La Francia inventa i figli senza padri. Anche i genitori dovrebbero avere paura

Di Rodolfo Casadei
05 Agosto 2020
Se il criterio decisivo è l’amore (e l’educazione) che si è capaci di dare ai propri bambini, qualunque legame può essere messo in discussione. Dallo Stato e non solo
Manifestazione contro la legge di bioetica in via di approvazione in Francia

La cosa più stupida che possono dire i sostenitori delle leggi permissive e prometeiche in materia di vita, morte e famiglia per giustificare le proprie richieste è: «Te sei libero di fare come vuoi; permetti a chi non la pensa come te di… accedere all’eutanasia, all’aborto, alla fecondazione assistita eterologa, all’utero in affitto, al matrimonio omosessuale, eccetera. A te cosa ti cambia?».

Cambia tantissimo, in certi casi cambia tutto. Tutte queste sono rivoluzioni antropologiche che cambiano la condizione di tutti, non solo di chi usufruisce di certe opzioni rese fruibili, e che hanno anche conseguenze politiche che ricadono su ciascuno di noi.

Quando viene legalizzato l’aborto, la coscienza che ho di me stesso cambia radicalmente nei termini di una svalutazione: la mia vita è del tutto accidentale, i miei genitori avevano tutto il diritto di eliminarmi quando ero poco più di un embrione, non avevano il dovere di accogliere con sacro timore l’evento del mio concepimento.

Quando viene approvata l’eutanasia, addirittura definendola “la morte con dignità”, si ribaltano i termini morali con cui viene giudicato il comportamento dei figli nei confronti dei genitori anziani malati: crudele non è più chi vuole sbarazzarsi del peso di una madre o di un padre senza speranza di guarigione che richiede un’assistenza diuturna, ma chi si nega all’eventuale richiesta dell’esausto genitore di essere aiutato a mettere fine alla propria vita.

Discorso molto simile vale per la legge bioetica che il parlamento francese sta approvando, e che fra le altre cose renderà legale la procreazione medicalmente assistita per le donne single e per le coppie lesbiche. Uno dei parlamentari della maggioranza di governo (la fecondazione assistita rimborsata dalla mutua per donne singole e per coppie faceva parte del programma con cui si è presentata alle elezioni En Marche, la formazione politica di Emmanuel Macron) ha avuto l’ardire di affermare che queste novità non riguardano gli eterosessuali, che continueranno ad avere figli allo stesso modo di prima. Ma non è affatto vero.

Gli ha risposto Christian Flavigny, psicanalista e psichiatra infantile:

«Il legislatore pretende di dare tutto il suo spazio all’“amore” e, certo, non c’è una composizione familiare più propizia di un’altra per dispensarlo. Ma l’amore non basta a strappare il figlio al suo destino di piccolo umano: occorre la coerenza di un legame di filiazione che instauri fra i genitori e il figlio la logica del suo essere stato messo al mondo.

Il legislatore ritiene che il figlio possa farne a meno. Assegna delle definizioni che hanno coerenza solo nelle richieste degli adulti, come il riconoscere “co-madri” due donne unite o sposate fra loro, come se questo permettesse di eludere la mancanza del padre, cosa possibile per gli adulti ma inconcepibile per il bambino, privato del fondamento di una relazione generativa credibile. Questa, tutto l’amore del mondo non potrà mai compensarla per lui. E il pregiudizio portato a questo bambino si riflette su tutti gli altri bambini, perché convalidato dalla decisione collettiva delle leggi: è il legame fra tutti i genitori e tutti i figli che risulta squalificato. (…)

Accontentarsi di sostenere che le unioni uomo-donna potranno continuare ad avere figli alla loro maniera, non evita che la legge invalidi la funzione di radicamento nella propria storia familiare e personale che stabilisce per il bambino una coerenza relativamente al modo in cui è venuto al mondo. La legge squalifica questa funzione “per tutti” e crea l’erranza filiativa come principio della venuta al mondo dei bambini. Le conseguenze sono prevedibili e temibili (…)».

Una legge che mette sullo stesso piano ogni forma di genitorialità crea problemi sia ai bambini di coppie omosessuali o di donne single inseminate, costretti a credere a qualcosa che non ha coerenza con la realtà, che a quelli delle coppie uomo-donna, perché per appropriarsi della propria sessuazione come maschi e come femmine bisogna passare attraverso quella dei genitori, padre e madre, e se intorno a me bambino la società mi dice che i figli nascono anche in modi diversi da quello dell’amore fra mamma e papà, io bambino andrò fatalmente in confusione.

