
«Insensato, irrealizzabile, dannoso». Tutta Europa (e non solo) critica il Green Deal

Una cosa è certa: il maxi piano dell’Unione Europea (Fit for 55) per dare attuazione al Green Deal non è passato inosservato. All’indomani della presentazione di 13 misure «shock» per decarbonizzare l’economia europea, in pochi hanno accolto con favore la rivoluzione verde, finita sotto un vero e proprio diluvio di critiche provenienti da tutto il mondo.
«Consumatori pagano il Green Deal»
Secondo il New York Times il piano avrà «profonde conseguenze per l’occupazione e l’economia» dei Ventisette. Se alcune industrie, come quelle che producono componenti per automobili, dovranno «riconvertirsi o chiudere», altre «potrebbero delocalizzare la produzione al di fuori dell’Unione Europea» per evitare l’aumento dei costi e delle tasse. Di sicuro, a pagare la rivoluzione verde saranno le famiglie: «Questa è una verità che deve essere detta: in un modo o nell’altro, siamo noi consumatori che dovremo pagare il prezzo della trasformazione verde», riassume Akio Ito, partner della società di consulenza tedesca Roland Berger.
Se i governi e i cittadini europei sono preoccupati innanzitutto dall’estensione del sistema Ets (che prevede di pagare un prezzo per ogni tonnellata di Co2 rilasciata nell’aria) al riscaldamento domestico, che farà aumentare notevolmente i costi delle bollette, tutti i comparti industriali colpiti dalle nuove tasse sono sul piede di guerra, riporta il Financial Times.
La protesta del settore automotive
I produttori di automobili hanno protestato contro l’Ue, dal momento che le nuove regole, di fatto, impongono a partire dal 2035 di vendere solamente automobili elettriche. Il settore automotive spagnolo, il secondo più importante dopo quello tedesco, ha denunciato «il trattamento sfavorevole» riservato ai produttori di auto. Il Vda, la lobby dei costruttori tedeschi, ha denunciato i nuovi obiettivi fissati da Bruxelles come «anti-innovativi e praticamente impossibili da raggiungere».
Levata di scudi anche da parte delle compagnie aeree, già in crisi a causa del Covid-19. Il settore non solo sarà incluso nel sistema Ets, ma dovrà anche utilizzare una quota obbligatoria di costosissimo combustibile verde, per non parlare della nuova tassa sul kerosene alla quale sarà soggetto. Lufthansa ha denunciato le scelte della Commissione Europea che «ci mettono in una posizione di svantaggio rispetto ai nostri competitor».
Compagnie aeree sul piede di guerra
Per il presidente di Iata, l’Associazione del trasporto aereo internazionale, «è un autogol: rendendoci meno competitivi non si accelera la commercializzazione dei combustibili sostenibili». La stessa posizione è sostenuta da A4E, l’associazione delle compagnie aeree europee: le nuove tasse non faranno che aumentare i prezzi dei biglietti.
Il ragionamento è semplice: le compagnie non investiranno sulla tecnologia, perché dovranno usare quelle risorse per pagare i nuovi balzelli del Green Deal. Inoltre, a fronte del sicuro rincaro dei prezzi dei biglietti per i voli delle compagnie europee, i cittadini potrebbero affidarsi alle compagnie straniere, che non sono sottoposte agli stessi costi. In questo modo – è il fenomeno del cosiddetto “carbon leakage” – il rischio è che non ci sia nessun vantaggio per l’ambiente. Solo più tasse.
«Chi vuole uno shock economico?»
Il sistema Ets si estenderà però anche all’industria pesante, soprattutto ai produttori di cemento, acciaio, fertilizzanti e alluminio. Il vicepresidente di Holcim, uno dei più grandi produttori di cemento in Europa, è trasecolato: «Chi vorrebbe uno shock economico che nessun settore industriale può sopportare?».
Anche i produttori di acciaio hanno lanciato l’allarme: se aumentano i costi, non potremo spendere in innovazione.
L’Australia attacca il Green Deal
Le proteste però non arrivano solo dall’interno dell’Ue. Anche i paesi esteri si sono subito rivoltati contro la Commissione Europea, a causa del Cbam, la tassa sul carbonio alla frontiera che sarà introdotta perché tutti, non solo le aziende europee, paghino la rivoluzione verde. Secondo il ministro del Commercio australiano, Dan Tehan, «studieremo bene la misura. L’ultima cosa di cui al mondo ha bisogno ora è di politiche ultraprotezioniste».
Spiega il ministro:
«L’Unione Europea vuole imporre unilateralmente la sua visione e il suo modo di fare agli altri paesi. Una simile tassa mina alla radice la cooperazione globale sulla riduzione delle emissioni. E non è neanche detto che raggiunga i benefici sperati per l’ambiente. Ecco perché ne discuteremo», ha aggiunto notando che il Cbam potrebbe violare le regole del Wto.
Lo scetticismo degli Stati Uniti
Se la Cina non si è ancora espressa sulle misure – che da un lato danneggiano le esportazioni del Dragone ma dall’altro rendono l’Ue dipendente da Pechino, che detiene il monopolio di tutti i minerali e materiali per realizzare la rivoluzione verde – gli Stati Uniti guardano con scetticismo all’attivismo green europeo.
Secondo il Wall Street Journal il maxi piano, definito un «Idra legislativo», è «irrealizzabile» e rappresenta dunque uno specchietto per le allodole con secondi fini. Non solo costa troppo, mette in difficoltà le aziende e prevede misure esagerate (come quella di piantare in nove anni tre miliardi di alberi), ma potrebbe essere affossato dai singoli paesi membri, che lo discuteranno nei prossimi mesi.
«Perché allora fare una proposta così insensata? Non sottostimate fino a che punto i burocrati Ue credono davvero nella decarbonizzazione. Ma non sottostimate nemmeno spiegazioni più ciniche. Bruxelles spera di spingere l’amministrazione Biden a infliggere gli stessi costi esorbitanti all’economia americana. L’obiettivo è costringere Washington ad agire. Questa è una trappola per gli incauti. L’annuncio di Bruxelles dimostra che i burocrati sono felici di parlare di aria fritta condita da nuovi costi limatici, ma non che essi saranno in grado di implementarli».
Foto Ansa
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