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Home Ambiente

Il nostro mais è un mostro? La battaglia degli agricoltori Fidenato e Dalla Libera per liberalizzare gli Ogm

I due coltivatori friulani raccontano la loro lunga guerra per la libertà di seminare Ogm. Combattono (leggi europee in pugno) contro la politica ideologica, l'ignoranza comune e i devastanti blitz degli ambientalisti

Emmanuele Michela
25/04/2014 - 5:00
Ambiente, Interni
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silvano-dalla-liberaIeri il Tar del Lazio ha bocciato il ricorso di Giorgio Fidenato e Silvano Dalla Libera, due coltivatori friulani, contro il decreto interministeriale che vieta la coltivazione del mais Ogm Mon810, una coltura transgenica prodotta da Monsanto e autorizzata dall’Unione Europea dal ’98. La sentenza appena pubblicata è soltanto l’ultimo atto di una battaglia giocata sul filo del diritto tra i due agricoltori e lo Stato italiano, una guerra fatta di autorizzazioni richieste e mai arrivate, semine illegali, condanne, ricorsi, sequestri e incroci con gli ambientalisti. Nel numero di Tempi che trovate in edicola in questi giorni abbiamo ricostruito la loro storia. 

A vedere il vuoto che abbraccia Vivaro, mille anime nell’ovest del Friuli, stupisce che la rivoluzione delle biotecnologie nel nostro paese si stia giocando qui. Poche case e tanti campi, qualche strada che taglia il verde nel silenzio rotto per lo più dal rombo dei trattori. Se non fosse per le macchine moderne, parrebbe di stare negli anni Cinquanta, in una scena d’autentica vita contadina: in paese si gioca a carte al circolo degli Alpini, si stappa il vino dell’amico viticoltore per accogliere l’ospite. Ma l’asfalto attorno agli appezzamenti di Giorgio Fidenato e Silvano Dalla Libera (foto a destra) è pieno di scritte fatte a spray e i muri di casa sono stati appena ritinteggiati: «È il risultato dell’ultimo blitz degli ambientalisti: sono venuti qui due settimane fa», dice a Tempi Dalla Libera. Obiettivo dei vandali, il mais transgenico Mon810 che i due coltivatori locali da diversi anni cercano di piantare nei loro campi: una coltura approvata dall’Unione Europea nel 1998, ma che in Italia è ancora vietata, incagliata negli abissi di beghe legali e battaglie green.
Un mais diffuso in tutto il mondo ormai da anni, ma non qui da noi, un paese ancora impensierito dai rischi ambientali che i suoi semi possono portare alle coltivazioni vicine. Proprio per questo la vicenda di Fidenato e Dalla Libera è un susseguirsi di richieste alle autorità e bocciature, guerre sul filo del diritto e appelli giuridici, semine bloccate, rimandate, sequestrate, sullo sfondo di un confronto sempre aspro con Greenpeace e gli ambientalisti. «Ma ormai è diventato un divertimento per me», scherza il “rivoluzionario” Fidenato, che con esuberanza e precisione ricostruisce ogni passaggio della guerra sul filo del diritto per poter seminare il mais ogm, cominciata quasi dieci anni fa, e che da un po’ di tempo raduna un migliaio di coltivatori italiani sotto il nome di Futuragra.
All’inizio si è partiti seguendo la via legale: «Chiedevamo l’autorizzazione al ministero delle Politiche agricole in rispetto del decreto legislativo 212 del 2001. Ma ci è sempre stato risposto “picche”, e senza alcuna motivazione. Così a gennaio del 2010 siamo andati al Consiglio di Stato: riceviamo un primo ok, ma ci dicono che finché non esistono le misure di coesistenza tra ogm e colture convenzionali la richiesta non poteva essere portata a termine». Dalla politica quelle risposte non arrivavano, «anzi, pochi mesi dopo è arrivato il decreto Zaia-Prestigiacomo-Fazio: la richiesta di coltivazione del mais ogm era stata respinta e il Mon810 veniva vietato». Così, se fino ad allora la via della legalità non aveva fruttato, «me ne sono fregato e ho seminato».
Hanno fatto seguito mesi tosti per Fidenato: i sequestri dell’azienda, i procedimenti penali, i decreti di condanna. Sembrava che non ci fosse uno spiraglio per uscirne, finché nel 2012 non c’è stato il caso della Pioneer Hi Bred contro lo Stato italiano: l’azienda chiedeva l’autorizzazione a coltivare gli ogm iscritti nel catalogo comune. «E la fortuna – spiega Fidenato – è stata che il Consiglio di Stato si è rivolto alla Corte di Giustizia europea. Era il 6 settembre 2012, e dal Lussemburgo hanno dato ragione alla Pioneer. È lì che si è chiarito tutto, anche per noi: il mais è già stato approvato dall’Europa, dice la sentenza. Ciò significa che ha superato tutte le barriere ambientali e di varietà. Non ci possono essere procedure di autorizzazione nazionale alla coltura del Mon810». Così quel verdetto ha sbloccato anche la posizione di Fidenato: nel 2013 la sua azienda è stata dissequestrata «e finalmente a giugno ho potuto seminare».

