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Non solo Ucraina. Esiste un’Europa che preferisce Putin a Bruxelles

Non è solo il governo ucraino a dire “ni” a Bruxelles. Molti paesi vogliono rimanere legati a Putin. Che ha un piano preciso: la formazione di un'alternativa economica e civile alla nostra Unione

Rodolfo Casadei
22/12/2013 - 2:30
Esteri
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Le proteste di piazza che vanno avanti da tre settimane in Ucraina contro la mancata firma del governo a un accordo di associazione con l’Unione Europea hanno fatto scoprire al grande pubblico, fra le altre cose, l’esistenza sul nostro continente di un progetto di integrazione politico-economica distinto e alternativo a quello della Ue: l’Unione doganale fra Russia, Bielorussia e Kazakistan, destinata ad allargarsi ad altri paesi e a trasformarsi entro il 2015 nell’Unione Economica Euroasiatica (Uee). I manifestanti di Kiev accusano il presidente Yanukovich di avere sabotato all’ultimo momento l’accordo con Bruxelles per portare il paese nella Uee dominata dai russi. A Washington Hillary Clinton e quasi tutti gli osservatori americani considerano l’Unione Euroasiatica una semplice riedizione dell’Unione Sovietica. Ricordano che Putin nel 2005 affermò che la dissoluzione dell’Urss era stata «la più grande catastrofe geopolitica del XX secolo».
Yanukovich e il suo Partito delle Regioni negano di voler portare l’Ucraina dentro alla Uee, e continuano a proporre accordi tripartiti fra Ucraina, Russia e Ue. I commentatori russi filogovernativi profetizzano lo smembramento del paese confinante se l’accordo di adesione alla Ue rivedrà la luce: la stessa minaccia che Putin formulò all’indirizzo di G. W. Bush nel 2008, qualora l’Ucraina fosse entrata nella Nato.

In realtà l’Unione Euroasiatica è paragonabile alla vecchia Urss solo in termini geografici. Mentre la seconda si presentava come lo strumento statuale al servizio di un’ideologia universalistica (il comunismo), la prima cerca di creare un’area di influenza geopolitica russa che abbia una forma istituzionale politico-economica; l’Urss aveva una vocazione offensiva ed espansionista, l’Unione Euroasiatica nasce da esigenze difensive: proteggere i confini (in alcuni casi il territorio stesso) della Russia dalla crescente influenza degli Stati Uniti, della Unione Europea, della Cina e dell’islam politico.
Costoro appaiono a Mosca intenti ad attrarre nelle proprie sfere di influenza geopolitica sia gli stati nati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica (questo è un obiettivo strategico di Usa e Ue) sia regioni appartenenti alla Federazione Russa (in questo caso la minaccia è rappresentata dall’islam politico nel Caucaso e dalla Cina lungo il confine con la Russia asiatica). È proprio a motivo di queste differenze che le minacce russe di favorire scissioni territoriali in Ucraina vanno prese seriamente.

Progetto euroasiatico russo e progetto euro-orientale europeo sono partiti e si sono scontrati nello stesso momento. La politica detta del Partenariato orientale dell’Unione Europea è stata inaugurata nel 2009; l’Unione doganale di Russia, Bielorussia e Kazakistan, pietra angolare della futura Unione Euroasiatica, è entrata in funzione il 1° gennaio 2010. Rivolto ad Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Moldovia e Ucraina, il Partenariato orientale si proponeva di arrivare nel giro di pochi anni ad accordi di associazione nei quali la Ue offriva cooperazione, finanziamenti e libera circolazione delle persone in cambio di riforme democratiche e di una liberalizzazione commerciale che all’inizio avrebbe favorito i paesi occidentali, ma nel medio-lungo periodo anche i partner.
La Bielorussia è uscita quasi subito dai radar, andando a integrare l’Unione doganale euroasiatica ufficialmente entrata in funzione il 1° gennaio 2010. L’Azerbaigian ha gradito le avances, ma non ha mai promesso nessun fidanzamento. I restanti quattro paesi si sono impegnati in dettagliati negoziati, al punto che ai primi di settembre la presidenza di turno lituana dell’Unione Europea era ancora convinta che il 28 e 29 novembre a Vilnius tutti e quattro avrebbero firmato il primo decisivo atto dell’accordo di associazione. Così non è stato.

