

Su Formiche Alessio Moroni scrive: «Un elemento indispensabile per “scardinare” l’egemonia culturale della sinistra, imperante dal Sessantotto, e che per molto tempo ha precluso agli intellettuali di destra la possibilità di divulgare il proprio pensiero ad un vasto pubblico. Una pregiudiziale mediatica che solamente con lo sviluppo di una linea comune può essere invertita. Ed è questa la visione alla base di convegni come questo e dell’indirizzo politico che il governo sta attualmente dando al ministero della Cultura guidato da Sangiuliano».
Costruire la cultura di un nuovo partito conservatore di massa è impresa particolarmente complessa. Le vecchie culture della Prima Repubblica hanno perso parte decisiva delle radici che le legavano alla società italiana e che erano state poste nella stagione della Guerra fredda (in realtà in quella della Guerra civile europea che va dal 1914 alla fine dell’Unione Sovietica nel 1991). Hanno perso le loro radici ma non la loro influenza nell’allocazione del potere e più in generale nella gestione del linguaggio, provocando la classica situazione del “morto che afferra il vivo”. E i movimenti collettivi (tipo quelli che hanno generato i 5 stelle) che operano nella nostra società, se non vagliati da un pensiero critico articolato, producono guasti piuttosto che effetti di partecipazione della società e di riqualificazione della politica.
In questo contesto costruire la cultura di una tendenza politica conservatrice è difficile e, tra l’altro, senza ridare razionalità alle istituzioni statuali è praticamente impossibile. Perché solo in nuovo Stato si riuscirà a riformare i “materiali” per le idee prodotti dalla storia, riuscendo a evitare l’effetto “morto che afferra il vivo”, andando oltre a culture marxiste e reazionarie, a un pensiero politico democristiano che teneva insieme pulsioni socialiste a classiche scelte conservatrici, superando la scarsa qualità d’intervento di una grande borghesia laterale nella Repubblica anche per scontare le colpe del suo rapporto con il fascismo, tutte tendenze decollate dopo il 1914, dopo una guerra europea (prima calda e poi fredda) che non c’è più. E l’impegno a costruire una cultura politica conservatrice è reso ancora più arduo da tutti gli elementi che rendono oggi fluida la nostra società (dalla radicalizzazione dei processi di secolarizzazione agli effetti della iperconnessione di massa). Insomma, quel che aspetta “i conservatori” è un lavoro duro che certamente non si risolve scegliendo scorciatoie più retoriche che efficaci.
* * *
Su Huffington Post Italia Silvia Renda scrive: «Sburocratizzazione, digitalizzazione e assunzione dei precari. Le tre questioni centrali del Piano presentato in Cdm dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara mettono d’accordo tutti i sindacati della scuola. Sono tutte questioni urgenti, rivendicate dalle sigle a vario titolo nel corso degli anni. Risolverle comporterebbe compiere un passo avanti, che, ribadiscono i diretti interessati, non deve però far passare in secondo piano le ulteriori questioni altrettanto urgenti sul fronte scolastico, come la fatiscenza degli istituti e la stabilità del lavoro, per citarne un paio».
Valditara, quando smette di fare polemiche che mal si combinano al suo ruolo di ministro, sa misurarsi su una questione fondamentale per la nostra società (quella scolastica), con atteggiamenti non privi di saggezza – come nella citazione qui riportata – anche nel rapporto con i sindacati. Dovrebbe aprire un confronto oltre che con i sindacati anche con la cultura italiana, pure quella di sinistra non istericamente schierata: ecco un nodo, quello scolastico, da sciogliere nella formazione di una cultura conservatrice che non può essere risolto con un approccio meramente tecnico.
* * *
Su Tgcom 24 si scrive: «Il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, esprime preoccupazione sulle politiche attuate dalla Bce per contrastare l’inflazione. “Nell’ultimo quadrimestre del 2023 ci aspettiamo una discesa dell’inflazione, sarà intorno al 5-6 per cento”, dice intervenendo alla Conferenza nazionale delle Camere di commercio. “Di fronte a questa situazione vediamo politiche della Bce: quello che sta facendo sta andando oltre il giusto contrasto” e “non vorrei che per il contrasto all’inflazione si entrasse in recessione”».
Chissà che anche Confindustria non cominci a impegnarsi sul serio sui temi dello sviluppo italiano, abbandonando un atteggiamento centrato più su una retorica (largamente a copertura di un comportamento opportunistico) che su un vero coinvolgimento (innanzi tutto culturale) sulle scelte di fondo per l’Italia.
* * *
Su Open Franco Bechis scrive: «Il comunicato prosegue: “Con ogni evidenza, Open ha avuto notizia di un rilievo della Corte dei conti, datato e comunque già superato, rispetto a fondi stanziati per la navigazione sul Po, sistema idroviario Padano-Veneto, in particolare per l’Idrovia ferrarese: si tratta di risorse che assolutamente nulla hanno a che fare con la sicurezza idraulica e la prevenzione del dissesto”. In conclusione si dà la notizia di Matteo Salvini che ha di nuovo rifinanziato il piano perduto, restituendo i 55 milioni persi perché l’Emilia-Romagna non era riuscita a spenderli. “Tali risorse”, si precisa, “risultano già recuperate e tuttora nella disponibilità della Regione grazie ad un accordo con il ministero, impiegate non a caso per l’unico scopo previsto e ammissibile: il Piano triennale per la navigazione interna, approvato dalla giunta regionale in una delle ultime sedute, che prevede non a caso investimenti per 55 milioni di euro”».
Prima la Toscana, poi l’Emilia-Romagna. Quando Salvini smette il suo tono da agitatore (che – si comprende – in parte deriva dallo sforzo di non far scomparire la Lega dalla scena generale) e affronta temi concreti, dialogando seriamente anche con le Regioni guidate dalla sinistra, ottiene alcuni risultati interessanti.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!