Bj-WUHbIUAAHdwQ_1In attesa della sentenza
Per questo, ormai, a Vivaro si divertono. Sanno di avere ragione, se non altro sul piano legale, visto che quella sentenza della Corte europea non può essere scalfita e ogni mossa giuridica fin qui prodotta dallo Stato italiano è risultata illegittima, «e questa è la vera assurdità di tutta la vicenda: lo Stato si esprime sempre nell’illegalità». Fidenato è appena tornato da Roma, dove è stato al Tar del Lazio per l’udienza definitiva contro un decreto interministeriale che lo scorso luglio aveva bloccato per altri 18 mesi la coltivazione del Mon810: «Anche quella è illegittima. E guarda caso l’udienza ce l’hanno fissata adesso, ad aprile, in periodo di semina. Ce l’avessero messa a febbraio e avessi vinto, già oggi avrei potuto seminare. Spero solo che un possibile verdetto positivo non arrivi tra sessanta giorni, altrimenti sarebbe inutile». Intanto però anche il Consiglio regionale friulano si è messo in mezzo: a fine marzo ha approvato una legge che impedisce per 12 mesi di seminare il solito mais ogm, punendo con multe anche di 50 mila euro il trasgressore: «Ma anche questa legge non ha diritto di esistere. Io ormai me ne frego, sto attendendo i sacchi in arrivo dalla Spagna per fare la mia semina. Siamo costretti a disubbidire e sperare che poi nei nostri confronti un giudice disapplichi la legge».
È così che si è strutturata l’anomalia italiana: un no tanto deciso agli ogm quanto mal formulato, sempre in contrasto con le norme europee, mai argomentato concretamente nei fatti. Ma al di là di ministeri e giudici, a fare guerra alle colture transgeniche sono anche gli ambientalisti, che ormai la strada per Vivaro la conoscono bene. L’ultima volta che hanno fatto visita a queste terre è stato il 30 marzo: un centinaio di no global dei centri sociali del nord-est e dell’Emilia si sono presentati per “punire” i due agricoltori, considerati “teste di ponte” in Italia della multinazionale biotecnologica Monsanto. Hanno calpestato i loro campi “bonificandoli” con canapa biologica, hanno imbrattato i muri esterni della casa di Dalla Libera, rovesciando un cassone di letame fuori dal suo cancello: «Erano dei professionisti», spiega l’agricoltore, che per riparare ai danni ha dovuto pagare 5 mila euro. «Sono arrivati da strade diverse con le targhe coperte, sono scesi, hanno fatto quel che dovevano fare e se ne sono andati. In 15 minuti hanno fatto tutto». La polizia non è riuscita neanche a intervenire: «Hanno anche gettato un fumogeno in casa: al piano di sopra c’era mio nipote di 16 mesi che dormiva».

