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Kadhim, l’unico sopravvissuto alla strage di Tikrit. «Isis ha sterminato 1.700 sciiti»

È il più grande massacro mai compiuto dallo Stato islamico. I soldati sciiti sono stati tutti uccisi con un colpo alla testa. Oggi che l'esercito ha riconquistato Tikrit, quel luogo è meta di pellegrinaggio

Redazione
09/05/2015 - 1:30
Esteri
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Nel giugno del 2014, lo Stato islamico ha conquistato l’importante città irachena di Tikrit e ha portato a termine il più grande massacro mai compiuto finora, sterminando circa 1.700 soldati sciiti. Li ha prelevati dalla caserma Speicher, li ha fatti marciare in fila e li ha uccisi con un colpo alla testa. Uno a uno. Tutti. Tranne Ali Hussein Kadhim.

«CREDEVO DI ESSERE MORTO». Secondo quanto riportato dal New York Times, Kadhim potrebbe essere l’unico sopravvissuto e neanche lui sa bene come: «Credevo di essere morto, e invece ero vivo». Kadhim è stato prelevato dalla caserma come tutti gli altri: «Quando abbiamo saputo che l’Isis stava per arrivare, ci siamo vestiti in abiti civili e abbiamo cercato di scappare. Ma non abbiamo fatto in tempo». Quando hanno incontrato i terroristi, sono stati rassicurati: «Ci hanno detto: “Non vogliamo uccidervi”, ma mentivano».

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TUTTI UCCISI. Hanno fatto sfilare tutti e 1.700 per la città, poi li hanno caricati su dei camion, per farli scendere sulle rive del fiume Tigri. «Ci hanno messi in fila e ci hanno uccisi tutti. Uno a uno. Io ero il quarto di una fila. Ho visto il sangue che sprizzava dalla testa del primo, del secondo, del terzo. E ho pensato: “È finita, sono morto”. Poi ho sentito lo sparo, giuro che l’ho sentito, l’uomo alla mia destra è caduto, quello alla mia sinistra pure e anch’io sono caduto. Ma ero vivo, non so dove fosse andato il proiettile».

META DI PELLEGRINAGGIO. Khadim è riuscito a sopravvivere, ad attraversare a nuoto il fiume in un punto favorevole e a tornare a casa dalla moglie e le due figlie. Sulle rive del fiume Tigri, invece, è rimasta una scia di sangue indelebile, che oggi è diventata quasi meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli sciiti. L’esercito iracheno, con l’aiuto dell’Iran e degli Stati Uniti, ha strappato la città all’Isis nell’aprile scorso e ha trovato 11 fosse comuni piene di cadaveri. Sulle sponde del fiume si affollano fedeli, mazzi di fiori, foto di soldati, madri in lacrime e anche un cartellone che ricorda gli “eroi” sciiti: il grande ayatollah Ali Al-Sistani, quello iraniano Ali Khamenei, il leader militare mandato da Teheran per riprendere Tikrit, Qassim Suleimani. Centinaia di famiglie arrivano ora in questo luogo, con viaggi organizzati e pagati dal governo, per piangere i propri cari trucidati dallo Stato islamico. Si chiedono il perché di una violenza che non è certo sconosciuta all’Iraq, dove sunniti e sciiti continuano a combattersi a vicenda, a prescindere anche dall’Isis.

Tags: IraqIsisnew york timessciitiStato Islamicosunnititikrit
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