«La Provvidenza di Manzoni si incarna nella fede» e non nel moralismo di Eco
Oggi (sabato 1 dicembre) con Repubblica è possibile acquistare il classico di Alessandro Manzoni, I promessi sposi, riscritto da Umberto Eco. In un estratto ripreso dal giornale di Ezio Mauro, ieri Eco scriveva: «Il signor Alessandro sembra amare molto i poveretti, ma certo non sa proprio come aiutarli a far valere i loro diritti. E siccome, per l’appunto, era un cristiano assai fervente, tutti hanno detto che la sua morale era che bisogna rassegnarsi e sperare solo nella Provvidenza». Così, la Provvidenza diventa la semplice remissione a un dovere superiore, cui l’uomo è soggetto: un fato dal nome che suona cristianamente, perché tale era la fede dell’autore. «Sono convinto – dice a tempi.it Giovanni Fighera, giornalista, scrittore e insegnante di italiano – che nel 2012 sia avvenuto un attacco molto forte sia contro il cristianesimo sia contro le opere che lo incarnano. Qualche mese fa l’associazione Gherush 92 ha attaccato la Divina Commedia in quanto islamofoba e antisemita. È il primo tentativo di attaccare opere di fede cristiana, è ridurre la genialità, la radicalità e la novità del cristianesimo. Insomma, il tentativo di Umberto Eco di sminuire la Provvidenza, e di delinearla come una forza superiore alla quale arrendersi remissivamente, non è cosa nuova. E, in ogni caso, non è il messaggio che insegna Manzoni».
Cos’è la Provvidenza che descrive Manzoni nel romanzo?
È espresso chiaramente alla fine del trentottesimo capitolo, dove è citato “il sugo”, il senso della storia. Manzoni non fa terminare I Promessi Sposi come una favola bella – “e vissero felici e contenti” – cioè con il matrimonio. Anzi, termina quasi con un litigio fra Renzo e Lucia, dove quest’ultima lo apostrofa con il termine “moralista”. Questo è il punto: I Promessi Sposi non vogliono essere un’opera moralistica e bigotta che vuole propinare solo degli insegnamenti – che sono quelli di cui va fiero Renzo: ho imparato a non alzare il gomito, a non girare per la città con i campanelli dei lebbrosi cinti ai piedi, ecc. – ma è altro.
Cioè?
Che cosa racconta Manzoni nell’ultimo capitolo? Renzo e Lucia finiscono in un nuovo paesello. Tutti gli abitanti, sapendo delle vicissitudini da loro passate, avevano grande attesa di vedere Lucia. La pensavano bella come una principessa, e sono scontenti perché, a conti fatti, si ritrovano una ragazza normalissima. Queste voci vengono riportate a Renzo, che si arrabbia. È focoso come all’inizio del romanzo, tanto che voleva dar loro una lezione. Allora l’anonimo – ironicamente – dice che la Provvidenza aveva già sistemato le cose: nel paese vicino muore un uomo, e lascia sguarnito il proprio filatoio, in cui Renzo va ad abitare. Qui le opinioni su Lucia sono diverse: è una bella ragazza. E Renzo è contento. In questa sede Manzoni crea un’analogia tra la condizione umana comune e l’immagine di un vecchio infermo. Un vecchio si rigira del proprio letto e non è mai contento. Invidia il letto dell’altro, pensando sia più comodo. Ma quando lo ottiene, trova tanti bernoccoli, tante pieghe, che gli fanno rimpiangere quello precedente. Così come Renzo, che neppure nella nuova città si trova a suo agio.
Si spieghi meglio.
La Provvidenza non è una forza che, dall’alto, sistema le cose e indirizza le azioni dell’uomo immediatamente al bene. Dopo questo aneddoto, Manzoni racconta che Renzo prende a raccontare la sua storia alle gente del villaggio. È convinto che il senso di quello che è successo si risolva tutto nell’imperativo kantiano “fai il bravo”. Questo è il cristianesimo ridotto a moralismo che noi ben conosciamo. Ma a Lucia questa definizione sta stretta. Lei è sempre stata una “brava ragazza”, eppure di vicende ne sono successe. Così, i due discutono del “sugo” della loro storia, e lo delineano: dai guai bisogna stare lontani, ma spesso sono loro che vengono a cercare noi. Allora «la fede in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore». I guai, nell’offerta della Fede, possono cambiare l’uomo in meglio. La Provvidenza è infatti una fede incarnata in una concretezza, in una carne.
Ad esempio?
