La rivoluzione di quella «gente che non è più niente»
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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «La verità è che tutto sta crollando, parti del mondo, in Africa soprattutto, nel Sahel, nel Vicino Oriente, si svuotano e restano in ostaggio del silenzio, delle case vuote saccheggiate o distrutte. Tutto sta crollando. Nessun nome è più adatto. Un mondo minaccioso senza nome, e perciò colmo di indefinita angoscia, è in agguato. È una migrazione primitiva, brutale e inarrestabile come quelle che il Mediterraneo ha visto in altri secoli, fitte di terribili peripezie e tuttavia orribilmente monotone. Civiltà opulente e soddisfatte, ma anche sfiancate e inerti, sono prese d’assalto, con il peso, con il numero, da turbini di uomini che si lasciano dietro il passato, l’identità, l’anima. C’è da far posto a un popolo nuovo, milioni di persone; non hanno bandiera e passaporto, lo hanno distrutto quando sono partiti. D’altra parte non avrebbe senso una traccia. La loro identità è completamente nuova, formata nella tragedia del viaggio, imbevuta in quell’acido cloridrico che è la vertigine del vuoto. Partire: ecco la loro unica ideologia. Travolgeranno tutto, non si fermeranno di fronte a nulla, sgretoleranno ogni muro, barriera, ostacolo».
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]«Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e furore. Il mondo di domani».
Tutto questo si potrebbe declassare a esercizio di bella scrittura, a suggestione apocalittica ed enfasi romantica attorno all’evento epocale delle migrazioni se l’autore del libro da cui sono tratti i brani citati, Esodo. Storia del nuovo millennio, di nome non facesse Domenico Quirico.
Un popolo unito dal trauma
In lui il letterato e il vero giornalista inviato coincidono: è salito sui camion che trasportano i migranti in condizioni simili a quelle dell’antica tratta schiavista fra il Mali e il confine con la Libia, ha attraversato il Mediterraneo su un barcone carico di tunisini, è andato nei villaggi a parlare con le famiglie. Gli abbiamo chiesto conto dei suoi giudizi fulminanti, e lui ha rilanciato e aggiunto pure fosche profezie. «Il punto di tutta la questione è che le persone che hanno vissuto l’esperienza della migrazione, comunque si sia conclusa, non sono più le stesse persone che erano alla partenza, sono diventate altro durante il viaggio. Noi chiediamo loro le generalità, ma non serve a nulla, sono diventati altro, sono diventati un popolo nuovo unito dall’esperienza traumatica e nuova della migrazione. Il viaggio fonde il burkinabé e il siriano in una nuova entità etnica». «Il respingimento è una cosa assurda, perché presuppone che il migrante possa tornare da dove è venuto. Ma quel luogo gli è divenuto estraneo. L’atto del migrare lo ha trasformato, non può più recuperare quello che era».
La fine delle nazioni
La deculturazione migratoria produce un soggetto rivoluzionario, come in Marx lo produceva l’alienazione capitalista. «Il migrante è il rivoluzionario della nostra epoca, che mette fine a un ordine in disfacimento, quello delle nazioni e delle frontiere. Il migrante proclama l’inesistenza delle frontiere e la fine delle nazioni. Trasforma in realtà il mito della globalizzazione, in forza del quale si proclama l’unificazione del mondo, ma finora gli unici confini abbattuti erano stati quelli virtuali, attraverso la comunicazione via internet, e quelli fisici solo parzialmente attraverso il commercio. Quella che chiamo la Grande Migrazione realizza la mondializzazione fisica, delle persone in carne e ossa, nella misura in cui ridicolizza il concetto di frontiera».
Come in tutte le rivoluzioni che nascono da un’alienazione che ha prodotto il soggetto rivoluzionario, gli esiti sono imprevedibili e non necessariamente felici: «C’è il pericolo che il migrante assorba il peggio di noi, oppure che diventi ciò che qualcuno lo vuole fare diventare. Non sono potenziali terroristi, ma questa gente che non è più niente può essere modellata interiormente. Credo che stiano per finire i giorni dei migranti remissivi, silenziosi, che aspettano nei centri di accoglienza e si lasciano rimpatriare senza opporre resistenza. Stanno per apparire migranti rabbiosi, giustamente infuriati, propensi a cedere alla tentazione di farsi usare da chi ha cattive intenzioni».
Foto Ansa
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