo nostre…beh…anche le vittime vanno rispettate.
    Grazie

    1. Luigi Amicone

      Saluto tutti e in special modo la nostra Doroty che ci ha raccontato l’essenziale della sua vita e perciò offrendoci (persino qui!) se stessa invece che una mera opinione, ci è veramente amica. Tra 10 o 100 anni ci vedremo tutti dalla stessa parte e con lo sguardo di Doroty. Ciao e grazie

      1. Andrea

        Lettera aperta al dott. Amicone, ai cattolici, ai Padri sinodali, di un figlio di divorziati.
        Cioè io.

        gentile dott. Amicone, ho letto con attenzione e partecipazione il suo articolo “Lettera aperta ai Padri sinodali di un figlio di divorziati risposati. Cioè io” e i commenti che ne sono seguiti: in particolare quello di Doroty.

        Le voglio offrire anche io un piccolo pezzo di “me stesso invece che una mera opinione”.

        La separazione dei miei genitori è stata una svolta fondamentale nella mia vita di (ormai ex) credente, nel senso che mi ha allontanato dalla Chiesa.

        Ho frequentato il movimento per anni: GS, il CLU, vacanzine, l’esperienza meravigliosa del lavoro negli alberghi: ho perfino fatto in tempo ad ascoltare Giussani ad una conferenza dal vivo.
        Ero in cerca, spinto dal Senso Religioso che tutti noi abbiamo costituzionalmente in corpo, di risposte al mio desiderio di Infinito; attratto come una calamita verso una proposta Cristiana che non fosse moralistica ed astrattamente dogmatica.

        Già a quel tempo tempo però il matrimonio dei miei genitori scricchiolava paurosamente e si trascinava penosamente, ormai da lustri, fra alti e bassi. Ad un certo punto, ad una Scuola di Comunità credo, viene citato questo episodio attribuito a Giussani stesso: una donna si confida con Don Gius, le racconta le pene del suo matrimonio. La risposta del Gius, come venne citata, fu: “offri tutto questo per la maggior Gloria di Cristo”.

        Ecco, la cosa mi colpì nel profondo, mi colpì nella carne.

        Avevo sotto gli occhi la condotta di mio padre, un padre a cui voglio bene: se penso a lui mi prende uno struggimento e una tenerezza infinita. Ma tenerezza e struggimento non cancellano il fatto che sia stato il peggiore dei mariti possibili per mia madre.
        Avevo sotto gli occhi anche lo struggimento doloroso di mia madre, una madre profondamente cattolica.

        Il mio sguardo si posava su questi avvenimenti, e le parole del Gius mi martellavano nella testa e nel cuore. Ma come potevo, da figlio, da essere umano, guardarla negli occhi e chiederle di “offrire tutto per la maggior Gloria del Signore”? Come potevo ignorare il dolore e la pena che provava, i pianti, la depressione, il senso di colpa per colpe che non aveva.. ..e perfino i commenti dei preti che la incoraggiavano ingenuamente “ad essere più dolce e comprensiva”? (magari si sposassero anche i preti: quante cose capirebbero).

        Lei ad un certo punto dice che da figlio adolescente, attraverso la Fede, è diventato uomo: figlio e in qualche modo (aggiungo io) anche padre perché sostegno conforto, amico dei suoi genitori e tutto questo saldo e certo della paternità della Chiesa su di se.

        Per me è stato completamente diverso. Non me la sono sentita di chiedere una cosa simile a mia madre, non me la sono sentita a spingerla a permanere in una condizione che la stava lacerando. Io e mio fratello le abbiamo dato il coraggio che cercava e nel farlo la cosa mi ha definitivamente allontanato dalla Chiesa. E cuore, ragione, la ritrovata serenità di mia madre mi dicono, mi dimostrano, che fu decisione giusta. Il prezzo da pagare però è stato la perdita della fede.

        Un commentatore, rispondendo alla mia frase “cosa sia giusto per gli altri non deve, non può, deciderlo lei” ha scritto: “Infatti lo decide Dio, non io.” Ecco, magari non voleva, ma ha colpito nel segno. Nel segno perché la vita ti può gettare una Croce (una malattia, un incidente, la perdita prematura di una persona cara), ma non riesco ad accettare una Fede, una proposta per la vita, che ti chiede non già di accettare una Croce inevitabile, ma di prendere assi e chiodi e costruirtene una al quale tu stesso ti ci devi inchiodare. O, peggio ancora, ti dice di chiedere questo sacrificio alla persona che più ti è cara, alla persona che ti ha dato la vita.
        E tutto questo, paradossalmente, per il centuplo QUI IN TERRA.

