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La bolla ideologica del Nord omertoso e del Sud liberato dalle associazioni antiracket

Perché ai giornaloni piace far della gran letteratura sulla mafia. Alla fine si tratta di affari. Affari per chi fa giustizia. E per chi fa politica, romanzi, giornali, cinema.

Luigi Amicone
26/02/2015 - 2:00
Politica
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corriere-mafia-nord«Omertà e paura, così la mafia cresce al Nord». Titolo e paginata del Corriere della Sera. «Da Milano all’Emilia, così la ‘ndrangheta si è presa il Nord». Titolo e paginata di Repubblica. Raccontato in soldoni, il messaggio contenuto nei titoli, paginate (e tg Rai) di ieri era il seguente: il Sud sta rientrando nelle legalità, grazie alle virtuose associazioni antiracket. Al Nord la mafia dilaga, grazie a un sistema industriale e di appalti dominato da caduta del senso civico e omertà mafiose.

Naturalmente il messaggio è stato veicolato escludendo completamente considerazioni di buon senso e, in un certo senso, di ovvietà. Tipo che le mafie vanno dove ci sono i soldi (come a Milano o a Dusseldorf) e non dove c’è il deserto. Ma perché il buon senso è sempre escluso a priori? Perché ovviamente il buon senso consiglierebbe di raccontare di una normale e concreta azione giudiziaria di contrasto alle mafie. Senza per questo insistere in particolari enfasi e protagonismi sui giornali. È il mestiere dei poliziotti e dei magistrati quello di perseguire i mafiosi. Perché dovrebbero meritare titoli eccezionali piuttosto che succinte informazioni rubricate in cronaca giudiziaria?

La risposta a questa domanda la conosciamo tutti. In Italia la giustizia è diventata un affare. Anzi, tanti affari. Per chi fa giustizia. E per chi fa politica, romanzi, giornali, cinema. Di qui procedono siparietti stile quello che stiamo esaminando. Cioè le ricorrenti grida emergenziali sulla straordinaria, diuturna, impetuosa, lotta antimafiosa. Qual è la ragione ultima di questa perenne straordinarietà che in Italia, e solo in Italia (c’è più ‘ndrangheta in Germania che in Calabria, ma la Germania non ne fa letteratura Saviano da esportazione) si attribuisce alla lotta alla mafia?

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repubblica-mafia-nordRipartiamo dai titoli e paginate dei due maggiori organi dell’informazione integrata ai palazzi di Roma. Cosa ci raccontano in più di quello che un giorno sì, l’altro pure, ascoltiamo in tv o leggiamo in cronaca? Ci raccontano in più e dalla viva voce di una conferenza stampa di Palazzo (tenuta dal vertice della Direzione nazionale antimafia e dal vertice della Commissione parlamentare antimafia, con le dichiarazioni allarmate di Franco Roberti, magistrato eletto alla presidenza della DNA dalla sinistra togata; e con l’allarme di Rosy Bindi, eletta presidente della commissione parlamentare antimafia con i voti della sinistra politica), che Calabria e Sicilia (Pd) si stanno praticamente liberando dalla mafia, mentre Lombardia e Veneto (Lega-Forza Italia) si stanno praticamente seppellendo sotto la ‘ndrangheta.

Come si spiega questa tendenza a dare risalto e enfasi alla mafia al Nord? Certo, non puoi spiegarla dicendo che la mafia al Nord non esiste (l’abbiamo detto, è normale che si infiltri dove girano i soldi; ma è anche normale che la giustizia la persegua badando al sodo invece che ai riflettori della ribalta). Però puoi spiegarla se provi a capire perché il Palazzo ha interesse a drammatizzare sul Nord e a sdrammatizzare sul Sud. Puoi spiegarla se capisci l’ideologia alimentata da Roma per tenere il pelo lisciato al Sud e il contropelo al Nord.

E lo capisci tanto più oggi, che Roma ha trovato il suo Royal Baby, come lo ha chiamato Giuliano Ferrara, il quale altri non è se non il bimbo prodigio che l’Europa cercava per Palazzo Chigi dopo i pochi brillanti esercizi di curatela dell’impresa Italia che, attraverso Giorgio Napolitano, l’Europa aveva affidato al grigio Mario Monti e al lento Enrico Letta.

E a proposito di Monti. Prima di ritornare sulla mafia che affonda il Nord e la legalità che risolleva il Sud, facciamo un passo indietro e integriamo le grida “antimafia” con le grida “antiavesione”.

Durante il suo esercizio di capo del governo, Monti confessò proprio a noi di Tempi che gli europei del Nord gli avevano affidato dei “compiti”. Su tutti, riporto il testuale di Monti: «I paesi del Nord Europa, dicono: “L’Italia è un paese molto ricco, però lo Stato ha un fortissimo debito pubblico che magari richiederà domani di aiutarla a rinnovare; eppure ci sono italiani ricchi o medi che sistematicamente non pagano le tasse”. Insomma, l’evasione fiscale produce un grosso danno nella percezione del paese all’estero. Se uno pensa – e io lo penso – che l’Italia si trova in uno stato di difficoltà soprattutto a causa di questo fenomeno e che si trova da questo punto di vista in uno “stato di guerra”, allora strumenti forti possono acquistare una loro giustificazione».

