Tentar (un giudizio) non nuoce

La “latitanza” europea nel conflitto tra Israele e Hamas

Di Raffaele Cattaneo
04 Novembre 2023
Si vede a occhio nudo la mancanza di coraggio dell'Unione Europea, irrilevante sullo scacchiere internazionale, surclassata da Usa, Cina, Russia, ma anche da Turchia e Oman
Ursula von der Leyen e Charles Michel
Il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel (foto Ansa)

Tra gli eventi che colpiscono e fanno riflettere in merito alla crisi tra Israele e Palestina, ce n’è uno che apparentemente può sembrare meno impattante, ma che io ritengo tutt’altro che secondario. Si tratta dell’evidente crisi e debolezza palesata dall’Europa e dalle sue istituzioni, così come in generale da tutte le Istituzioni multilaterali. Una carenza di visione politica che ha radici profonde, e che per l’Unione Europea si può rintracciare nella scelta di non avere una politica estera comune e ancor più storicamente nel non aver voluto creare un esercito Europeo come più volte richiesto da Alcide De Gasperi che lo riteneva un compito prioritario anche rispetto alla moneta unica.

Nel frangente odierno questa drammatica debolezza dell’Europa è palese ad occhio nudo. Essa non è in grado né di offrire una seria opzione diplomatica in favore della pace e neppure un “limitato” cessate il fuoco, rendendo così evidente la propria irrilevanza sullo scacchiere internazionale, surclassata non sono dagli Usa, dalla Cina e dalla Russia, ma persino da Paesi come Turchia e Oman, sicuramente meno significativi dell’Europa.

Spaccature europee

Questa “latitanza” ha assunto anche delle forme esteriori che rasentano il comico se non fossimo al cospetto di tragedie umanitarie. Per fare un esempio, penso alla lite tra il belga Charles Michel, presidente del Consiglio Europeo, e Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea, dopo che quest’ultima il 20 ottobre ha deciso di recarsi in Israele esprimendo sostegno incondizionato al governo di Benjamin Netanyahu, posizione che ha suscitato le ire non solo del presidente del Consiglio Europeo ma anche di Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Ciò ha evidenziato come l’Ue non abbia neppure un soggetto titolato a parlare con una voce unica, per esprime una posizione chiara sullo scenario internazionale.

Ancora più significative, anche se forse meno eclatante sul piano pubblico, sono state altre due notizie: la lettera sottoscritta da 846 funzionari della Commissione Europea contro la loro Presidente per contestare la scelta unilaterale di sostenere Israele, e il fatto che due giorni dopo alla Casa Bianca, Ursula von der Leyen e Charles Michel sono stati ricevuti dal presidente Joe Biden in due riunioni separate, segno palpabile dell’incapacità di rappresentare un punto di vista unitario.

Mediocrità

Questa crisi della politica europea non può rallegrare nessuno. Durante il periodo della pandemia da Covid avevamo avuto tutti l’illusione che si fosse instaurata una capacità di analisi e di azione, manifestatasi con scelte coraggiose e unitarie, indice di un ritrovato protagonismo. Finita l’emergenza ed entrati, purtroppo in un “tempo di guerra”, l’Europa è ritornata alla mediocrità che l’ha caratterizzata negli ultimi decenni, lontana dal coraggio e dalla visione dei padri fondatori. Così, la Ue che già si avvia ad essere, da un punto di vista demografico ed anche economico, non più quel gigante che è stato in passato, oggi non riesce neppure a sopperire a questo gap esercitando un ruolo politico autorevole e incisivo.

La medesima cosa si può affermare per le Nazioni Unite e tutti gli organismi multilaterali che a fronte delle drammatiche circostanze generate dalla guerra arabo-israeliana non riescono a conquistarsi uno spazio di manovra minimamente accettabile.