        P.S: oggi il dibattito sulla Comunione a divorziati e risposati è quanto mai di attualità. Come ho già scritto nei commenti non chiedo alla Chiesa di cambiare dottrina: non può e non deve farlo.

        Quello che però, a mio modesto avviso, DEVE fare se vuole avere (la Chiesa) la pretesa di proporre una visione per l’Uomo, per il suo compimento, per la sua felicità è di trovare il modo di includere maggiormente le persone risposate nella vita della Chiesa.

        So già che si obietterà che la cosa già accade. Io invece non la do per scontata. Quaranta anni fa (un battito di ciglia nella millenaria storia della Chiesa) una donna che avesse lasciato il marito sarebbe stata additata dal pulpito (“peccatrice adultera!”) e solo quello avrebbe visto il prete di turno. Forse ancora, qualcosa in più, si può fare: ai Padri Sinodali l’arduo compito di trovare come rimanendo fedeli alla parola di Dio.

        Saluti, Andrea. (il mio nome e cognome lo deduce dalla e-mail).

        1. SUSANNA ROLLI

          Andrea udt, non mi stancherò mai di dirti che hai un cuore grande come l’universo!

      2. doroty

        Grazie Luigi! Sappi che il mio cammino e’ stato lungo ed anche tormentato. Anche a me l’avvocato, per tutelare l’abitazione dove vivevamo mi consiglio’ il divorzio dicendomi che si sarebbe spezzato solo il matrimonio civile. Io, da cattolica, avrei continuato a ritenermi sposata con buona pace della mia coscienza e della mia situazione patrimoniale. I miei carissimi amici mi consigliarono di sentire anche un sacerdote fidato il quale mi consiglio’ di non fare quel passo ma di fidarmi di Dio che tutto vede e tutto provvede. Seguii questo consiglio non senza un certo tremore. In fondo abbiamo sempre la tentazione di sistemare le cose con le nostre mani. Allora non potevo nemmeno immaginare che un giorno sarebbe successo il ripensamento di mio marito ma ora sono felice di essermi fidata ed affidata. Quando uno si guarda indietro a guardare la propria vita si rende conto di tutte le volte in cui il Signore si e’ reso presente e si conferma ogni volta di piu’ nella fede. Grazie ancora a tutti voi.

    2. SUSANNA ROLLI

      Enrico, posso abbracciarti?
      Tanto, l’ho gia fatto!
      Auguroni!

      1. Fabio

        E io vorrei abbracciare Dorothy…

        1. SUSANNA ROLLI

          Facciamo che ci abbracciamo tutti e ci vogliamo bene!

    3. Fabio

      I bambini distrutti che vorrebbero togliere l’Ostia potrebbero essere i figli della prima unione dello stesso genitore a cui i figli della seconda unione vorrebbero dare l’Ostia.

      1. Fabio

        Quel che emerge chiaramente dai discorsi del Sinodo e sul Sinodo e’ la distanza di mentalita’
        tra la mentalita’ moerna e Cristo.
        Cristo dice che chiunque sposa una ripudiata commette adulterio.
        La mentalita’ moderna che vuole a volte presentarsi come autentica erede dei valori cristiani ,direbbe che
        chi sposa una divorziata fa un’opera buona perche’ la consola tanto piu’ se era stata picchiata dal marito e abbandonata.
        Al di la’dei quadri patetici che la mentalita’ moderna invoca per giustificare poi anche situazioni che di patetico non avevano dietro nulla , registro la differenza di mentalita’ e mi chiedo perche’Cristo allora abbia detto cosi ‘ : era forse disumano e impietoso verso le
        donne abbandonate dal marito ?

  2. Alessio

    Grazie direttore per aver messo a disposizione la sua voce. Sono sicuro che questa lettera rappresenta simbolicamente la voce di una grossa (ormai grossissima) fetta di persone che purtroppo vivono difficili situazioni familiari, e si sa che i primi a pagarne le conseguenze sono i più deboli, gli ultimi ovvero i figli.

