L’ultima strega bruciata si chiama Giovanna Iurato. Stando alle intercettazioni che hanno oliato di ricino giornali e tv, l’ex prefetto dell’Aquila «rideva e fingeva commozione per le vittime del terremoto». A parte il fatto, sostiene la difesa, che quelle frasi andrebbero ascoltate, contestualizzate, e si capirebbe che sono parole amare, non divertite (non c’è nient’altro che faccia pensare a una piovra sadica), quale rilevanza ha, nel quadro di un procedimento penale, una “spiata” del genere? Zero. Anche nella peggiore delle ipotesi resterebbe una registrazione priva di rilievi penali e di nessuna pertinenza ai fini della cronaca giudiziaria. E allora a cosa serve? Serve a rendere odiosa una persona e a marchiarla di infamia agli occhi dell’opinione pubblica.
FEMMINICIDIO IN EFFIGIE. Ma lo scopo di una giustizia giusta è questo? E di un’informazione corretta è questo? Esporre alla gogna chiunque finisca con le sue telefonate in una intercettazione a strascico? E allora perché non pubblicano le volgarità e i cinismi che si sentono nelle redazioni, nei corridoi delle procure, e che si potrebbero intercettare perfino nelle conversazioni tra giornalisti e pm “rivoluzionari”? In effetti, dopo che «in Italia sono ricominciati i processi per stregoneria» (commmento della stampa americana alla sentenza dell’Aquila, annegata in 946 pagine di motivazioni, nota Pigi Battista sul Corriere della Sera del 21 gennaio, dove la giustizia italiana dice «che non sei condannato per una “non previsione” ma che sei condannato per una “non previsione”»), c’era bisogno di buttare un po’ di fumo negli occhi. E di impiccare una donna a parole rubate da una microspia. Scusate, ma non è anche questo “femminicidio”?