Kadhim, l’unico sopravvissuto alla strage di Tikrit. «Isis ha sterminato 1.700 sciiti»

Di Redazione
09 Maggio 2015
È il più grande massacro mai compiuto dallo Stato islamico. I soldati sciiti sono stati tutti uccisi con un colpo alla testa. Oggi che l'esercito ha riconquistato Tikrit, quel luogo è meta di pellegrinaggio
epa04722978 Iraqis shout slogans and carry the pictures of their relatives believed to have been executed by the group calling themselves the Islamic State (IS) when they overan the Speicher base near Tikrit, during a demonstration al-Tahrir Square, Baghdad, Iraq, 27 April 2015. According to local reports dozens of Iraqis demonstrated in central Baghdad demanding the government reveals the fate of their relatives, missing and presumed killed when IS overan the base. EPA/AHMED JALIL

Nel giugno del 2014, lo Stato islamico ha conquistato l’importante città irachena di Tikrit e ha portato a termine il più grande massacro mai compiuto finora, sterminando circa 1.700 soldati sciiti. Li ha prelevati dalla caserma Speicher, li ha fatti marciare in fila e li ha uccisi con un colpo alla testa. Uno a uno. Tutti. Tranne Ali Hussein Kadhim.

«CREDEVO DI ESSERE MORTO». Secondo quanto riportato dal New York Times, Kadhim potrebbe essere l’unico sopravvissuto e neanche lui sa bene come: «Credevo di essere morto, e invece ero vivo». Kadhim è stato prelevato dalla caserma come tutti gli altri: «Quando abbiamo saputo che l’Isis stava per arrivare, ci siamo vestiti in abiti civili e abbiamo cercato di scappare. Ma non abbiamo fatto in tempo». Quando hanno incontrato i terroristi, sono stati rassicurati: «Ci hanno detto: “Non vogliamo uccidervi”, ma mentivano».

TUTTI UCCISI. Hanno fatto sfilare tutti e 1.700 per la città, poi li hanno caricati su dei camion, per farli scendere sulle rive del fiume Tigri. «Ci hanno messi in fila e ci hanno uccisi tutti. Uno a uno. Io ero il quarto di una fila. Ho visto il sangue che sprizzava dalla testa del primo, del secondo, del terzo. E ho pensato: “È finita, sono morto”. Poi ho sentito lo sparo, giuro che l’ho sentito, l’uomo alla mia destra è caduto, quello alla mia sinistra pure e anch’io sono caduto. Ma ero vivo, non so dove fosse andato il proiettile».

META DI PELLEGRINAGGIO. Khadim è riuscito a sopravvivere, ad attraversare a nuoto il fiume in un punto favorevole e a tornare a casa dalla moglie e le due figlie. Sulle rive del fiume Tigri, invece, è rimasta una scia di sangue indelebile, che oggi è diventata quasi meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli sciiti. L’esercito iracheno, con l’aiuto dell’Iran e degli Stati Uniti, ha strappato la città all’Isis nell’aprile scorso e ha trovato 11 fosse comuni piene di cadaveri. Sulle sponde del fiume si affollano fedeli, mazzi di fiori, foto di soldati, madri in lacrime e anche un cartellone che ricorda gli “eroi” sciiti: il grande ayatollah Ali Al-Sistani, quello iraniano Ali Khamenei, il leader militare mandato da Teheran per riprendere Tikrit, Qassim Suleimani. Centinaia di famiglie arrivano ora in questo luogo, con viaggi organizzati e pagati dal governo, per piangere i propri cari trucidati dallo Stato islamico. Si chiedono il perché di una violenza che non è certo sconosciuta all’Iraq, dove sunniti e sciiti continuano a combattersi a vicenda, a prescindere anche dall’Isis.

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