L’aumento vertiginoso dei prezzi del gas a partire dal secondo semestre del 2021 e ora la guerra lanciata dalla Russia contro l’Ucraina stanno rendendo gli Stati Uniti non solo il principale produttore di gas naturale liquefatto (gnl) al mondo, ma l’unica vera talassocrazia globale in grado di capitalizzare quello che per l’Europa e per le potenze continentali si sta prospettando come un vero disastro economico e sociale.
L’accordo sul gas tra Usa e Ue
La minaccia di Vladimir Putin di pretendere dai paesi cosiddetti “ostili” il pagamento delle forniture in rubli, se tradotta in realtà, porterebbe ad una fine, almeno in termini economici, di Russia (impossibilitata a compensare le entrate provenienti dai paesi europei con quelle cinesi) e ovviamente dell’Europa che non dispone degli strumenti per compensare nel brevissimo periodo le forniture di gas russo: 155 miliardi di metri cubi nel 2021, di cui 142 via gasdotto e 14 via gnl. Con questi dati, appare chiaro che i 15 miliardi di metri cubi di gnl statunitense aggiuntivi che nei prossimi mesi fluiranno verso l’Europa, annunciati lo scorso 25 marzo dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, e da Joe Biden, andranno giusto a coprire il gnl importato dalla Russia, lasciando di fatto fuori il resto.
La strategia Ue prevede di ridurre di almeno due terzi le importazioni di gas russe entro la fine di quest’anno: 60 miliardi di metri cubi di gas russo saranno sostituiti con gnl, 18 miliardi con biometano e altri 50 miliardi dall’idrogeno. Le evoluzioni sul campo e i tempi lunghissimi di gestazione e implementazione delle strategie europee potrebbero rendere tali proposte già superate e forse irrealizzabili. Un dato è tuttavia certo, Washington si pone come il vero vincitore della guerra parallela per il dominio energetico di una risorsa ponte come quella del gas, giocando, come già avvenuto per la crisi petrolifera del 2015, su un piano differente, nuovo e soprattutto resiliente ai cambiamenti: il dominio marittimo.
Il gnl americano costa fino al 40% in più
Se il gas naturale è una risorsa tutto sommato abbondante a livello globale, con riserve accertate pari a 198 mila miliardi di metri cubi, che accrescono di anno in anno, lo stesso non si può affermare per il gas naturale in circolo sui mercati che risente dello sviluppo delle infrastrutture per il suo trasporto dal giacimento al cliente finale che può avvenire o tramite gasdotto o via nave.
Il gnl e il gas che passa tramite gasdotto sono lo stesso prodotto in forme diverse e costi diversi. A differenza del gas naturale che viene immesso nei gasdotti senza grandi trasformazioni, il gnl, come afferma appunto il nome, viene compresso fino allo stato liquido per lo stoccaggio e il trasporto e viene “rigassificato” per l’uso e l’immissione in rete. Il sistema di esportazione via gasdotto è quello più utilizzato e caratterizza produttori e clienti a vocazione continentale e con una gestione del settore energetico generalmente statale, con grandi produttori che operano attraverso le cosiddette Noc (National oil and gas corporation, ad esempio Gazprom per la Russia, Sonatrach per l’Algeria, oppure Aramco per l’Arabia Saudita) e gli importatori che vedono un operatore nazionale che gestisce i flussi in entrata e la distribuzione sul territorio nazionale.
I costi e i tempi di sviluppo sono alti, ma dati gli ampi volumi e il basso costo di gestione delle reti una volta realizzate, sono facilmente ammortizzabili.
