Il Signore degli Anelli. Storia editoriale di un capolavoro
Da quasi un mese si è chiusa la mostra su Tolkien a Roma (bellissima). E ovviamente non si è perso tempo a criticare l’evento per ragioni politiche. Ne aveva parlato qualche mese Annalisa Teggi su queste colonne. D’altronde, si sa, l’occasione fa l’uomo ladro. E in Italia non si perde occasione per dimostrare la propria insipienza ideologica. John R.R. Tolkien (1892-1973) ha dato vita a un capolavoro. Può piacere o non piacere, non è questo il punto. Il problema si verifica quando i paraocchi ideologici coprono la realtà e rendono pertanto opaca, per non dire ottusa, la sua lettura.
D’altronde è stato un intellettuale davvero particolare come Elémire Zolla a scrivere nell’introduzione del volume che ciò di cui parla la fiaba di Tolkien, come tutte le fiabe, sono «cose permanenti: non di lampadine elettriche, ma di fulmini». Si tratta dei grandi temi che accompagnano l’uomo dalla sua creazione e, in definitiva, della lotta eterna tra il Bene e il Male. Se così stanno le cose, dal libro si possono carpire grandi insegnamenti. Insegnamenti che possono essere tesaurizzati e calati persino nella realtà quotidiana. Dopo tutto cos’è un classico se non qualcosa che parla a tutti e a tutte le epoche?
Una pubblicazione accidentata
Bene dunque che sia arrivato in Italia questo capolavoro, sebbene con qualche difficoltà. Ne parla Velania La Mendola in un libro: Tolkien e Il Signore degli Anelli. Storia editoriale di un capolavoro (Luni Editrice). In realtà, il volume, data la mole complessiva della saga, incontrò qualche iniziale difficoltà anche in lingua originale. Il filologo e linguista britannico, infatti, ne voleva la pubblicazione in volume unico. Ma, come chiunque sa avendolo in casa, si parla di un’opera che supera e di un po’ le mille pagine. Forse addirittura sconsolato, Tolkien dovette accettarne l’iniziale pubblicazione separata, soprattutto per motivi economici addotti dall’editore Allen & Unwin. In tal modo, tra il 1954 e il 1955 la saga uscì in lingua inglese.
In Italia arrivò quasi immediatamente la proposta di farne la traduzione. Mondadori, però, per motivi certo economici, ma anche di opportunità – la difficile collocazione del testo in una collana – non se la sentì. Nel 1962 ci fu un secondo tentativo, anche questo per Mondadori e anche questa volta destinato a un sonoro diniego. Elio Vittorini lo bocciò infatti senza appello, definendo Tolkien certamente non un genio e la sua opera di scarso valore per l’attualità. Ci provò allora una piccola casa editrice, Astrolabio. La quale, tuttavia, andò incontro a un fallimento. Pubblicato, il primo volume della trilogia non ottenne il successo sperato e si dovette così bloccare il progetto.
Per nostra fortuna, le cose non finirono qui. Un editore eccentrico come Rusconi, grazie alla direzione editoriale di Alfredo Cattabiani, e l’intercessione del già citato Zolla e di Quirino Principe, decise di pubblicarlo. Questo avvenne nel lontano 1970, a cui sarebbe seguita l’edizione tascabile in tre volumi del 1974. Tolkien avrebbe trovato buona compagnia nel catalogo: Augusto Del Noce, Eric Voegelin, Simone Weil, Giuseppe Berto. A noi non rimane che trarne quella gioia sempreverde, dalla cui rilettura sempre qualcosa di nuovo e profondo si può apprendere. A patto che lo si ascolti con orecchio attento: le cose permanenti parlano a chi presta la dovuta attenzione.
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