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Irragionevoli risarcimenti per processi irragionevolmente lunghi (grazie Renzi)

Processi più rapidi? No, il governo ha introdotto nella legge di stabilità misure intese solo a rendere difficile l’accesso agli indennizzi previsti dalla legge

Maurizio Tortorella
18/01/2016 - 12:35
Interni
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>>>ANSA/ANNO GIUDIZIARIO: NAPOLITANO, NON ESACERBARE SCONTRO

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

I radicali, grazie alla testa e alla penna di Deborah Cianfanelli, avvocato spezzino da tempo impegnato nella difesa dei diritti civili, hanno appena pubblicato uno studio che (come troppo spesso accade ai radicali) è passato in assoluto silenzio. Ed è un peccato, perché lo studio descrive come processi lenti ed errori giudiziari in Italia siano ormai divenuti parte della nostra bancarotta economica.

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Cianfanelli ha analizzato i risultati della cosiddetta “legge Pinto”, la numero 89 del 2001, varata dal governo Amato. La norma stabilisce una «corretta durata dei processi» individuandola in tre anni per il primo grado, in due anni per il secondo grado, in un anno per la Cassazione. Quattordici anni fa la norma cercò così di fare argine a migliaia di richieste di risarcimento per la lentezza dei processi penali e civili approdati presso la Corte europea dei diritti dell’uomo. I radicali stimano che il danno provocato dalla legge Pinto sui conti pubblici sia di circa un miliardo di euro l’anno, quasi il doppio di quanto calcola oggi il governo. Alla cifra vanno poi aggiunti 200 milioni circa per i risarcimenti da ingiusta detenzione, originati da altri 2 mila procedimenti l’anno. Il numero di cause basate sulla lege Pinto è in continuo aumento: i ricorsi erano 3.580 nel 2003, saliti a 49.730 nel 2010, a 53.320 nel 2011, a 52.481 nel 2012, a 45.159 nel 2013, l’ultimo anno con dati ufficiali. Se si tiene conto che la media del rimborso liquidato è di 8 mila euro, si arriva velocemente a cifre stellari.

Cosa ha deciso di fare, il governo, di fronte a questo disastro giudiziario ed economico? Forse intervenire per accelerare in qualche modo i tempi medi del processo? Macché. I radicali denunciano che anzi la legge di stabilità 2016 (all’articolo 56 del titolo IX) ha introdotto silenziosamente alcuni importanti modifiche alla legge Pinto, al solo scopo di «renderne molto difficile se non meramente eccezionale la possibilità d’accesso». Il problema è stato brutalmente risolto alla fonte, insomma: se la legge Pinto costa troppo, rendiamo più difficili gli indennizzi.

I trucchi adottati sono molto insidiosi: per avere diritto a presentare ricorso, l’imputato di un processo penale deve presentare l’istanza di accelerazione delle udienze «almeno sei mesi prima del decorso del termine ragionevole di durata». Quando il suo giudizio arriva in Cassazione, l’imputato deve fare istanza «due mesi prima dello spirare del termine di ragionevole durata». La legge stabilisce poi che è «insussistente» il pregiudizio da irragionevole durata del processo nel caso d’intervenuta prescrizione del reato.

Il braccino si accorcia
Scrive Cianfanelli: «Anziché cercare di porre in essere rimedi strutturali in grado di riportare il sistema giustizia sui binari della legalità, si cerca di aggirare l’ostacolo rendendo inaccessibile la strada al risarcimento del danno». Parole sante. Anche perché, non contento, il legislatore ha praticamente dimezzato i valori dei risarcimenti. L’ultima legge di stabilità stabilisce infatti che il giudice dovrà liquidare «una somma non inferiore a euro 400 e non superiore a euro 800 per ciascun anno, o frazione di anno superiore a sei mesi, che eccede il termine ragionevole di durata del processo». Per fare un confronto, la Corte europea dei diritti dell’uomo, che non è certo il giudice di prima istanza in materia, individua oggi il parametro dell’indennizzo in mille-millecinquecento euro per ogni anno. Giustizia italiana, mala e pidocchiosa.

@mautortorella

Foto Ansa

Tags: legge pintoMatteo Renziprocessiradicali
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