Usa primo esportatore di gnl al mondo
Il gnl funziona con una logica differente. Il gas estratto dal giacimento viene trasferito via gasdotto al cosiddetto treno di liquefazione, stoccato e caricato su navi metaniere che possono trasportare il gas di fatto ovunque vi sia un terminal di rigassificazione disponibile, senza vincoli di sorta, se non quello contrattuale, ma con costi superiori al gas trasportato via gasdotto. Non è un caso che i paesi che importano più gnl, come il Giappone, siano quelli che sono impossibilitati per ragioni geografiche ad essere approvvigionati tramite gasdotti, quindi disposti a pagare il gas a un prezzo più alto. Il clima di picco della domanda innescato dalla ripartenza dell’economia post-Covid e ora la necessità di liberarsi del giogo russo hanno reso il gnl appetibile anche in Europa, con gli Stati Uniti principale “attore” del mercato presente e futuro.
A differenza della Russia, gli Stati Uniti vantano non solo la rete di condotte più estesa e capillare al mondo, 333.366 chilometri, (la Russia è seconda con 92.831 chilometri), ma soprattutto la più grande capacità di liquefazione di gas per l’esportazione. Gli Stati Uniti hanno iniziato a esportare gnl nel 2016 e in brevissimo tempo sono divenuti il principale esportatore al mondo, facendo concorrenza ad Australia e Qatar. Attualmente, negli Stati Uniti operano sette terminali gnl: Kenai (Alaska) Sabine Pass (Louisiana), Corpus Christi (Texas), Cove Point (Maryland), Cameron Lng (Louisiana), Freeport Lng (Texas) ed Elba Island (Texas). Sono in programma ulteriori espansioni di terminali e nuovi terminali, con il Calcasieu Pass che entrerà in funzione sempre in Louisiana entro la fine del 2022, per un totale di 13 nuovi terminali approvati.
La geopolitica del gas
A novembre 2021 la capacità di liquefazione del carico di base nominale degli Stati Uniti era di 269 milioni di metri cubi di gas al giorno (dati Eia) con la capacità di picco, che include gli aumenti della capacità di produzione di gnl nei due terminal di Sabine Pass e Corpus Christi, pari a 328,4 milioni di metri cubi. Secondo l’Eia, entro la fine del 2022, la capacità nominale degli Stati Uniti dovrebbe aumentare a 322,8 milioni di metri cubi al giorno con la capacità di picco che aumenterà a 393,6 milioni di metri cubi, superando l’Australia (che ha una capacità di produzione massima stimata di gnl di 322,8 milioni di metri cubi al giorno) e Qatar (capacità massima di 294,4 milioni di metri cubi al giorno).
Le tensioni geopolitiche unite all’aumento della domanda di gas a livello globale hanno consentito l’espansione del gnl a livelli record. Il commercio di gnl nel mercato energetico globale è aumentato del 94,3 per cento dal 2009 al 2019. Nel 2019, anno pre-pandemia, il commercio di gas è stato pari a 801,5 miliardi di metri cubi (38 per cento di gnl e 62 per cento via gasdotti). Nel 2021 il mercato del gnl è cresciuto ulteriormente con circa 380 milioni di tonnellate di gnl commercializzate (524 miliardi di metri cubi standard), di cui 80 milioni (110 miliardi di metri cubi) acquistate dall’Europa. Gli Stati Uniti hanno acquistato via via quote di mercato. Nel 2019 gli Usa hanno esportato 33 milioni di tonnellate di Gnl (circa 45 miliardi di metri cubi), quantità cresciuta a 44,8 milioni di tonnellate nel 2020 (61,8 miliardi di metri cubi) e al record di 75 milioni di tonnellate (circa 103 miliardi di metri cubi) nel 2021.
All’Ue mancano i rigassificatori
Il gnl Usa mostra quindi enormi potenzialità, ma con vantaggi sicuri per le aziende statunitensi e vantaggi “ipotetici” e non risolutivi per i paesi europei. Se si prendono come base i dati dello scorso anno, gli Usa potrebbero soddisfare “idealmente” l’equivalente di circa il 40 per cento del gas che la Russia invia in Europa e sarebbe proprio questo l’obiettivo dell’amministrazione Biden. L’accordo annunciato il 25 marzo prevede infatti che gli Usa aumenteranno le forniture all’Europa a 50 miliardi di metri cubi fino al 2030. Tuttavia, il settore del gnl funziona su carichi e su una capacità limitata di produzione ed esportazione, nonostante la grande crescita degli ultimi anni, dovuta soprattutto all’alta domanda di gas e all’aumento dei prezzi (che variano notevolmente da mercato a mercato).