  3. Marina

    Grazie, direttore! Mi sembra una testimonianza preziosa. Non c’è bisogno di alcun cambiamento, tutto è già stato detto. La misericordia a buon mercato non è la soluzione per le ferite della famiglia. Riusciranno i padri sinodali a rimanere fedeli al Vangelo?

  4. beppe

    le dimostrazioni dell’esistenza dello Spirito Santo sono infinite: appunto, lei non è un padre sinodale. Con affetto.

    1. Fabio

      Grazie Luigi !
      La tua sofferta testimonianza non ha bisogno di commenti.
      Tranne uno : tutti quelli che sono in situazioni di disagio di qualsiasi genere imparino
      da Luigi : per vivere da vero uomo non ha avuto bisogno di fare polemiche accuse o pretendere
      improbabili cambiamenti strutturali sociali o ecclesiali : ha semplicemente accettato di vivere in in cammino in compagnia e seguendo Cristo ha recuperato tutto.Senza tante storie.

  5. doroty

    Caro Luigi, ho letto attentamente e comprendo tutte le tue argomentazioni ma io sono confusa. Ho ormai quasi 70 anni e sono separata da 22. Sono cresciuta in una famiglia cattolica ed ho imparato il senso del dovere da mio padre e la fede da mia madre. In lei la fede in Gesu’ era la mentalita’ con cui affrontare la vita e i rapporti. Oggi posso dire che e’ stata per me la prima grande scuola poi e’ arrivato Don Giussani. Io sono cresciuta con il vecchio catechismo dove si diceva che per ricevere Gesu’ bisognava essere in grazia di Dio. Percio’ bisognava avere coscienza del proprio peccato, avere il dolore per averlo commesso insieme al proponimento di non farlo piu’. Erano le tre condizioni necessarie perche’ la confessione fosse valida. Poi si sa che siamo cosi’ deboli che non si manteneva questo proponimento ma, almeno nel momento della confessione, questo ci doveva essere. Per me la frequenza alla confessione ed alla comunione sono serviti in questi anni ad essere fedele comunque a mio marito che se ne era andato a caccia di farfalle, prendendomi cura dei figli che erano rimasti con me. Convengo che per me c’e’ sempre stata una consapevolezza e una fede che erano carenti in lui e percio’ non ha saputo tenere nel tempo. Pero’ devo riconoscere che la comunione ha cambiato il mio cuore piano piano, ha curato le mie ferite tanto da permettermi di guardare a questo uomo come lo guarda Gesu’ a riaccoglierlo, ora che non ha piu’ nulla ed essere lieta perche’ ho risposto alla mia vocazione. Probabilmente non si puo’ generalizzare perche’ ogni storia e’ unica e non si puo’ fare una norma che vale per tutti. Spero di essermi spiegata.

    1. SUSANNA ROLLI

      SE hai un credo in cui credi dovresti cercare di essere coerente. La Chiesa ammette la separazione dei coniugi in vista di un riavvicinamento; nel frattempo si prega, si parla, si digiuna per cercare di cpire cosa c’è che non va nella coppia…Ma il “non separi l’uomo ciò che Dio ha unito” è molto chiaro. Poi uno agisce secondo coscienza propria, sapendo che incontrerà un giorno il Padreterno: finqu i mi pare di avere detto le cose come stanno, obiettivamente.

    2. SUSANNA ROLLI

      Cara Doroty, mi permetto.
      mi verrebbe da dirti che sei stata una grande -avendo davanti lo sfacelo delle famiglie oggi, cristiane e non.
      Invece hai semplicemente (molto probabilmente non tanto semplicemente) il tuo dovere di moglie fino in fondo, hai cercato -e ci sei riuscita- di essere leale e, grazie ai sacramenti, ce l’hai fatta.
      Perchè i”i due si uniranno e formeranno una carne sola”. E una carne sola, come si fa a dividere una cosa sola?. Non so se hai provato a fare ricorso alla Sacra Rota, ma mi apre di capire di no, perchè il tuo sì quel giorno davanti a Dio non fu un Ni’, e nemmeno un So, ma un chiaro e perfetto SI’. Infatti poi lo hai dimostrato a te stessa, alla tua metà fuoristrada, ed infine anche a Dio. E non è vero che di storie simili alla tua ce ne sono poche oggi, perchè non è vero.
      Questo sì che si chiama essere cristiani.
      Lascia che ti ringrazi, e dì una prece per me, se puoi.
      Ciao.