Ma anche gli adulti sono duramente colpiti. Mi assumo la responsabilità di dire che sono colpiti ancora più dei bambini. E mi spiego: quella che Flavigny chiama “l’erranza filiativa”, cioè il fatto che non è importante il modo in cui i bambini vengono al mondo, che non c’è alcuna gerarchia qualitativa fra l’essere nati da un padre e una madre piuttosto che da una provetta che tiene il posto del padre, equivale a una svalutazione radicale del legame generativo fra i genitori e il bambino. Il fatto che, insieme a mia moglie, sono colui che ha messo al mondo mio figlio o mia figlia, non mi dà nessun vantaggio, nessun primato rispetto ad altri modi in cui i bambini possono essere messi al mondo. Perché il criterio decisivo delle relazioni è semplicemente l’amore: là dove c’è amore c’è una famiglia, c’è paternità, c’è maternità, c’è figliolanza, chiunque siano i soggetti o il soggetto che proietta amore. Sì, bisogna anche farsi carico della funzione educativa, ma la capacità di educare altro non è che un pendant dell’amore.

Ed è qui che cominciano i problemi: se a rendere socialmente valido il legame coi miei figli non è più la coerenza del legame di filiazione, ma l’amore (e l’educazione) che dimostro di potergli dare, il mio legame può essere messo in discussione. Facilmente ci saranno in giro coppie o singoli che possono dichiarare di essere più competenti di me in materia di educazione, di essere più sensibili e altruisti, e quindi più capaci di amore. La società, o addirittura i miei stessi figli, potrebbe decidere che è meglio per i miei bambini avere un altro padre e un’altra madre, o semplicemente dei referenti, degli esperti più capaci e più empatici di me. È una prospettiva che toglie ogni senso di sicurezza a un genitore e ferisce la sua autostima. Ma non tutti se ne rendono conto.

C’è chi non si rende conto della portata di questa svalutazione. Alcuni anni fa mi capitò di intervistare il noto giurista americano Joseph H.H. Weiler, che poi non diede il permesso per la pubblicazione del nostro colloquio. Rispondendo a una domanda che riguardava l’obbligo imposto dallo Stato alle agenzie cattoliche britanniche per le adozioni di rendere i loro servizi anche alle coppie omosessuali, Weiler chiosò la sua risposta (che propendeva per il pluralismo delle agenzie di adozione, così che qualunque tipo di coppia potesse rivolgersi là dove avrebbe trovato ciò che cercava) aggiungendo: «Io comunque in caso di morte imminente non avrei nessun problema a sapere che i miei figli saranno adottati da omosessuali: conosco persone di questo orientamento estremamente capaci di amore paterno».

Stupisce la scarsa coscienza della complessità della funzione paterna, che va ben al di là dell’amore, e il poco attaccamento alla coerenza del legame di filiazione, completamente squalificato da un’asserzione come quella che avere un padre legato a te dal rapporto generativo o avere un padre adottivo omosessuale è la stessa cosa, anzi la seconda potrebbe essere migliore della prima. Quel che passa nel ragionamento di Weiler è la perfetta sostituibilità di ogni padre: si tratterebbe di una funzione che moltissimi altri potrebbero esercitare al nostro posto, e di costoro molti meglio di noi.

Dopo i più gravi attentati terroristici si usa dire, per solidarietà, “siamo tutti americani” o “siamo tutti francesi”, quando New York o Parigi vengono colpite da attacchi sanguinosi. A causa di leggi come quelle che si stanno approvando in Francia dobbiamo cominciare a dirci fra di noi: “siamo tutti bibbianesi”; come i genitori di Bibbiano, potenzialmente possiamo tutti essere privati dell’esercizio della nostra paternità o maternità, perché c’è in giro qualcuno più qualificato di noi ad esercitarla, più competente a parere degli esperti.

In maniera appena meno drammatica, nel suo libro Le débat confisqué, apparso l’anno scorso, Flavigny illustra la condizione dei genitori all’indomani delle leggi che parificano ogni forma di generazione umana:

«Una volta scollegata la nozione di genitore dal suo senso che si riferisce all’azione del mettere al mondo (pareo, partum, parere: partorire), che va dimenticata “per non discriminare nessuno”, il genitore è un adulto come quasi tutti gli altri in rapporto al figlio. Essere genitori si riassume nella funzione di educatore, ma privata della base offerta dal legame di filiazione. I genitori che non hanno seguito una formazione pedagogica e che non sono pagati per essa, non sanno più come occuparsi dei loro figli. O piuttosto: quando le cose vanno bene, più o meno lo sanno, ma quando sopraggiunge una tensione, una crisi, privati della filiazione come regolatore della vita familiare, non hanno altre risorse che chiamare un numero verde».

Sperando che dall’altra parte non risponda un certo tipo di assistenti sociali.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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