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Home Cultura

La fatica di dirsi conservatori

Come restituire una voce all’“individuo comunitario” nell’epoca della globalizzazione livellatrice di tutte le identità? Chiedere a Heidegger e Prezzolini

Gennaro Sangiuliano
28/06/2017 - 2:00
Cultura
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Destra

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Agli inizi degli anni Settanta, Giuseppe Prezzolini, l’unico intellettuale di rango che all’epoca (siamo nel lungo Sessantotto italiano) si autodefiniva apertamente conservatore, dopo aver trascorso circa trent’anni negli Stati Uniti, definiva in un intervento sul Corriere della Sera la formula della «destra che non c’è», per indicare un’anomalia della politica italiana. Lo fece con due saggi, Intervista sulla Destra e Manifesto dei conservatori, nei quali sottolineava un vuoto del sistema di un paese che stava riscoprendo.

Lo storico francese René Remonde affermava che ci sono tre destre: quella mistico-irrazionale, quella cattolico-tradizionalista e quella liberal-conservatrice. Norberto Bobbio, invece, in uno dei suoi ultimi scritti delineò i tratti distintivi della destra e della sinistra. Prezzolini con una tagliente battuta affermò che le destre «sono tre, trentatré o trecentotré», per indicare la frammentarietà di questo luogo politico, l’individualismo dei suoi artefici, la difficoltà di ritrovare idee unificanti. Sorprendentemente un autore come Piero Gobetti scrive: «Un partito conservatore poteva compiere in Italia una funzione moderna, indirettamente liberale, in quanto facesse sentire la dignità del rispetto della legge».

Gli esclusi e le élite
Una destra (come una sinistra, sono sempre esistite) è tale prima ancora come atteggiamento culturale, filosofico, mentale, che determina solo dopo una categoria del politico. Appartenere a queste categorie significa appartenere a una modalità prepolitica, aderire a una visione del mondo e della vita. La destra, sia pur nella diversità delle sue declinazioni, è frutto di una concezione che pone al centro dell’universo l’individuo comunitario, la persona fondata sulla libertà e sulla spiritualità del suo agire coniugata con l’identità, la tradizione e il senso dell’appartenenza. Il conservatorismo è anche un dato caratteriale: Thomas Mann nelle Considerazioni di un impolitico aveva osservato che «ironia e conservatorismo sono due stati d’animo strettamente affini».

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Si dibatte molto negli ultimi tempi del superamento o meno delle categorie di destra e sinistra; tema più che fondato perché la globalizzazione con molti suoi effetti nefasti ha imposto una nuova più aderente divisione. Oggi il mondo appare spaccato tra una stragrande maggioranza di esclusi, spesso schiacciati dal pensiero unico, condannati a una vita precaria permanente, e dall’altra parte ristrette élite che per effetto dei processi globali hanno accumulato potere e denaro.

È noto, secondo quanto statisticamente accertato dal rapporto Oxfam del 2017, che otto persone al mondo detengono una ricchezza pari alla metà della popolazione mondiale. Gli uomini d’oro sono Bill Gates, Amancio Ortega, Warren Buffett, Carlos Slim Helu, Jeff Bezos, Mark Zuckerberg, Larry Ellison e Michael Bloomberg e possiedono 426 miliardi di dollari, mentre 3,6 miliardi di abitanti messi insieme posseggono molto meno di questa cifra. È curioso notare come quasi tutti gli otto supermiliardari professino idee progressiste: Bill Gates, Jeff Bezos e Mark Zuckerberg si sono palesemente schierati contro Donald Trump sostenendo anche economicamente Hillary Clinton.

Un contromovimento antinichilista
Il rapporto di Oxfam dimostra come sia strutturale la tendenza dell’attuale sistema economico a favorire l’accumulo di ricchezza nelle mani di una élite privilegiata ai danni dei più poveri. Tuttavia, mentre il fenomeno della mondializzazione globale ha percorso il nostro pianeta, come un moto irresistibile; in silenzio un fiume carsico, oscuro quanto sconosciuto, si è messo in moto animando quelle che potremmo definire come “culture della ribellione”. Per molto tempo si è pensato che Fukuyama avesse ragione, il destino globale di un dissolvimento nella grande liquidità, la costruzione del nuovo ordine mondiale unipolare (One World) sul modello “Spectre”, appariva segnato, ineluttabile. I fatti, invece, si sono mossi nella direzione opposta, dalle certezze degli anni Novanta ad oggi, il paradigma per molti versi appare ribaltato. Le turbolenze interne di molte democrazie che pure erano additate come modello di equilibrio, sembrano rimettere in discussione la «fine della storia». La destra avrà un senso se si ridefinisce in questo contesto di nuova dialettica fra élite della globalizzazione e la massa degli esclusi ai quali può dare voce e dignità.

Carl Schmitt ci ha insegnato che quasi sempre le categorie del politico si definiscono nel gioco dell’antitesi, nella contrapposizione amicus-hostis. La politica, secondo il giurista, autore del saggio Le categorie del politico si determina nelle differenze, nella rappresentanza e nella proiezione di elaborazioni culturali diverse, in un gioco hegeliano di tesi e antitesi. La destra dovrebbe muoversi sul terreno culturale della denuncia del nichilismo europeo, a partire dall’analisi che Heidegger ha costruito attorno alla filosofia di Nietzsche, l’affermazione di quel «contromovimento» che si oppone alla «distruzione di valori finora validi», alla «mera nullità dell’ente» e alla «mancanza di prospettive della storia umana».

Quando comincia la decadenza
L’affermazione heideggeriana del primato ontologico del problema dell’essere induce giocoforza ad apprezzare il valore di ciò che siamo stati, «l’impulso a cogliere attraverso la tradizione, la sua esposizione e la sua trasmissione, la realtà storica stessa». Il conservatorismo per Heidegger è chiamato a preservare la democrazia dell’essere che poggia su elementi essenziali: il Führung, il comando; il Volk, il popolo; l’Erbe, l’eredità; la Gefolgschaft, la comunità dei seguaci; il Bodenständigkeit, il radicamento nella propria terra. Prima di lui era stato Giambattista Vico a richiamare l’idem sentire de republica parlando di «sapienza poetica» di un popolo. Ecco perché Prezzolini, condividendo la preoccupazione heideggeriana, sostiene che «una nazione decade quando il pensiero che la guida si allontana dal concetto fondamentale dell’essere per cadere sotto la preoccupazione dei suoi particolari».
La destra potrebbe tornare ad essere tutto ciò. Lo saprà fare? Difficile dirlo.

Gennaro Sangiuliano è vicedirettore del Tg1

Tags: centro destraconservatoridestraglobalizzazione
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