    3. andrea udt

      @doroty.. mia mamma e’ divorziata. non si e’ risposata e non ha un compagno. la comunione la riceve e il sacerdote sa.
      ora sono curioso: puo’ effettivamente ricevere l’ eucarestia? cosa dice esattamente il catechismo?

      1. doroty

        @Andrea Udt. Se il divorzio e’ stato subito non c’e’ responsabilita’ nella rottura e percio’ non c’e’ impedimento all’eucarestia. Caso contrario e’ meglio sentire il parere di un sacerdote ma nel caso di sua madre vedo che il sacerdote sa.

        1. andrea udt

          interessante.

          legalmente la separazione è consensuale: quest’anno arriva il divorzio. La separazione è avvenuta dopo 40 anni di matrimonio (di cui almeno 15 di tentativi di salvare il salvabile). Il passo verso la separazione è stato chiesto da mia mamma, ma immagino che il parroco, conoscendo la storia familiare, abbia ritenuto (dal punto di vista dottrinale ovviamente) che sia stata una scelta effettivamente imposta e non voluta.

          Parlando con l’avvocato è saltato fuori che il fenomeno di separazioni dopo lunghi matrimoni (30-40 anni) ha subito una impennata notevole negli ultimi anni. Insomma, non si tratta di colpi di testa ed in effetti questa è la situazione prevalente.

          Ci sono poi anche molti casi di matrimoni “bianchi” (non saprei come altro definirli): legalmente sono persone sposate. Lo sono formalmente, ma nei fatti il matrimonio è finito. Avviene spesso nella fascia di età 50-70, ove nessuno dei due intende formare altre famiglie, trovare un nuovo compagno e decidono, per motivi economici, di convivere comunque sotto lo stesso tetto e non procedere legalmente.

          Il paradosso (dottrinale) di queste situazioni è che nei fatti il loro matrimonio è finito e sepolto, nella pratica non hanno impedimenti per l’eucarestia.

          1. doroty

            @AndreaUdt
            Come ho detto nel mio primo post ogni storia ha dei risvolti unici e percio’ non e’ possibile generalizzare. Si puo’ divorziare anche per tutelare dei beni a favore dei figli in quanto la sola separazione non estromette il coniuge da una eventuale eredita’. Se il caso fosse di questo tipo
            (lei non dice da chi e’ stato chiesto il divorzio), oltre all’avvocato e’ bene sentire anche il sacerdote ed anche il parere dei figli. Io non so dire altro. Posso solo parlare della mia esperienza che e’ quella che ho gia espresso.

          2. Fabio

            Che dire di un marito che ha moglie in stato vegetativo , non v quasi mai a trovarla, coonvive con un’altra , ma non accetta la richiesta dei genitori della moglie di chiedere il divorzio solo perche’aspetta di ereditare come marito ?
            Queso spiega perche’in tanto casi all’estero e’il coniuge e non i genitori a chiedere l’eutanasia : una persona in stato vegetativo puo ‘ vivere vent’anni cosi’ : perche’ aspettare tanto per l’eredita’ ?

        2. Fabio

          Per l’Eucarestia quel che conta e’ non avere nuovi partner o conviventi. Piu’ l’aver subito o voluto , specie se per cause legittime, la separazione. Conta l’oggettivita’della situazione e non la soggettivita’.
          Il matrimonio richiede la fedelta’al sacramento non alla convivenza fisica dei coniugi come
          ci ha splendidamente testimoniato Dorothy.

      2. Fabio

        Si chi separato o divorziato non ha un/una nuovo /a compagno/a puo’fare la Comunione a maggiir ragione se non e’stato/a la causa prima della divisione : ma anche se lo fosse stato/a per motivi seri (ed.subire percosse, coniuge drogato che spreca il patrinonio , vedere i figli picchiati o violentati , malattia psichiatrica del coniuge ingestibile in famiglia ecc…) quel che conta per far la Comunione e’la fedelta’al matrimonio cioe’non aver creato nuovi legami con nuovi partner, fatti che oggettivamente oscurano il matrimonio sacramentale .

  6. Sebastiano

    Luigi sei grandissimo.
    Un grazie sentito per la tua testimonianza.

