
La Germania frena sulle armi a Kiev e allarga le divisioni nell’Ue

Mentre il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, incontrava a Kiev Volodymyr Zelensky promettendo che l’Ue farà «tutto il possibile per assicurarci che vinciate la guerra», Berlino rispondeva picche alla richiesta ucraina di armamenti “pesanti”.
La Germania frena sull’invio di armi
Attirandosi molte critiche in patria e all’estero, il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz ha sostenuto di aver fornito a Kiev una lista di armi che l’Ucraina potrà comprare dalla Germania con i due miliardi di euro promessi da Berlino. Ma nella lista, ha dichiarato l’ambasciatore ucraino Andrij Melnyk, «non ci sono le armi di cui abbiamo bisogno». Mancano in particolare i mezzi corazzati “Marder” e i sistemi di artiglieria “Panzerhaubitze”.
L’Ucraina ha rinnovato le critiche a Scholz e alla Germania, accusandola anche di non consentire all’Ue di bloccare le importazioni di gas russo. Facile intuire le ragioni dietro le scelte del cancelliere tedesco: la guerra, secondo le stime, ha già fatto perdere a Berlino due punti di Pil e se il gas russo fosse bloccato subito, nel 2022 e 2023 l’ammanco salirebbe a 220 miliardi di euro.
All’Ucraina arrivano tank e caccia
La cautela della Germania in merito alle sanzioni e alla forniture di armi fa a pugni con le dichiarazioni solenni di Michel e dimostra, come già scritto più volte, che l’Ue non è affatto unita e concorde su come affrontare il conflitto in Ucraina. Se Berlino “tentenna” (la Bild ha appena coniato un nuovo verbo per esprimere il concetto: scholzen), i paesi baltici invocano invece più aiuti militari per aiutare l’Ucraina a resistere all’offensiva russa nel Donbass.
Gli Stati Uniti sono della stessa idea: a breve arriveranno da Washington in Ucraina 18 obici da 155 millimetri, 40 mila proiettili, i radar per dirigere il tiro, elicotteri da guerra e uomini per formare gli artiglieri ucraini. Non solo: le batterie contraeree ucraine distrutte dai russi sono state rimpiazzate da quelle slovacche, i paesi dell’Europa orientale hanno fornito cannoni d’epoca sovietica, tank T72, veicoli blindati e mortai.
Ma il rifornimento di armi all’Ucraina ha fatto un nuovo salto qualitativo: dalle basi slovacche o forse moldave, non è ancora chiaro, sono transitati via terra in Ucraina i caccia aerei Mig 29, gli stessi che all’inizio del conflitto gli Usa si erano rifiutati di fornire. Inoltre, ex ufficiali americani e britannici stanno formando in Ucraina gli istruttori locali per insegnare loro a utilizzare i nuovi obici, i droni kamikaze e gli “apparati telecomandati” per la difesa costiera.
Il rischio dell’escalation
Il rischio di un’escalation è evidente soprattutto se si considera che il Cremlino ha testato ieri per la prima volta il missile balistico intercontinentale Sarmat, in grado di montare oltre 10 testate atomiche, coprire una distanza di 18 mila chilometri e a detta dei russi «superare tutti i moderni sistemi antiaerei». È anche guardando a questa evoluzione che Berlino ha deciso di bloccare l’invio di armi pesanti all’Ucraina.
Scholz non è l’unico a mostrarsi prudente. Come già scritto, «anche Mario Draghi, che pure in queste settimane ha tenuto una linea fermissima di condanna contro l’invasione russa, l’altro giorno, dopo l’incontro con Biden e i leader di Germania, Gran Bretagna, Canada, Giappone, Polonia e Romania, ha diramato una nota ufficiale in cui, come notato da Avvenire, con una semplice omissione ha operato un distinguo. Nel comunicato si ribadisce il sostegno all’Ucraina, ma non si fa alcun riferimento alle armi, anzi, si sottolinea “l’esigenza di giungere quanto prima ad un cessate il fuoco per porre fine alle sofferenze della popolazione”».
L’Europa deve ritrovare se stessa
Le posizioni più prudenti di Germania, Francia e Italia non combaciano con le dichiarazioni dei vertici dell’Ue e con quelle dei paesi membri dell’Est Europa. Il tentativo di Scholz di ritagliarsi un ruolo nella costruzione di una tregua tra Russia e Ucraina mal si concilia con i rappresentanti di Bruxelles che abbandonano il G20 per non ascoltare il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov.
Davanti a questa guerra, la priorità per l’Europa è ritrovare se stessa, in modo particolare quell’unità che in politica estera forse non ha mai avuto. Come dichiarava l’ex premier Romano Prodi al Qn mercoledì: «Come possiamo parlare di frenare l’escalation eccessiva dell’America quando in Europa ancora non esiste una politica estera comune? Quando, tanto per fare un esempio, perfino in Libia comandano Turchia e Russia?».
Foto Ansa
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