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Home Economia

Le trappole che il governo deve evitare sul lavoro

Meloni ripete che è una priorità dell'esecutivo, e se le intenzioni sono buone, le prime misure di implementazione lasciano qualche dubbio. Attenzione ai dettagli, il diavolo (politico) si nasconde lì

Emmanuele Massagli
16/11/2022 - 6:25
Economia
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Meloni lavoro sindacati
Il premier Giorgia Meloni durante gli incontri con le parti sociali, l’11 novembre scorso (foto Ansa)

La premier Giorgia Meloni ha dichiarato più volte, durante la campagna elettorale, che il lavoro sarebbe stato una priorità del suo governo. In effetti al lavoro erano dedicate non poche pagine tanto del programma di Fratelli d’Italia quanto di quello della coalizione di centrodestra. Intenzioni richiamate da subito anche nel discorso pronunciato alle Camere per ottenere la fiducia.

La discontinuità tra Calderone e Orlando sul lavoro

Non è quindi peregrino operare una primissima analisi delle mosse del nuovo Governo in materia di lavoro e relazioni industriali. Per farlo, bene trattare separatamente metodi e contenuti, perché diversi sono gli esiti sui due fronti in questi primissimi scampoli di legislatura.

Per quanto concerne il metodo, è piuttosto evidente la discontinuità con il precedente governo, in particolare con il ministro Orlando: a differenza del predecessore, Marina Calderone ha voluto da subito dialogare con le parti sociali, invitandole in ordinata sfilata al ministero del lavoro (4 novembre), incontrandole all’Assemblea nazionale di Federmeccanica (5 novembre) e aprendo un tavolo di confronto con i rappresentanti dei lavori autonomi (14 novembre).

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Il tassello mancante nel mosaico del governo

La stessa Premier Giorgia Meloni ha voluto incontrare i sindacati e le imprese nella (significativa, per storia e tradizione) Sala Verde di Palazzo Chigi (9 e 11 novembre). Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha incontrato i sindacati a riguardo del c.d. decreto Rave (4 novembre) ed è previsto entro la fine del mese l’avvio di un tavolo sulle politiche sociali promosso dalla Ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella.

Indipendentemente dagli esiti pratici dei tavoli, vi è chiaramente la volontà di rassicurare i rappresentanti del mondo produttivo e dei lavoratori a riguardo della capacità di dialogo e inclusione del governo. Questi primi incontri si sono svolti a pieno organico, con tutte le associazioni maggiormente rappresentative presenti; invero la capacità di fare sintesi tra le diverse posizioni si potrà valutare solo quando saranno scelti gli interlocutori con i quali verificare le tenuta delle ipotesi legislative. Al governo, in fondo, non è innanzitutto richiesto di mediare le posizioni, bensì di decidere e realizzare le politiche da attuare tenendo conto delle priorità di ognuno.

Ecco, l’implementazione, il passaggio dalla intenzione alla azione, è ancora il tassello mancante nel mosaico del governo.

Merito e navigator

Più di qualche dubbio è stato sollevato sulla ridenominazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM). Non tanto per le convinzioni culturali del ministro, che ha provato a spiegarsi, bensì per l’equivocità del messaggio indirettamente colto dai giovani e la distanza di questo dibattito dalle urgenze di una generazione che non ha alcuna preoccupazione per la competizione in termini di performance, ma che proprio non riesce a coinvolgersi ed essere coinvolta nelle proposte educative.

Ugualmente intricato è parso il passaggio sui navigator di parisiana memoria, oggetto di una attenzione mediatica sproporzionata non tanto per i propri meriti (ecco, appunto) o demeriti, quanto per la connessione con il Reddito di Cittadinanza. Perché riempire pagine di giornali per schierarsi contro o a favore di 900 professionisti (gli altri 2.100 si sono già collocati presso le Regioni o nel privato!) che certamente negli ultimi anni hanno maturato competenze utili per concretizzare il piano nazionale di politiche attive GOL finanziato coi fondi del PNRR e che ora il ministro del Lavoro è chiamata a correggere?

Confusione sui fringe benefit

Da ultimo, confusionaria è stata la gestione della norma sui c.d. fringe benefit fino a 3.000 euro inserita nel DL Aiuti-quater e presentata sui media come una sorta di tredicesima aggiuntiva detassata. Una misura che, pur partendo da una intuizione positiva, rischia di indebolire uno degli istituti maggiormente in crescita nell’ambito della gestione del personale: il welfare aziendale.

L’improvvisa moltiplicazione del valore dei fringe benefit piega questa innovativa leva delle relazioni di lavoro verso il sostegno al reddito, condizione che lo espone alla perdita dei vantaggi fiscali e contributivi essendo questa una funzione economica e non sociale. Non solo: il nuovo articolo 51, comma 3 del TUIR così potenziato può fagocitare tutte le misure di vero welfare cui al comma precedente (tra cui previdenza complementare, assistenza sanitaria, buoni pasto, misure per la scuola etc…), consegnando i benefici (non più) di utilità sociale ai grandi player dell’e-commerce, della energia e della GDO.

Attenzione alle trappole sul lavoro

E’ inevitabile che un governo di dichiarata discontinuità come quello in carica oggi incorra in primi inciampi mentre impara a camminare nei corridoi dei ministeri, ove le trappole sono numerose e ben camuffate. Vi è però una differenza sostanziale tra la responsabilità di decidere e il posizionamento all’opposizione, che deve essere colta senza incertezze: chi governa non è chiamato soltanto a comunicare le proprie intenzioni, ma innanzitutto a implementarle, curando con minuzia anche i tanti passaggi nascosti, mediaticamente poco appariscenti e piuttosto aridi del processo legislativo, perché il diavolo (politico) si nasconde nei dettagli.

Emmanuele Massagli è ricercatore presso l’Università Lumsa di Roma e presidente di Adapt

Tags: Governo MeloniLavororeddito di cittadinanzasindacati
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