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Per giudicare le idee dei partiti sul lavoro bisogna andare oltre le singole proposte

Assistenzialismo, liberismo, statalismo, sussidiarietà. Per orientarsi tra i programmi occorre valutare la visione di insieme, la concezione di lavoro, Stato e persona che c'è dietro

Emmanuele Massagli
22/09/2022 - 6:27
Economia
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Lavoro cercasi personale

I politologi ci dicono che non sono i programmi a condizionare le preferenze dei cittadini verso l’uno o l’altro partito. In larga parte non sono neanche letti: gli elettori, tutti i giorni, sono raggiunti da una miriade di dichiarazioni dei leader in servizi tv, nei talk-show, sui social. Questo bombardamento esaurisce la curiosità sui programmi di dettaglio (e non permette di verificare le tante incongruenze tra gli slogan mediatici e i documenti ufficiali). Una dinamica che, evidentemente, schiaccia la competizione attorno agli argomenti più generali (quando non generici), quelli che in qualche modo interessano tutti: le tasse, l’immigrazione, il reddito di cittadinanza etc…

Ciò non toglie che in vista delle elezioni del 25 settembre la lettura dei propositi di ogni partito sui singoli capitoli della gestione della cosa pubblica, se non addirittura, prima ancora, la loro stessa selezione, sia esercizio utile.

Il lavoro di ADAPT in un istant ebook

Per quanto concerne i temi del lavoro e delle relazioni industriali lo ha fatto ADAPT in un instant ebook ove sono schematizzati attorno a undici argomenti (dal costo del lavoro al salario minimo, dalla politiche di conciliazione al lavoro autonomo) i programmi dei principali partiti, presentati da una breve introduzione inedita curata dai politici che hanno collaborato alla loro redazione.

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È una lettura interessante, che sta generando discussione tra gli addetti ai lavori e, soprattutto, tra le parti sociali, le quali, a loro volta, stanno ospitando sia a livello nazionale sia locale numerosi, sebbene piuttosto sciatti, confronti tra i candidati. La disaffezione alla politica è assai evidente anche in quei luoghi che sono stati per decenni vivai dei leader di partito.

L’errore che si fa valutando i programmi elettorali

Tanto nella lettura dei neofiti, quanto in quella degli esperti, si osserva un equivoco di fondo. La valutazione sui programmi viene effettuata limitandosi al giudizio sui contenuti delle proposte e, nei lavori più accurati, sulla loro effettiva realizzabilità e sul costo. L’errore che si annida in questo procedimento è la perdita della visione di insieme: le singole proposte possono risultare estremamente ragionevoli o affini alla sensibilità di chi legge, pur essendo alla radice profondamente divergenti. In altre parole, occorre cogliere la concezione di lavoro, ruolo dello Stato, ruolo della persona sottesa al programma, prima ancora che l’eleganza delle diverse proposte.

La stessa promessa legislativa può risultare assai diversa quando situata in una direttiva statalista o in una sussidiaria, in un sentiment di favore per le iniziative dal basso o in una azione dirigista. Anche in termini strettamente politici, le intenzioni dei partiti non saranno vincolanti per un governo che necessariamente dovrà essere di coalizione e che quindi dovrà fare sintesi delle diverse sensibilità, oltre che, nel passaggio dalla teoria alla pratica, tenere conto dei vincoli di bilancio, dei rapporti internazionali, della normativa europea etc…

È allora opportuno, anche in materia di lavoro, provare a individuare le direzioni di fondo di quanto proposto dai singoli partiti. Così procedendo è possibile estrapolare almeno tre tendenze: l’intervento di matrice assistenziale; l’intervento tecnico-sanzionatorio di natura sociale; l’intervento sussidiario di ispirazione liberale.

Si tratta di direzioni assolutamente legittime, figlie di notevoli precedenti storici, non solo italiani. Direzioni, tuttavia, estremamente diverse, dalle quali deriverebbero legislazioni di senso opposto.

L’approccio assistenziale del M5s sul lavoro

Il programma del Movimento Cinque Stelle è costruito attorno al maggiore ruolo che lo Stato dovrebbe avere nella protezione dei cittadini e nel sostegno al loro reddito. Il salario minimo è, da anni, una bandiera di questo partito, che lo vorrebbe realizzare non richiamando la contrattazione collettiva, ma individuando per legge un valore orario inderogabile (nove euro lordi). Altro argomento caro a questo partito è la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario, la riedizione del “lavorare meno per lavorare tutti” degli anni Settanta.

Sono entrambi interventi finanziati dal maggiore costo del lavoro caricato sulle imprese. Allo Stato spetterebbe invece maggiore spesa in materia di ammortizzatori sociali (da rendere universali), stabilizzazione della decontribuzione al Sud, rafforzamento del reddito di cittadinanza, riforma delle pensioni con superamento della Fornero. Non da ultimo, sono previsti interventi abrogativi in materia di contratti a termine e tirocini, individuati come prima causa del precariato, soprattutto giovanile.