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Il ricatto russo?
La prima a sfilarsi è stata l’Armenia. Il 3 settembre scorso il suo presidente Serzh Sargsyan ha annunciato che il paese non avrebbe firmato l’accordo di associazione con l’Unione Europea alla fine di novembre, perché aveva deciso di aderire all’Unione doganale euroasiatica e di partecipare alla nascita dell’Unione economica euroasiatica. Il ministro degli Esteri lituano Linkevicius, presidente di turno del Consiglio europeo, aveva subito confermato che l’appartenenza a un’altra unione doganale è incompatibile con un accordo di associazione con la Ue, che prevede la creazione di un’area di libero scambio. Già allora si parlò di “ricatto russo”: la Russia è il primo partner commerciale di Yerevan, moltissimi armeni risiedono e lavorano in Russia e Mosca è considerata potenza protettrice dei 150 mila armeni che vivono in Siria in quanto alleata del regime degli Assad contro i ribelli islamisti che rapiscono i cristiani e distruggono le loro chiese. Truppe russe sovrintendono dal 1994 all’armistizio in vigore fra Armenia e Azerbaigian dopo la guerra per la regione del Nagorno Karabakh.

Capito quanto sarebbe dispiaciuto a Vladimir Putin il fidanzamento armeno con Bruxelles, Sargsyan ha mandato a monte tre anni di negoziati e deciso il cambio di indirizzo, e il 18 novembre il suo ministro degli Esteri ha annunciato che entro febbraio l’Armenia sarà il quarto membro dell’Unione doganale euroasiatica. Elmar Brok, il democristiano tedesco presidente della commissione Esteri del Parlamento europeo, parlò apertamente di “ricatto” contro un piccolo paese. Si sarebbe ripetuto il 21 novembre, il giorno del clamoroso annuncio che anche l’Ucraina non avrebbe firmato a Vilnius. Quattro giorni dopo l’Azerbaigian avrebbe confermato di non essere interessato ad accordi di associazione con l’Unione Europea. Così a fine novembre non sono rimasti che due piccoli indiani a sottoscrivere gli accordi di associazione: Georgia e Moldova, 8 milioni di persone in tutto. E la seconda potrebbe ripensarci: con vari pretesti ma certamente per rappresaglia i russi hanno chiuso le loro frontiere alle mele e al vino moldavi, che fino a qualche mese fa importavano tranquillamente.

Il braccio di ferro fra Mosca e Bruxelles a proposito dell’Ucraina, così come la contrapposizione fra Unione Europea e Unione Euroasiatica, ha certamente aspetti prettamente economici. Tutti gli osservatori prevedono che un accordo di libero scambio fra Ue e Ucraina comporterebbe, nel breve periodo, l’invasione del mercato interno ucraino da parte di prodotti europei e il collasso delle industrie locali. I russi sono convinti che il loro mercato sarebbe invaso da merci ucraine in cerca di nuovi sbocchi e soprattutto da prodotti europei rietichettati e rivenduti come ucraini.
Kiev stessa ha dato una giustificazione economico-finanziaria della sua marcia indietro dell’ultimo momento: Yanukovich ha sostenuto che il suo paese avrebbe perso nei dieci anni a venire qualcosa come 500 miliardi di dollari di esportazioni verso la Russia, ai quali andavano sommati 104 miliardi di costi per l’adeguamento degli standard normativi e produttivi a quelli della Ue. La quale da offrire in concreto non aveva altro che 600 milioni di euro in prestito, più la promessa di fare pressione sull’Fmi per 1 miliardo di euro di nuovi prestiti all’Ucraina.

