
«Non c’è Medio Oriente senza cristiani»

A quattro anni dalla sconfitta territoriale dello Stato islamico l’Iraq sta cercando lentamente di ripartire. L’economia si sta gradualmente riprendendo dal doppio shock petrolifero e pandemico del 2020, con il prodotto interno lordo che nella prima metà del 2021 è cresciuto dello 0,9 per cento su base annua, mentre l’economia non petrolifera è cresciuta di oltre il 21 per cento nel primo semestre dell’anno, secondo dati della Banca mondiale. Nonostante i numeri tutto sommato incoraggianti, permangono criticità come la mancanza di sicurezza, la disoccupazione dilagante, soprattutto tra la popolazione sfollata e una polarizzazione politica che rallenta la formazione di un governo e la ricostruzione del paese.
«Le guerre e l’Isis hanno paralizzato l’Iraq»
Parlando a Tempi, l’arcivescovo della diocesi caldea di Erbil, Bashar Warda, racconta la situazione dei cristiani in Iraq e il loro importante ruolo in un paese dove 18 anni di continue guerre e crisi hanno fortemente diviso la popolazione sia su base etnica che religiosa. Il ruolo della Chiesa in Iraq nell’attuale situazione politica e sociale è quello di rappresentare un «ponte di riconciliazione ogni volta che è possibile», afferma Warda. «Nel 2003 il paese è finito in una situazione particolarmente difficile. Molti scontri, molte guerre, l’ultima combattuta contro lo Stato islamico, hanno paralizzato il paese soprattutto dal punto di vista economico. I giovani hanno sofferto e stanno soffrendo per questa situazione», afferma il prelato.
Facendo un implicito riferimento al grande movimento di protesta nato nel 2019, l’arcivescovo afferma che «i giovani e in generale tutti gli iracheni hanno chiesto un grande cambiamento nel processo politico che è passato attraverso le elezioni del 10 ottobre».
Le elezioni e la sconfitta dell’Iran
Le votazioni del 10 ottobre scorso hanno infatti rappresentato un grande momento di prova per l’Iraq. Nonostante i problemi di sicurezza, la minaccia sempre presente dell’Isis e le tensioni palpabili tra i vari gruppi politici, soprattutto nella galassia sciita, le elezioni sono avvenute in un clima di generale calma. I risultati del voto hanno premiato con 73 seggi su 329 totali il movimento Al Sairoon del leader politico-religioso sciita Moqtada al Sadr, considerato un “nazionalista”, decretando la pesante sconfitta dei movimenti sciiti filo-iraniani che avevano dominato il paese dopo la caduta dell’Isis.
I gruppi sciiti filo-Teheran hanno rifiutato il verdetto delle votazioni, alzando la tensione e giungendo a lanciare a inizio novembre un attacco contro il premier Mustafa al Kadhimi, uomo simbolo della “rinascita” irachena e principale fautore delle elezioni. L’attentato al premier ha rappresentato il culmine delle tensioni in seguito sopite anche grazie all’intervento dell’Iran che ha richiamato all’ordine movimenti e milizie affiliate. Da novembre sono iniziate le consultazioni tra i vari blocchi politici e si prospetta un governo di larghe intese con quasi tutte le forze politiche. «Il ruolo della Chiesa per quanto riguarda il processo politico in corso in Iraq è ribadire che le negoziazioni siano pacifiche ovunque, ricordare ai politici, di qualsiasi schieramento, quanto sia importante mantenere la pace. Il ruolo della Chiesa è, quando possibile, essere un ponte per la riconciliazione», commenta monsignor Warda, secondo cui con le elezioni di ottobre l’Iraq è entrato in una «nuova era». Secondo il prelato la popolazione sta comprendendo, elezione dopo elezione, che «questa è la via da seguire».
Il lavoro incessante della Chiesa
L’Iraq è insieme al Libano, alla Siria e all’Egitto uno dei paesi del Medio Oriente in cui la comunità cristiana è ancora presente e viva. Prima della caduta di Saddam Hussein nel paese vivevano circa 1,5 milioni di cristiani, concentrati soprattutto nella Piana di Ninive. Dopo 18 anni di guerre culminate con l’occupazione del nord dell’Iraq da parte dell’Isis tra il 2014 e il 2017, la comunità si è ridotta a circa 300 mila persone, molte delle quali hanno trovato rifugio nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno. Monsignor Warda ricorda come i cristiani abbiano sofferto per rapimenti, uccisioni, attentati e marginalizzazione fin dal 2003, ma le sofferenze più gravi sono giunte durante l’occupazione dell’Isis.
A ormai quattro anni dalla sconfitta territoriale dell’Isis, la situazione appare migliorata. «Grazie a Dio molte famiglie hanno fatto ritorno in città come Mosul e nella Piana di Ninive», racconta monsignor Warda, secondo cui i cristiani devono ancora affrontare la mancanza diffusa di mezzi di sussistenza e di lavoro. «Noi stiamo incoraggiando i giovani a investire nella propria educazione, perché per noi l’educazione è un ponte per la comunità dell’Iraq». «L’educazione offre ai giovani migliori opportunità di lavoro. Per questo noi siamo molto concentrati sull’istruzione e sulla costruzione di scuole», aggiunge il prelato.