Il carattere sanzionatorio e normativamente rigido del Pd

Il Partito Democratico, che mediaticamente ha scelto slogan molto forti per dialogare con quelle che vengono definite la seconda e la terza società (i cittadini non protetti sul lavoro e più esposti alla esclusione sociale), in materia di lavoro ha presentato un programma coerente con l’azione di Governo del Ministro Orlando, caratterizzato da un approccio di natura sanzionatoria per molti versi non dissimile da quello del Movimento 5 Stelle (non è forse un caso che sia proprio Andrea Orlando uno dei sostenitori del dialogo con il partito di Conte), seppure stemperato da un inquadramento più tecnico e da soluzioni “di cacciavite”, più che rivoluzionarie.

Ecco allora che il salario minimo legale, pure presente, è da demandarsi alla contrattazione collettiva; che si prospetta la conferma del contratto di espansione e del Fondo Nuove Competenze e la conclusione, senza scossoni, del piano GOL; è confermato anche il progetto restrittivo sui tirocini già contenuto in legge di bilancio 2021, ma ignorato dalle Regioni. Seguono l’inasprimento delle norme e delle sanzioni su caporalato, lavoro nero, lavoro su piattaforma, part-time (considerato prevalentemente involontario). Una sorta di programma di governo socialista, piuttosto ostile alla iniziativa imprenditoriale, raccontato con toni movimentisti forse eccessivi per il tenore delle proposte.

La mediazione social-liberale del Terzo Polo

In materia di lavoro è evidente la volontà del Terzo Polo di segnare la propria distanza non tanto rispetto al centrodestra e al centrosinistra, quanto rispetto al Movimento 5 Stelle. In un certo senso, più che “terze”, le proposte di Italia Viva e Azione appaiono “ibride”: a partire dagli assunti di centro sinistra (necessità del salario minimo, combattere la precarietà, garantire protezione anche agli autonomi), vengono sviluppati progetti in passato associati al centro destra (detassazione del salario di produttività, rafforzamento degli ITS, declinazione meno assistenziale del Reddito di Cittadinanza, semplificazione burocratica).

Le proposte sono bene argomentate e illustrate nei dettagli, per enfatizzare anche nella forma quella “competenza” che è diventata parola distintiva del partito di Calenda e Renzi. Non è possibile ora sapere, se, allorquando chiamati trasformare in realtà i punti programmatici, i leader propenderanno verso le emerse concezioni di fondo (di natura progressista) o verso le ipotizzate soluzioni tecniche (più liberali).

L’impronta conservatrice e sussidiaria del centrodestra

Da ultimo, qualche considerazione sul programma di coalizione del centrodestra, sebbene in alcuni punti smentito o superato dai programmi dei singoli partiti che la compongono, pubblicati dopo il documento comune. Come nella tradizione di centrodestra, diversi sono gli interventi di natura fiscale e contributiva volti all’abbassamento del costo del lavoro, da realizzarsi in contemporanea all’incremento della produttività mediante contrattazione aziendale e territoriale.

Nella stessa scia si inseriscono gli incentivi per le assunzioni e la creazione di impresa. Marcata, e piuttosto originale perché di matrice sociale e non liberista, la fiducia verso la contrattazione e le parti sociali che giustifica il “no” alle leggi su salario minimo e rappresentanza. Il richiamo alla centralità della formazione non è costruito solo attorno agli ITS, ma ricomprende anche l’istruzione e formazione professionale di competenza regionale e il contratto di apprendistato, in particolare nella sua forma duale.

La ricetta giusta sul lavoro non esiste, parola all’elettore

Le singole misure appena ripercorse, seppure con eccesso di sintesi, potrebbero non vedere mai le pagine della Gazzetta Ufficiale, come capitato a milioni di buoni propositi elettorali in passato. È tuttavia indubbio che, ancora una volta, il confronto si giochi sull’humus culturale dei diversi schieramenti, il terreno nel quale si radicheranno gli interventi che saranno effettivamente approvati.

All’elettore la scelta tra l’approccio assistenziale ed emendativo del Movimento Cinque Stelle, il carattere sanzionatorio e normativamente rigido del Partito Democratico (e, si presuppone, della sua coalizione), la mediazione social/liberale del Terzo Polo o l’impronta conservatrice e sussidiaria del centrodestra. La ricetta teoricamente giusta non esiste; d’altra parte non sono uguali gli effetti che queste direzioni di legislazione possono avere su uno dei mercati del lavoro più contraddittori e affaticati d’Europa.

Foto Ansa

Tags: centrodestraElezioni 2022LavoroMovimento 5 Stellepartito democraticoterzo polo
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