  7. Raider

    Ci è stata messa sotto gli occhi un’esperienza personale e familare che dovrebbe essere accolta con rispetto. Per favore, non sciupiamo o immeschiniamo tutto nella polemica spicciola, gratuita, anche volgare, senza volere. Ognuno può trarre spunto per opinare come ritiene: o apprezzare ciò in cui più si ritrova: che, per me, è questo:

    “Non abbiamo bisogno di nessuna “riforma” del sacrificio eucaristico. Non abbiamo bisogno di nessuna comprensione “moderna” e sentimentale della condizione dei divorziati e dei risposati davanti all’Eucarestia.”
    “La società cristiana custodisce con gioia il passato, vive lietamente il presente, si proietta con fiducia razionale verso il futuro. La società post e anticristiana guarda con nostalgia o rancore il passato, vive con rabbia e violenza il presente, spera nel futuro come magicamente.”
    Grazie al Direttore e auguri per il matrimonio della figlia che ha portato all’altare.

    1. Giuseppe

      “La società post e anticristiana guarda con nostalgia o rancore il passato, vive con rabbia e violenza il presente, spera nel futuro come magicamente.”
      Cosa ci trovi lei di rispettoso in queste osservazioni per me è un mistero (e credo per qualunque non credente).
      Sembra quasi che senza cristianesimo non ci sia né passato, nè presente, né futuro. Questa è una visione del mondo culturalmente morta.
      Senza parlare di quell’avverbio [“magicamente”] che in una ipotetica società futura fondata sulla razionalità non trova veramente dimora. Il “magico” e tutto ciò che ne consegue fa parte della vostra tradizione, non di quella altrui.

      1. Raider

        Esprimere opinioni che lei non condivide sembra l’abbia offesa: una reazione nervosa che la spinge a conclusioni misteriose, ma non offensive, per me, di quanto dovrebbe risentirsene lei rapportando le sue reazioni alle altrui, bensì facendo delle sue la fedele riproduzione dei sentimenti offesi di ogni non credente. Si potrebbe ironizzare su tanto credente pretesa, ma scettico sul modo in cui lei l’intenderebbe a suo scorno e a nome di altri, nulla che potrebbe portarla a offendersi al di là delle mie intenzioni dirò.
        Siccome avevo invitato a evitare attacchi ad personam, ecco che sono accusato di essere venuto meno al rispetto delle sue idee solo perché ho espresso le mie attraverso le parole del Direttore di “Tempi.it”… E dato il modo visionario in cui lei le travisa, non c’è motivo di spiegarle quello che lei ha capito in un modo che la soddisfa tanto pienamente su passato senza Cristianesimo a offenderla, presente della cui razionalità lei ha già provveduto a rifornirsi in esclusiva, futuro delle cui magnifiche sorti lei è sicuro quanto di avverbi poco razionalmente presi alla lettera – ‘magicamente’ intendeva, nel contesto del discorso del direttore, sfatare o mettere in guardia da un automatismo acritico del pensiero come quello di cui lei, almeno in questo caso, sembra molto contento.

        1. Giannino Stoppani

          Ovvìa ammettiamolo, il “magicamente” è mal collimato.
          “Religiosamente” è meglio.
          Perché certi ateonzi sghignazzano del dies irae, mentre, con somma coerenza, aspettano vanamente il “mondo migliore”.

      2. Cisco

        @Giuseppe

        E’ l’ateismo che non c’entra nulla con la razionalità, a meno che non si ritenga razionale – e magari scientifico – lo sterminio di massa in nome della rivoluzione proletaria. L’ateismo ha piuttosto molto a che fare con il pessimismo e la magia, come l’iniziazione esoterica di molti illuministi dimostra.

      3. Carlo

        “Sembra quasi che senza cristianesimo non ci sia né passato, nè presente, né futuro. Questa è una visione del mondo culturalmente morta.”

        Che ridere! Da una generazione “laica” che, sostanzialmente, ha smesso di fare figli. Se c’e` qualcuno che letteralmente non ha futuro e` gente come lei, caro Giuseppe.

      4. beppe tapparelli

        Non so cosa ci sia di rispettoso nell’osservazione del direttore,ma certamente c’è la perfetta descrizione di una lampante VERITA’ che solo chi è ben vivo e cosciente può esprimere e apprezzare…..Sono altre le visioni “culturalmente morte”, e dunque cieche, perchè la materia morta inevitabilmente non può più vedere!!