«Non ci sono più profughi cristiani»
«Grazie al sostegno della Conferenza episcopale italiana abbiamo realizzato l’Università cattolica di Erbil, che ha oggi 852 studenti. Da gennaio a oggi 215 studenti si sono iscritti a questa università», che è un luogo di «coesistenza pacifica» tra giovani di varie fedi: cristiani, musulmani e yazidi. «Ringraziamo la Cei che ha creduto in noi e ha reso possibile tutto ciò. L’8 dicembre abbiamo festeggiato il sesto anno dalla fondazione dell’Università. Nonostante la mancanza di lavoro noi, come cristiani e come Chiesa, dobbiamo spingere e incoraggiare i nostri giovani a guardare avanti indicando loro la via dell’educazione per essere ben preparati al futuro».
Come sottolinea l’arcivescovo, la vita per i cristiani e in generale per le comunità colpite dalla guerra contro lo Stato islamico resta ancora difficile. «Abbiamo ancora molti campi profughi, in cui risiedono soprattutto yazidi, ma grazie a Dio, con l’aiuto di tanti siamo riusciti a far evacuare da tutti i campi profughi la popolazione cristiana già a partire dal 2015», racconta l’arcivescovo di Erbil. «Ad oggi non ci sono cristiani nei campi profughi», prosegue l’arcivescovo, osservando come diverse migliaia di cristiani siano riusciti dopo la caduta dell’Isis a fare ritorno nelle loro abitazioni a Mosul e nella Piana di Ninive. «Tuttavia, diverse famiglie di cristiani originari di Mosul e della Piana di Ninive sono ancora impossibilitate a fare ritorno a causa della distruzione delle loro abitazioni, per timori legati alla loro sicurezza, o perché ormai si sono stabilite a Erbil o a Duhok. Qui nella mia diocesi vi sono circa 2.000 famiglie che sono rimaste nella Regione autonoma del Kurdistan», spiega il prelato.
La storica visita di papa Francesco
La storica visita di papa Francesco in Iraq, avvenuta dal 5 all’8 marzo 2021, ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta non solo per i cristiani ma per tutto l’Iraq (leggi qui il reportage di Tempi). Rispondendo a una domanda su lascito della storica visita apostolica per la Chiesa irachena, il prelato osserva: «Con la visita del Papa il mondo ha guardato all’Iraq non più come un luogo di guerre, attentati, uccisioni, rapimenti ma come a un popolo che ha accolto e dato il benvenuto ad un così importante ospite. Il significato di questa visita ha pesato su tutto l’Iraq. Per i cristiani iracheni è stata una sorta di “visita informativa” perché ha consentito a tutto l’Iraq di avere una maggiore consapevolezza rispetto alla nostra comunità e sulla storia del cristianesimo in Iraq con le sue chiese, i suoi santuari, i suoi monasteri e le persone che hanno sostenuto il paese».
Il prelato ci tiene a precisare che se in molte parti del paese i musulmani hanno una certa conoscenza dei cristiani loro concittadini, in altre zone molti non hanno coscienza della loro esistenza e del loro ruolo. «La visita del Papa è stata una grande chance per loro di conoscerci», afferma l’arcivescovo di Erbil. «Per noi cristiani ha rappresentato anche un “promemoria” di speranza, soprattutto quando il Papa nello stadio di Erbil ha detto che “la Chiesa qui è viva”. Questo ha rappresentato per noi una benedizione, ma anche una chiamata alla responsabilità: come possiamo tenere viva la Chiesa e la cristianità in questo paese?».
«Non c’è Medio Oriente senza cristiani»
La visita del Papa in Iraq ha inoltre ricordato l’importanza cruciale dei cristiani nella complessa società araba e mediorientale. «I cristiani in Medio Oriente 50 anni fa erano circa il 20 per cento. Oggi sono forse meno del 5 per cento, ma manteniamo un ruolo importante quando parliamo di educazione, salute e altri servizi. Nell’VIII e nel IX secolo i cristiani sono stati i primi a tradurre in arabo i testi dei filosofi greci», afferma l’arcivescovo di Erbil. «L’esistenza dei cristiani ha consentito la coesistenza nella regione di culture e religioni differenti. Il Medio Oriente senza cristiani sarebbe di un solo colore».
Infatti, secondo l’arcivescovo è necessario preservare questo mosaico di religioni e culture differenti nella regione. «Il Medio Oriente ha molti colori e la perdita dei cristiani comporterebbe la loro perdita. Nessuno vuole che ciò accada e nessuno è pronto per questo. Nonostante le sfide che comporta, vi è una profonda convinzione che occorra sostenere questa diversità», precisa monsignor Warda che conclude: «È importante inoltre per i cristiani essere consapevoli di avere un ruolo. Non è solo importante che gli altri credano in noi, ma noi dobbiamo credere in noi stessi».
Foto Ansa
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