Padre Samir Khalil Samir, gesuita egiziano e docente universitario in Libano, è stato invitato a parlare al Centro missionario Pime di Milano sul tema “Cristiani e musulmani: nemici o fratelli?”, dove – spiega a Tempi – da grande conoscitore della storia della cultura araba ha voluto raccontare ai presenti che «cristiani e musulmani coesistono in Medio Oriente da quattordici secoli in un rapporto fatto di incontri e di scontri. Ed è normale, trattandosi di due tradizioni religiose differenti e di due realtà storiche. Troppo spesso si dimentica che le religioni sono anche realtà socio-politiche, e nella politica il potere conta e determina assetti dove ci sono vincitori e vinti. La domanda del titolo suggerisce una dinamica da incoraggiare: da nemici a fratelli. Si deve spiegare che si può vivere insieme. Ma a certe condizioni: non è automatico né naturale. Ci vuole uno sforzo. Personalmente non uso troppo la parola dialogo, preferisco parlare di rapporti. Che possono essere buoni, cattivi o neutri».
Quali sono le condizioni per creare buoni rapporti tra cristiani e musulmani?
Primo, aver fiducia nell’interlocutore, presupporre la sua buona fede. Secondo, essere sinceri e intellettualmente onesti. I corsi di islamologia all’università San Giuseppe di Beirut dove insegno vedono sempre in aula due docenti, un cristiano e un musulmano. In questo modo non c’è spazio per l’ipocrisia e il doppio linguaggio: non posso aspettare di essere da solo con gli studenti per dire loro cosa penso veramente; allo stesso tempo, se l’altro docente giudica impreciso quello che dico circa l’islam, mi può interrompere e fare precisazioni. Terzo: non accettare compromessi sui valori. Questo significa che sui diritti umani, sulla libertà di religione, sui diritti della donna, eccetera non si possono fare sconti. Se l’interpretazione dominante del Corano o della Bibbia va contro questi valori, io combatterò apertamente quella interpretazione. Quarto, bisogna sempre aiutare l’altro a capire la mia cultura e la mia fede tanto quanto mi impegno a capire la sua. L’errore che fa oggi l’Europa è proprio questo: non trasmette agli immigrati musulmani la tradizione religiosa e i valori culturali europei, per questo l’integrazione diventa impossibile e i rapporti interreligiosi non sono buoni. Quinto, tutto quello che musulmani e cristiani possono fare insieme, devono farlo insieme: mi riferisco alle opere di carità, all’impegno sociale, alla costruzione della città comune. Se costruiamo insieme la civiltà, non ci sarà nessuno scontro di civiltà.
Lei ha difeso le vignette danesi su Maometto, e molti si sono scandalizzati. Perché questa sua presa di posizione?
Io condanno le vignette da un punto di vista etico, ma credo che fino a quando c’è piena libertà di espressione, il diritto di chiunque a esprimersi vada accettato e difeso. Dico sempre ai musulmani: «Se protestate che il Profeta non può essere raffigurato come un violento, e la vostra protesta è violenta, contraddite la verità che volete difendere e date ragione a chi vi critica». Io penso anche che l’Occidente dovrebbe interrogarsi sui limiti della libertà di espressione e valutare se questi limiti non debbano essere fissati per legge. Ma fino a quando non ci sono novità giuridiche, la libertà di espressione secondo le leggi vigenti va difesa.
In questi giorni si è tenuto un contestato referendum costituzionale in Egitto. Cosa pensa della nuova Costituzione, è un passo avanti o un passo indietro per il paese? E quale è stata la posizione delle Chiese?
Le Chiese cristiane si sono pronunciate in modo chiarissimo a favore. Shenouda III, il papa dei copti, è andato a votare e ha incoraggiato la gente a recarsi alle urne facendosi fotografare mentre votava. Purtroppo però la partecipazione al voto è stata bassissima. La nuova costituzione rappresenta un passo in avanti perché diminuisce il ruolo della sharia, vieta di creare partiti su base religiosa e offre nuovi strumenti per la lotta al terrorismo. Per questo è criticata dai fondamentalisti, dagli islamici radicali, dai Fratelli Musulmani. Altri dicono: il governo ha agito seguendo direttive arrivate dall’America. Queste sono reazioni politiche che si possono capire, ma per quanto riguarda i contenuti della riforma, si tratta senz’altro di un passo avanti.
Cosa cambia a proposito della sharia?
Fino ad oggi la Costituzione proclamava la sharia come “il” fondamento del sistema legale egiziano. Adesso la sharia è diventata “un” fondamento. È un piccolo passo avanti, anche se sarebbe stato meglio tornare alla Costituzione del 1923, che era più liberale. Questo dimostra che negli ultimi 80 anni il mondo egiziano (ma si può allargare il discorso a tutto il mondo arabo) ha fatto grandi passi indietro. È questo il dramma che vive il mondo musulmano.
Se la posta in gioco era tanto importante, perché così pochi sono andati a votare al referendum egiziano?
Per l’influenza delle tendenze islamiche radicali. I Fratelli Musulmani presenti in parlamento sono 88 su 440 deputati, ma il loro ascendente sulla società è molto più forte. La gente ha seguito le loro direttive, questa è la verità.
Qual è il problema del mondo islamico oggi?
I problemi sono il vittimismo, l’inadeguatezza dell’ermeneutica dei testi sacri e la mancanza di un’autorità centrale. Oggi i musulmani si credono vittime del bisogno degli occidentali di avere un nemico, e quando si parla loro di al Qaeda rispondono: “Quello non è islam”. Ma non è vero e lo sanno: gli inviti alla violenza di Osama Bin Laden hanno un’eco presso milioni di persone perché la sua è un’interpretazione possibile dell’islam. E non c’è un’autorità che possa smentirlo in maniera definitiva. Ci tengo a dire che sento questo problema come un problema mio, perché anche noi cristiani arabi siamo, culturalmente parlando, dei musulmani. Noi cristiani orientali partecipiamo alla crisi del mondo musulmano, al quale mancano un’autorità centrale e dei dotti umanisti per interpretare il Corano tenendo conto del tempo in cui viviamo. Siamo nella fase più oscura dell’epoca moderna.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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