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A disposizione della scienza
Azioni così da queste parti se ne vedono da ormai 4 anni: la prima Fidenato la subì nel 2010, e chi distrusse il suo campo è ancora sotto processo. Nel 2013 ci furono altri due blitz, «uno anche la notte prima della trebbiatura, a ottobre. E quello è il più divertente da raccontare: hanno imbrattato le pannocchie che avremmo dovuto raccogliere il giorno dopo. Ma si sono sbagliati, hanno dipinto quello tradizionale. Errore paradossale: la prossima volta si facciano accompagnare da un agricoltore», scherza Dalla Libera. Pure alcuni politici sono venuti qui a protestare: «I peggiori sono stati quelli del Movimento 5 Stelle del Friuli. La loro proposta è stata: “Abbandonate il mais e seminate canapa”. Allucinante che parole così vengano da chi vuole fare politica: noi non produciamo droga, gli abbiamo risposto».
Ma la storia di Fidenato e Dalla Libera è anche la vicenda di due coltivatori che, prima ancora di battersi per avere il diritto di coltivare mais ogm, il mondo del transgenico hanno voluto studiarlo. E questo nonostante l’età di entrambi. Sono stati in America, in Germania, hanno conosciuto numerosi scienziati italiani: «Dieci anni fa il nostro desiderio era prima di tutto conoscere: non potevamo parlare di ogm da ignoranti, ne tantomeno coltivarli. Ora, lasciatecelo dire, non ci batte nessuno. Coldiretti, da sempre contraria alle colture geneticamente modificate, non viene mai ai convegni se sa che siamo invitati anche noi».
E sta proprio qui uno dei punti più critici dell’Italia: la mancanza di ricerca su questo genere di colture. Dalla Libera spiega che, quando un anno fa seminò il suo campo con il Mon810, rese il terreno disponibile per gli studi, avvertì alcuni docenti e, soprattutto, la Regione Friuli: «Ritenevo che potesse essere interessante per loro poter sfruttare questa semina ai fini scientifici, valutando concretamente se c’era un certo livello di commistione coi campi vicini». Ma dalle istituzioni nessuno si è interessato, «anzi provarono pure a incastrarmi. Parlavano di una contaminazione del 10 per cento sui terreni limitrofi mentre i giornali la fecero passare come una cosa clamorosa: sembrava che il 10 per cento dei campi del Friuli fossero stati “contagiati”». Ma i dati che forniva Futuragra erano diversi, «ed erano gli stessi del Parco Tecnologico Padano. La commistione c’era solo là dove io avevo voluto che ci fosse». Spiega che nel suo campo, attorno alle file seminate ogm, aveva messo altre file di mais normale, per vedere fin dove poteva esserci una “mescolanza”. «Nelle file a un metro la commistione era del 10 per cento, ma poi calava: a 2 metri era del 3 per cento, a 7 dello 0,9, a 8 metri scompariva». Sono tutti numeri che dicono di una convivenza possibile seguendo semplici e buone prassi: «Basta scaglionare la semina del mais, differenziando tra ogm e isogenico: così si arriva alla fioritura in periodi diversi». Ma la politica a questi dati non guarda, e a chi vuole fare ricerca viene messo il bastone tra le ruote: «Emblematico il caso dei campi di sperimentazione ogm dell’Università della Tuscia, gli ultimi rimasti in Italia, dove prima era stata data l’autorizzazione a coltivare fragole, kiwi, ciliegi e olive. Poi nel 2012 sono stati distrutti, sempre con  autorizzazione del ministero e su pressione di Mario Capanna, ex leader sessantottino e ora presidente della Fondazione dei diritti genetici. 30 Food and Farm Rogue Farmeranni di ricerca sono andati perduti e ai ricercatori non hanno lasciato il tempo di raccogliere i dati».

Un risparmio vantaggioso
Viene da chiedersi dove nasca la convinzione di questi due coltivatori a non arrendersi: «È troppo vantaggioso per noi scegliere il mais ogm», dice Fidenato (foto a sinistra). «Tra resa del prodotto e mancato utilizzo di insetticidi c’è un guadagno attestato di 400 euro a ettaro, esattamente il contributo pubblico che riceviamo dall’Europa». Non è poco, specie se si pensa che il ramo a cui costantemente vengono messe in contrapposizione le colture transgeniche, il biologico, vive quasi esclusivamente di finanziamenti pubblici. «E piantiamola di credere che quest’ultimo sia più sano e più pulito», incalza Dalla Libera. «Lo sapete che mele e vigne, se sommiamo insetticidi e anticrittogamici, subiscono una trentina di trattamenti chimici? E guarda caso di anno in anno nei nostri cieli ci sono sempre meno rondini. Invece, qui sul mio campo è venuto poco tempo fa l’entomologo: ha trovato tutti i tipi di insetti. Tranne la piralide, che è appunto il lepidottero che rende il mais inutilizzabile e per il quale il Mon810 è protetto». Quando sono stati invitati i consiglieri friulani a vedere questi risultati, nessuno si è presentato: «Ormai si va avanti così: i politici si schierano solo dalla parte che porta più voti. In Italia si crede più alle streghe che agli scienziati».

@LeleMichela

 

Tags: anti-ogmfuturagragiorgio fidenatogreenpeacemon810ogmsilvano dalla libera
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