La spesa prevista per trasportare 50 miliardi di metri cubi di gas verso l’Europa si aggirerebbe intorno a 29 miliardi di dollari, 20 miliardi per lo sviluppo di nuovi terminal (o treni) per liquefazione e 9 miliardi per ampliare la flotta di navi metaniere. A ciò si aggiunge il tema della capacità di rigassificazione europea e del loro utilizzo a pieno regime. I 28 terminali in Europa hanno attualmente una capacità di acquisto annuale di quasi 150 milioni di tonnellate all’anno, ma vi sono 70-75 milioni di capacità inutilizzata, per varie ragioni da quelle burocratiche a quelle fisiche dovute alla capacità dei terminal di ospitare navi di grande stazza. Il programma Ue prevede la costruzione di altri 26 nuovi terminali nel prossimo periodo.
Il nodo dei contratti
Un altro problema è quello contrattuale e di struttura stessa della filiera del gnl Usa. Nel mercato globale, il 70 per cento del gnl viene esportato con contratti a lungo termine. Pertanto, il restante 30 per cento viene venduto con l’offerta più alta nel mercato spot. Gli Usa hanno inviato quest’anno gran parte delle forniture non coperte da contratti di lungo periodo verso l’Europa tramite il mercato spot, sostanzialmente muovendo le metaniere là dove il cliente era disposto a pagarlo al prezzo più alto.
L’accordo per esportatore gas verso l’Europa sarebbe quindi molto differente rispetto agli accordi sottoscritti finora con entità statali dei paesi produttori tradizionali, con costi ancora da calcolare (il gnl statunitense costa circa il 40 per cento in più rispetto al gas naturale di importazione russa, ma data la volatilità del mercato la percentuale può variare). Come ogni altra industria negli Stati Uniti, il gnl è un settore privato composto da una serie di società concorrenti che operano in un sistema capitalista di libero mercato.
Biden non può comandare il mercato
Come sottolineato da diversi media statunitensi, tra cui Forbes, l’accordo con l’Ue fatto da Biden sarebbe avvenuto senza alcuna previa consultazione con l’industria del gnl statunitense. Diversi sono i vincoli per l’amministrazione, non solo di regolamentazione, ma anche di leggi fatte prima della crisi in Ucraina, volte ad ostacolare lo sviluppo delle fonti fossili tramite vincoli alla concessione di prestiti da parte delle banche. Nei fatti, Biden non ha alcuna autorità reale, a meno di invocare poteri esecutivi di emergenza, per ordinare all’industria privata di conformare le sue operazioni commerciali per soddisfare un’agenda nazionale di qualsiasi tipo. Il settore del gnl guarda storicamente all’Asia con forniture verso Giappone e Corea del Sud, disposte a pagare prezzi più alti per assicurarsi un maggiore carico di forniture e scorte.
Nel 2021, i dati dell’Eia mostrano che circa il 75 per cento delle esportazioni di gnl degli Stati Uniti scorreva in base a contratti verso l’Asia e altre nazioni non europee. I dati in netto aumento del quarto trimestre 2021 sono stati resi possibili dalla netta convenienza a vendere su un mercato con contratti spot dove il gas era scambiato a 194 euro per megawatt ora (il gas naturale prodotto da un giacimento sotterraneo contiene la maggior parte di metano più vari altri idrocarburi più pesanti e i clienti pagano per l’energia derivata dal gas, non per un determinato volume di gas). Come sottolinea l’articolo di Forbes nel sistema statunitense sono i rapporti contrattuali a guidare le rotte del gnl, e non il governo federale.