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L’Aquila, quattro anni dopo. L’arcivescovo Molinari: «Siamo gente tenace, ma vorremmo vedere ripartire qualcosa»

L'anniversario del terremoto che sconvolse l'Abruzzo. Intervista all'arcivescovo della città: «La ricostruzione è lenta, i giovani se ne vanno».

Emmanuele Michela
05/04/2013 - 14:22
Interni
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Quattro anni sono passati. Era il 6 aprile del 2009, difficile dimenticare la data a L’Aquila. E difficile dimenticarsi dell’ora 3.32, in cui nel capoluogo abruzzese la terra tremò provocando la morte di 309 persone, e la distruzione di una città crollata sotto il peso di tegole, calcinacci e mattoni. Quattro anni dopo quei segni sono ancora lì: la ricostruzione è ancora lenta. Mancano i soldi, le autorità si rimbalzano le responsabilità, e tra i cittadini crescono rabbia e incertezza. «Gli aquilani sono gente tenace e paziente, ma vorrebbero vedere qualche segnale cui affidarsi per ripartire». A parlare a tempi.it è monsignor Giuseppe Molinari, arcivescovo della città dal 1999.

Eccellenza, quattro anni dopo quella scossa, la ricostruzione a L’Aquila prosegue lenta e il 40 per cento dei cittadini non è potuto ancora rientrare nella propria abitazione. Lei all’inizio era ottimista, ora i ritardi si accumulano. Come vede il futuro di questa città?
Per quanto riguarda la ricostruzione materiale si è costretti ad essere pessimisti: le cose vanno lentamente, le forze politiche continuano a bisticciare e rimanere divise, la burocrazia si è fatta ingarbugliata e i progetti continuano a bloccarsi. Se uno guarda a quanto fatto fin qui c’è il rischio di essere scettici. Manca ogni tipo di premessa, anche se negli ultimi mesi il ministro Fabrizio Barca è venuto spesso in città: ha detto che ad aprile la ricostruzione partirà in maniera più efficace. Io credo alle sue parole, ci credono tutti gli aquilani: speriamo che le cose inizino a cambiare in meglio.

Tra i danni ingenti ci sono anche quelli alle strutture ecclesiastiche. Come prosegue la ricostruzione delle chiese?
Solo una chiesa è stata ricostruita del tutto: San Giuseppe Artigiano, che è la sede della parrocchia universitaria. La spesa era poca e abbiamo avuto un aiuto consistente dalla Fondazione Roma. Gli altri edifici sono ancora indietro: Santa Maria del Suffragio è usata in parte e a breve partiranno altri lavori, forti di un impegno del governo francese per il restauro, affiancato da una somma del nostro governo. Le chiese del centro sono tutte ancora ferme da ricostruire, a partire dalla Cattedrale, per la quale abbiamo presentato da poco i progetti. Per la chiesa di Collemaggio c’è un aiuto dall’Eni, ma in ballo c’è ancora uno studio preparatorio ai restauri, che coinvolgono ben tre università italiane. Noi come Chiesa cerchiamo di riorganizzarci costantemente un po’ alla volta, facendo ripartire le parrocchie, anche se come Curia siamo accampati in una struttura in periferia donataci dalla Cei: è un capannone dove abbiamo messo i nostri uffici e un piccolo magazzino per le opere d’arte recuperate. La residenza del vescovo è invece una struttura anche qui in periferia, dono della Università Cattolica di Milano.

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Di fronte a tutti questi ritardi e problemi, gli aquilani come stanno reagendo?
La situazione più complessa è quella dei giovani, che vedono prospettive di lavoro quasi nulle. Non c’è motivo per loro di rimanere qui, e così se ne vanno. Il tutto con grande dolore: per loro che amano la loro città e per L’Aquila stessa che perde i suoi abitanti più giovani.

Cosa le dicono i ragazzi?
Sono meravigliosi, perché, nonostante tutto, sono sempre carichi di speranza e auspicano che qualcosa cambi,e si aprano nuovi orizzonti. Ma purtroppo sono costretti a partire. Per quanto riguarda il resto della popolazione, in genere, gli aquilani non sono abituati a grandi manifestazioni di rabbia, a parte qualche gruppo ristretto. È gente paziente, forte, tenace, capace di sopportare le difficoltà, però vorrebbero vedere qualcosa che si muove per ripartire.

Davanti a tutta questa rabbia e incertezza, come cerca la Chiesa di star di fronte ai bisogni e al dramma di queste persone?
La sfida è grandissima: dobbiamo ringraziare la Caritas Nazionale, quella diocesana, la Cei… I bisogni sono tanti, la crisi investe tutta la Nazione e da noi è sentita ancora in modo più acuto. Con le nostre risorse cerchiamo di stare vicino a tutti, ma non basta. Grande è poi il lavoro delle parrocchie, che non smettono mai di fare azione di evangelizzazione per cercare di offrire un po’ di speranza alle famiglie. La situazione è drammatica: qui sono venuti volontari da tutta Italia e non saremo mai grati abbastanza. Ora però la tragedia di questa è città è passata in secondo piano e ci troviamo abbandonati a vivere tante sfide. Ma ci sentiamo molto provocati dal messaggio di papa Francesco, così attento agli ultimi e alla “periferia”. Ecco, noi siamo periferia della periferia.

@LeleMichela

Tags: Abruzzoarcivescovocuriadannienigiuseppe molinaril'aquilaricostruzioneterremoto
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