Anticipiamo l’editoriale in uscita sul numero di Tempi 43, in edicola da domani 27 ottobre.
Nella sua predica domenicale del 23 ottobre quel prussiano di carta che è Eugenio Scalfari ha iscritto tra i sostenitori della linea di Repubblica alcune alte porpore, capi della Chiesa universale e di quella italiana compresi. Naturalmente il nostro Hegel tascabile, pensionato miliardario da un ventennio, ha tutto il diritto di credere che lo spirito della storia si incarni dalle sue parti e nel pizzardone cattolico che tiene bordone all’egemonia altrui.
Il fatto è che negli anni qualcosa di civile e moderno, di non piagnone e di non subalterno al sultanato progressista tutto “questione morale”, corporazioni oligarchiche e Stato modello Lazio (1 miliardo di debito solo per la sanità), si è affacciato e ha prosperato proprio per il suo riformismo laico, illuminato e, al tempo stesso, cristiano. Cioè al servizio di un bene comune, pratico, per tutti. Stiamo parlando di Roberto Formigoni, governatore da tre lustri della Lombardia. Regione che nella disfatta debitoria dello Stato romano-sabaudo rappresenta l’esatto modello a cui l’Italia può e dovrebbe aspirare se con il federalismo, la sussidiarietà, una forte e libera impresa, ambisse a riconquistare in Europa il posto di efficienza e credibilità che la Lombardia (e per certi versi il Veneto) ha già.
Insieme a lui, dalla Milano dei quartieri popolari (cosa molto diversa dalla élite della cerchia dei Navigli pisapiana) è venuto Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera e anima dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà.
Di cattolici così l’Italia ha bisogno come il pane. Perché parlano ai cittadini non per “valori”, ma per fatti. Le Todi e le Assisi sarebbero aria fritta se nell’amministrazione pratica non vi fossero politici così. Perciò, meno fiori e più opere di bene. Più tessere affinché certi cattolici assumano un ruolo nazionale e meno omelie sul ruolo universale dei cattolici.