L’Unione doganale
Che le aree di libero scambio favoriscano, almeno all’inizio, i più forti, è però un concetto che si applica anche all’Unione doganale euroasiatica. Al recente vertice dell’Unione doganale euroasiatica a Minsk nell’ottobre scorso a lamentarsene è stato il presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev: «La partecipazione all’Unione doganale ha portato più svantaggi che vantaggi al Kazakistan», ha dichiarato. «Ha portato a un crescente squilibrio nella nostra bilancia commerciale. Incontriamo ancora difficoltà a promuovere i nostri prodotti alimentari in Russia». Alle critiche si è unito il presidente bielorusso Alexander Lukashenko. Le loro lamentazioni sembrano trovare conferma in una pubblicazione della Banca Mondiale, dove si legge che l’Unione doganale «crea un’opportunità per la Russia di espandere le sue esportazioni e la sua presenza nell’Asia centrale a spese delle esportazioni di Ue e Cina. Al momento attuale, l’Unione doganale ha avuto effetti di stimolo del commercio legati al regime tariffario solo per la Russia».

Una questione geopolitica
Tuttavia né Nazarbayev (foto a fianco, ndr) né Lukashenko hanno intenzione di fare marcia indietro, anzi sono convinti che l’Unione Euroasiatica, comprendente anche l’Armenia, possa effettivamente realizzarsi già nel 2015. Il presidente kazako addirittura preconizza l’adesione di Turchia e Siria alla nuova organizzazione! Il punto è che tutti hanno chiaro che un’integrazione fra stati alternativa a quella dell’Unione Europea non è una questione solo economica, bensì geopolitica e di civiltà. L’Oriente non è l’Occidente, e attorno all’inevitabile pivot russo può ben aggregarsi un’organizzazione interstatale basata su princìpi politici, valori etici e rapporti internazionali di potere che non sono quelli occidentali. La natura della Russia è eurasiatica sin dalle origini, pertanto non ci potrà mai essere coincidenza con le istituzioni politiche democratiche, il progressismo etico e l’egemonia geopolitica dell’Occidente.

La visione di Zbigniew Brzezinsky, già consigliere del presidente Jimmy Carter, secondo cui, come ha scritto settimana scorsa sul Financial Times, «la Russia, dopo l’Ucraina, diventerà una democrazia» e potrà aspirare a essere un paese leader europeo, pecca del semplicismo omologatorio dei liberal occidentali. Come ha spiegato nel suo ultimo discorso alla nazione il 12 dicembre scorso il presidente Putin, la Russia è paese che si sente investito di una missione storica, e attualmente essa coincide con la difesa dei valori tradizionali, messi a repentaglio dal relativismo etico occidentale.
Ma anche se l’egemonia politica di Putin dovesse tramontare e un leader o un partito politico meno conservatore dovesse prendere il potere a Mosca, l’idea di una irriducibilità russa che si presenta come organizzazione politico-istituzionale dello spazio euroasiatico e come alternativa ai valori dell’Occidente non verrà meno (le parole “democrazia” e “libertà” non potranno mai significare la stessa cosa a Mosca, Bruxelles e Washington), perché coincide con la natura stessa della Russia. Per eliminarla, si dovrebbe eliminare quella contraddizione politica e spirituale che è la Russia come Stato. Ma questo non è riuscito mai a nessuno, che si chiamasse Napoleone, Hitler, Clinton o Bush.

Le contraddizioni interne
Forse la spiegazione sta nelle parole del filosofo Nikolaj Berdjaev nel suo libro L’idea russa: «Il fatto che la Russia sia un paese sconfinato non è solo un bene, una fortuna per il popolo russo nella storia, ma anche l’origine della tragicità del suo destino. L’enorme forza naturale della nostra terra proteggeva l’uomo russo, ma questi a sua volta doveva difenderla e amministrarla. Ne risultava una morbosa ipertrofia dello Stato, che gravava sul popolo stesso e lo straziava.
Non esiste probabilmente al mondo un altro popolo che raccolga nella sua storia simili contraddizioni. L’imperialismo è sempre stato una deformazione dell’idea e della vocazione russa. L’immensità della Russia è una sua proprietà metafisica, non solo una proprietà della sua storia empirica. La letteratura russa e il pensiero russo erano compenetrati di odio per l’impero, ne denunciavano l’iniquità. Ma, al tempo stesso, presupponevano l’impero, presupponevano l’immensità della terra russa. È una contraddizione inerente alla stessa struttura spirituale del nostro paese e del nostro popolo».

@RodolfoCasadei

Tags: armeniabielorussiabruxelleskazakistanmoscaObamaproteste ucrainaRussiaStati UnitiUcrainaueUnione Europeavladimir putin
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