Già. “Strumenti forti”. Che tradotto significò all’epoca lo scatenamento della Guardia di Finanza (con telecamere e giornalisti al seguito) per insegnare all’Italia che non si evadono neanche gli scontrini del caffè. Nessuno qui naturalmente vuole difendere chi non paga le tasse. Ma nessuno qui – e penso, nessuno in Italia – può credere sul serio alla favola che da sempre raccontano le sinistre stataliste (e chissà perché ora anche le burocrazie Ue) secondo la quale l’Italia si è impoverita a causa del “nero” e dell’evasione fiscale. Queste pratiche hanno naturalmente contribuito a peggiorare i guai italiani (anche se col “nero”, diciamo la verità, e stiamo parlando del “nero” reinvestito e circolante in Italia, questo paese ha creato lavoro, ricchezza e risparmio lungo tutta la dorsale di piccole e medie imprese che negli anni sessanta-settanta-ottanta del secolo scorso si sono sviluppate da Bolzano a Canicattì).

In realtà, le grida spagnole contro “evasione” e “lavoro nero” sono lo sporco tappetino sotto il quale si cela lo “Stato profondo”, qualcosa di ben più sporco dell’evasione e del nero. Cos’è lo “Stato profondo”? È quel complesso di poteri opachi e di apparati elefantiaci che hanno il loro centro a Roma e che hanno regalato all’Italia il record di leggi alla Bisanzio e di tassazione alla Dracula. Mancate riforme, statalismo, servizi da terzo mondo, massacro fiscale delle famiglie e delle imprese. Queste sono le principali voci dei guai italiani. Infatti, cosa ha impedito e impedisce ad oggi il taglio e la razionalizzazione della spesa pubblica? Cosa insiste su tutte le leggi di stabilità e vieta lo smantellamento dello stato assistenzial-clientelare, le liberalizzazioni nel mercato dei servizi, del lavoro, dell’istruzione, le riforme della pubblica amministrazione, la semplificazione, la scuola e l’università liberate dal monopolio e, quindi, dall’indotto statale che “mangia” il 90 per cento delle risorse? Cosa impedisce l’applicazione dei costi standard in sanità e nei servizi di pubblica utilità? Chi ha inventato il conflitto Nord-Sud per garantirsi di rimanere al centro del sistema, sempre promettendo rappresentanza al sistema industriale del Nord e sempre garantendo paternalisticamente assistenza al Sud?

Rileggere per favore Luca Ricolfi, sociologo ed economista della sinistra riformista, che ha ben riconosciuto e ben documentato in un volume (Il sacco del Nord) il cuore di tutti i problemi italiani. Roma, lo “Stato profondo”, che saccheggia il Nord per tenere in schiavitù assistenziale il Sud. Rileggere, per favore, i recentissimi dati della Cgia di Mestre, titolo: «Il Nord dà al resto del paese 100 miliardi di solidarietà all’anno». Come? Tasse escluse – senza le quali l’Italia sarebbe già Grecia – i 100 miliardi il Nord li versa in corrispettivi di residuo fiscale. «Il residuo fiscale corrisponde alla differenza tra le entrate complessive regionalizzate (fiscali e contributive) e le spese complessive regionalizzate (al netto di quelle per interessi) delle Amministrazioni pubbliche». Bene. Si osserva che tutte le Regioni del Nord a statuto ordinario presentano un saldo positivo. Ovvero versano molto di più di quanto ricevono.

«La Lombardia, ad esempio, registra un residuo fiscale annuo positivo pari a 53,9 miliardi di euro, che in valore pro capite è pari a 5.511 euro. Questo vuol dire che ogni cittadino lombardo (neonati e ultracentenari compresi) dà in solidarietà al resto del Paese oltre 5.500 euro all’anno. Il Veneto, invece, presenta un saldo positivo pari a 18,2 miliardi di euro che si traduce in 3.733 euro conferiti da ciascun residente. L’Emilia-Romagna, con un residuo di 17,8 miliardi di euro, devolve ben 4.076 euro per ciascun abitante». Eccetera. Viceversa, «tutte le regioni del sud presentano un residuo fiscale negativo: vale a dire, ricevono di più di quanto versano. La Sicilia, ad esempio, ha il peggior saldo tra tutte  le 20 Regioni d’Italia: in termini assoluti è pari a -8,9 miliardi di euro, che si traduce in un dato pro capite pari a 1.782 euro. In Calabria, invece, il residuo è pari a -4,7 miliardi di euro (-2.408 euro pro capite)». Eccetera.

Ecco, adesso prendete la conferenza stampa romana da cui siamo partiti e l’enfasi mediatica quotidiana con cui vi raccontano di un Nord corrotto e infiltrato dalla mafia. E capite perché, un po’ come la storia dell’evasione, questa giudiziaria e “de sinistra” della ‘ndrangheta che «si è presa il Nord» non è solo una favola. È una bolla ideologica. Non di un pazzo che non significa nulla. Ma di un Palazzo che teme il bypass su Roma, l’alleanza Nord-Sud, e perciò con la sua propaganda ti manda a dire: “paga Pantalone, paga, ce lo chiede l’Europa”.

@LuigiAmicone

Tags: 'ndranghetacorruzioneenrico lettaGiorgio Napolitanogiuliano ferraraguardia di finanzamafiamario monti
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