Tutta la storia dell’Innominato si legge in questa luce. Nel ventunesimo capitolo Lucia, di fronte al più grande dei cattivi, ha un’autorità che non proviene da Lei. «Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia». Questa frase, proferita con un filo di voce all’Innominato, lo cambia. Questa circostanza è vissuta dalla giovane paesana con negli occhi la presenza di Gesù, che è la presenza del volto della madre Agnese, della Madonna che lei invoca, della presenza di Renzo e di fra Cristoforo. E dai quei volti passa la Provvidenza. Infatti Lucia è la più debole, ma vince l’Innominato. Che, infatti, dopo una nottata turbata dal pensiero del suicidio, deciderà di seguire le voci che provengono da un vicino pellegrinaggio verso il cardinal Federigo. Qui l’Innominato sarò abbracciato in tutta la sua cattiveria e i suoi limiti. E capisce che la liberazione di Lucia è la prima possibilità del suo personale cambiamento. È così che si muove la Provvidenza.
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Il realismo cattolico di Manzoni
Ben vengano le polemiche sulla riedizione dei Promessi sposi, che abbiamo studiato a scuola, senza però essere coinvolti nelle sue profondità.
Giovanni Fichera commenta una frase di U. Eco su Manzoni ripresa da un giornale :
« siccome…era un cristiano assai fervente, tutti hanno detto che la sua morale era che bisogna rassegnarsi e sperare solo nella Provvidenza».
Anche la mia opinione è diversa da quella dei molti . Più che una tradizionale concezione della Provvidenza, Manzoni evoca il Dio affidabile che «atterra e suscita, che affanna e che consola». Manzoni aveva patito il silenzio di Dio. Il suo era uno sforzo continuo di spiegare razionalmente la realtà alla luce della fede.
Ci sono diversi modi di intendere la Provvidenza.
La Provvidenza del Manzoni era la presenza di Dio attraverso gli uomini; la speranza di fronte alla carestia e alla peste; l’ alternativa al trionfo del male e al nichilismo.
Era una prova da superare ogni giorno , nelle tribulazioni. Non c’ è un Dio programmatore che realizza un suo progetto ; se fosse così, non rispetterebbe la libertà delle sue creature. ( Oggi, la Provvidenza è stata sostituita dai discorsi sull’evoluzione .)
Il Dio affidabile del Manzoni è, invece, colui che cerca di risanare le ferite dei suoi figli.
Manzoni si ispira al pensiero di Pascal : «Non solamente noi non conosciamo Dio che attraverso Gesù Cristo, ma non conosciamo noi stessi che attraverso Gesù Cristo». «Tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo». Lo dice nella prefazione alle Osservazioni sulla morale cattolica : Gesù «ha rivelato l’uomo all’uomo».
La fede apre un orizzonte di giudizio nuovo sulla realtà. Lo confermano le parole di profonda indignazione pronunciate da fra Cristoforo quando don Rodrigo offre la sua “protezione” a Lucia: « Il cuore di Faraone era indurito quanto il vostro; e Dio ha saputo spezzarlo. Lucia è sicura da voi: ve lo dico io povero frate; e in quanto a voi, sentite bene quel ch’io vi prometto. Verrà un giorno… ».
Manzoni si fa piccolo con i poveri, chiamati dal Griso “ gente di nessuno” . Allora parla con la fede semplice dei contadini che vivono la presenza divina nel buio della sofferenza che affanna e nella luce che li consola . Le testimonianze che racconta riguardano la condanna della violenza e l’aspirazione alla giustizia, la saggezza e l’ironia, la fede e l’umiltà e costituiscono una radicale alternativa al conformismo attuale .
Leonardo Sciascia sottolineava l’attualità del romanzo perché è “un disperato ritratto delle cose d’Italia”. «L´Italia delle grida, l´Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l´Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l´Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano».
Manzoni rispetta la fede e il buon senso degli umili e deride i politici : l’aristocrazia, il clero , l’arroganza dei legulei, le guerre. L’aristocrazia è don Rodrigo, protetto dalla mafia dei bravi , il clero è don Abbondio, la magistratura è il dottor Azzeccagarbugli, la dottrina è don Ferrante, la guerra è l’invasione dei Lanzichenecchi che portano peste e carestia.
La Chiesa è considerata nella sua realtà storica. Alla presenza ‘istituzionale’ del curato pauroso contrappone quella eroica dei frati del lazzaretto . Tocca l’abisso del male nella vicenda del monastero di Monza . Ma è salvata da persone eccellenti come fra Cristoforo e il cardinale Federigo, oltre ai frati che offrono assistenza non solo spirituale.
Nelle circostanze eccezionali la Chiesa riesce a rigenerarsi, mentre lo stato degenera nella emergenza economica che distrugge la vita. Il senso della storia allora per Manzoni non sta nel “rassegnarsi e sperare solo nella Provvidenza” , già predicato dal clero reazionario, ma nelle parole conclusive dell’evangelico Cristoforo : Amatevi come compagni di viaggio .