    2. andrea udt

      rispetto e non pretendo che la chiesa cambi dottrina.

      Ma, da figlio di genitori divorziati, l’opposizione al divorzio CIVILE non mi lascia indifferente.

      Io non avrei mai votato per costringerli a rimanere insieme a norma di legge, per il loro e il mio bene.

      1. Esiste sempre la separazione, non il divorzio che non è mai giusto.

        1. andrea udt

          cosa sia giusto per gli altri non deve, non puo’, deciderlo lei

          1. Infatti lo decide Dio, non io.

  8. beppe

    grazie per la testimonianza! grande Amicone…come dire: Amiconissimo….lasciatemi passare la battutaccia

  9. gabriele

    Caro Luigi,
    non ho parole dopo la tua confidenza mascherata da un articolo di giornale,voglio raccontarti un fatto:
    ad una vacanza della comunità(per carità di patria tacerò il nome del paese)ci assisteva spiritualmente padre Giancarlo,posso citare il nome,è defunto da anni,con noi era presente una divorziata con il compagno,
    assistevano alla Messa e immancabilmente lei si comunicava,tieni presente che padre Giancarlo,frate passionista,era giudice istruttore al tribunale della Sacra Rota della diocesi di Milano.Io gli facevo da chierichetto anche se ormai contavo 33 anni.
    Ho cercato di richiamare il padre sul fatto che lei era divorziata,mi ha risposto che lo sapeva,altro non ha detto.
    Fammi sapere,attraverso una mail cosa ne pensi.
    Mi permetto un abbraccio.

  10. Giuseppe

    In queste mistiche prolusioni, brilla sempre per la sua assenza un dato di fatto incontrovertibile: non tutti sono cristiani né tantomeno sono tenuti a esserlo. E’ una forma di cecità che rende impossibile qualunque confronto – e rende difficile la civile convivenza.

    1. Underwater

      Infatti qui si sta parlando di una questione interna al Cattolicesimo. Se non credi non ti tange.

      1. Giuseppe

        Sbagli, il cattolicesimo in Italia non ha “questioni interne”. Tutto si riflette sulla società civile, pertanto alla fine tange anche i non credenti. Eccome.

        1. Bep lasaperd

          La comunione ai divorziati e la “mistica prolusione” di Amicone si rifletterebbe sulla società civile? E in quale modo? Influenzerebbe qualche legge dello Stato? No, e allora tutta queste preoccupazione per i non cristiani è solo un pour parlez!

          1. Giuseppe

            Esatto, come dimostra il recente caso della giornalista che si è sposata solo civilmente a Bologna, con relativa reprimenda vescovile sulla “validità” del matrimonio in questione. Per una sciagurata convenzione in Italia alla chiesa è lecito intervenire su tutto.
            Confermo peraltro che delle vostre questioni sulla comunione ai divorziati – e altre amene quisquilie – effettivamente agli atei non frega una cippa. Quelle si che sono cose sulle quali, giustamente, ve la vedete fra voi.

          2. underwater

            Infatti si sta parlando delle condizioni in base alle quali un divorziato, risposato o meno,possa assumere la Comunione sacramentale. E qui davvero sutor atheus, non ultra crepidam! La Chiesa non si interessa di matrimonio civile (che tutt’ora non riconosce), se non quando comprende che la società minaccia di eliminare anche quella parvenza di contratto matrimoniale “serio”. Quanto al caso che citi del matrimonio civile “interdetto” a Bologna ad una giornalista, è un episodio talmente ottocentesco (oggi a nessuna diocesi verrebbe in mente di obiettare alcunché a qualsiasi matrimonio civile, ormai più di quelli religiosi) da far pensare che te lo sia inventato.

          3. underwater

            Proprio di Comunione sacramentale si sta parlando, cose di cui a voi atei non importa, come dici tu stesso. Quanto all’episodio che citi, è talmente inverosimile al giorno d’oggi (sembra del XIX sec.) da pensare che te lo sia inventato.

  11. underwater

    In effetti, in certi ambienti anche cattolici, quando parlano di misericordia sperano solamente che qualcuno dica che il male non è più tale.

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