Le divisioni nell’Onu

Prova ne è la posizione espressa dal portoghese Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni unite, che ha provocato reazioni scomposte da più parti e non solo all’interno dell’Onu. A innescarle un passaggio del discorso pronunciato in apertura della riunione speciale del Consiglio di sicurezza dedicato alla crisi in Medio Oriente, nel quale ha sottolineato, senza mezzi termini, che: «È importante riconoscere che gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione». Una posizione tutt’altro che condivisa, soprattutto da Israele che ne ha chiesto le immediate dimissioni. Gutierrez altresì ha ricordato come le rivendicazioni dei palestinesi «non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas», «così questi spaventosi attacchi non possono giustificare la punizione collettiva» del popolo della striscia di Gaza.

Il segretario Onu ha altresì reiterato l’«appello per un cessate il fuoco umanitario», sottolineando che «nessuna parte in un conflitto armato è al di sopra del diritto internazionale». Difficile dire che queste considerazioni siano prive di senso e altrettanto difficile sostenere che siano state pronunciate nel modo e nel momento opportuno.

Stesso discorso si può dire per il Consiglio di Sicurezza che non è riuscito ad esprimere una posizione comune, per effetto di veti contrapposti, sul cessate il fuoco. Così la risoluzione, avanzata dalla Giordania, è stata approvata con 120 voti a favore, 14 contrari e 45 astensioni tra cui quella dell’Italia. Il documento non è vincolante ma esprime la visione della maggioranza degli Stati membri dell’ONU e ha dunque un valore morale, ma lì tende a fermarsi. Chi potrebbe esprimersi con valore vincolante è il Consiglio di Sicurezza che però è stato bloccato dai veti incrociati.

Strumenti deboli

Cosa possiamo leggere dietro queste debolezze? Oltre alla scarsità di visione e di coraggio della classe politica attuale anche una oggettiva difficoltà degli strumenti tradizionali della diplomazia ad affrontare crisi così radicali e impattanti. Eppure, sono proprio le forme come l’Unione Europea che hanno saputo andare oltre la guerra come strumento per risolvere i conflitti, o come le Nazioni Unite che sono costitutivamente nate per risolvere i conflitti con modalità differenti da quelli delle armi.

Prendere atto che questi strumenti si stanno indebolendo non può che essere motivo di grande preoccupazione, così come bene ha espresso il presidente Sergio Mattarella: «Alle volte ci si volge all’Onu con spirito critico, sottolineandone i limiti anziché i successi, ci si dimentica che la capacità dell’Onu dipende dalla disponibilità degli Stati membri. Quindi occorre affermare con chiarezza che le Nazioni Unite sono e rimangono lo strumento più efficace per risolvere le tensioni e le controversie. Per questo l’Onu va rafforzato in tutti i modi possibili, anche con riforme che ne assicurino una maggiore capacità operativa».

Metodo democratico

Ora, è evidente che non si potrà rilanciare un ruolo reale degli organismi multilaterali e delle forme di aggregazione politica che i popoli si sono dati per andare verso una proposta forte e convincente di pace, se sullo scenario europeo e mondiale non compariranno leader dello spessore e del livello di quello che avevano i padri fondatori dell’Unione Europea. È come se improvvisamente una debolezza endemica, nascosta durante un periodo di relativa ordinarietà, sia esplosa prepotentemente e con tutte le sue contraddizioni a fronte di una crisi e al suo potenziale escalation su scala globale che stanno mettendo a repentaglio la sicurezza mondiale ancor più di quanto sia apparso con lo scontro tra Russia e Ucraina.

Senza essere ridondanti è opportuno, in questi tempi bui di pensiero e di parola, ricordare e riprendere il cammino di Alcide De Gasperi convinto che l’unità fosse l’unico modo per prevenire futuri conflitti. Egli, era motivato da una chiara visione di un’Europa unita, che non sostituiva i singoli Stati, ma consentiva loro di integrarsi, sostenersi a vicenda, lavorando insieme, perché «il futuro non verrà costruito con la forza, nemmeno con il desiderio di conquista ma attraverso la paziente applicazione del metodo democratico, lo spirito di consenso costruttivo e il rispetto della libertà».

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