Il Natale “ritrovato” in mezzo al mare
Quarantasei rullini, un’isola sperduta nel Mediterraneo, un Natale di 33 anni fa. Parte da lontano la storia che porta all’esposizione Insulae aqua. Gianni Berengo Gardin e Filippo Romano, promossa dal Comune di Milano e dall’Acquario Civico con il sostegno della Fondazione Aedificante.
Tutto ha inizio tra il 24 e il 26 dicembre 1991, quando Gianni Berengo Gardin, già affermato fotoreporter e autore di centinaia di servizi in tutto il mondo, mise piede per la prima volta sull’isola di Linosa, 5 km quadrati a un’ora di traghetto da Lampedusa, equidistante (160 km) dalla Sicilia e dalla Tunisia. Il fotografo era al seguito del giornalista Davide Mengacci, recatosi in paese per girare Scena di Natale sull’isola di Linosa. Il noto conduttore televisivo intendeva documentare con un cortometraggio il presepe vivente messo in scena ogni anno dopo la Messa di mezzanotte dagli abitanti.
«La più lontana isola della madrepatria»
A richiamare Mengacci era stato padre Onofrio Scifo, missionario per diciassette anni in Brasile e poi per oltre quindici parroco sull’isola. Il sacerdote, dopo che il giornalista sei mesi prima aveva girato proprio lì una puntata del programma Scene di un matrimonio, lo convinse a tornare per trascorrere il 25 dicembre in mezzo al Mediterraneo. Nell’esposizione l’indimenticato padre Scifo si vede ritratto più volte, mentre regge la sua amata fisarmonica, travestito da Babbo Natale per le vie del paese e accanto alla sua Vespa intento a salutare festante la nave della Siremar in partenza, nella foto che è divenuta la locandina della mostra.
Berengo Gardin, oggi 94enne, nelle pagine dei suoi quaderni dell’epoca riportate nel catalogo dell’esposizione, racconta del «Natale “povero” ma “vivente”» di Linosa, «la più piccola e la più lontana isola della madrepatria». Prima di partire il fotografo si aspettava di trovare molto più materiale per il suo obiettivo a Lampedusa, tappa iniziale del viaggio. Tornato a Milano, si ritrovò con 46 rullini del piccolo lembo di terra «dallo splendore evidente», come lui stesso riporta, e poco più di un paio di scatti della più grande tra le isole Pelagie.
Un tesoro nascosto
Al ritorno dal viaggio alcune opere furono pubblicate, ma molte, come spesso accade, rimasero custodite nell’archivio del fotografo. È un’intuizione di una isolana d’adozione, la curatrice dell’esposizione Alessandra Klimciuk, a riportare in vita questa storia di tanto tempo addietro. Capitata sull’isola molti anni fa per un matrimonio, da subito la donna rimase conquistata dal “magnetismo” di questa terra, come lei stessa racconta a Tempi. In breve ne divenne frequentatrice assidua, tanto da tornarci più e più volte anche per periodi molto lunghi.
«Per puro caso un paio di anni fa mi trovai di fronte a uno scatto di Berengo Gardin, firmato semplicemente “Sicilia, 1991” – spiega la curatrice -. Riconobbi immediatamente l’iconico cimitero di Linosa, con il mare dietro e la nave che parte dall’isola. Intuii che poteva esserci un tesoro da scoprire, quindi contattai l’autore, che si rese subito disponibile a collaborare. Ricordava ancora con emozione il calore e l’autenticità di quel Natale atipico».
Il progetto cominciò così a prendere forma. Klimciuk nel tempo ha coinvolto nell’allestimento dell’esposizione Filippo Romano, già autore di numerosi servizi a tema “isola” in tutto il mondo, che tra il 2021 e il 2024 ha realizzato un reportage fotografico di Linosa. La curatrice ha anche voluto allestire l’ultima sala in formato multimediale, proponendo la visione e l’ascolto di filmati d’epoca e canzoni tradizionali, con l’idea di una sorta di “restituzione” all’isola. Per la realizzazione della project room ha coinvolto gli stessi linosani che hanno prestato la voce ai canti o contribuito fornendo alcuni materiali tra cui foto subacquee e documenti storici.
Gli inediti di Berengo Gardin
Le opere in rigoroso bianco e nero di Berengo Gardin sono 26, di cui 24 inedite e molte vintage print. Il fotografo ferma nell’obiettivo i bambini intenti a fare la lotta per strada, i marinai mentre riparano le reti e i momenti di festeggiamento tra compaesani. Come in tutta la lunga carriera, l’autore coglie l’attimo con il suo tratto inconfondibile e con la piena cognizione dell’impatto fondamentale della fotografia sulla descrizione sociale e civile dei luoghi rappresentati.
«Mi interessava raccontare la vita del paese – ha spiegato in occasione della presentazione della mostra -; credo infatti che queste foto assumeranno ancora più valore tra duecento anni, quando noi non ci saremo più». Ai ritratti e alle scene di quotidianità si alternano le vedute della natura incontaminata, in cui le rocce vulcaniche nero basalto contrastano con le acque chiare del Mediterraneo.
Ritratti e paesaggi «lunari»
Le 37 opere a colori di Romano, realizzate a oltre trent’anni di distanza dal collega, prediligono invece vedute frontali degli isolani. I protagonisti sono colti all’interno delle loro attività commerciali o in intensi primi piani. Anche lui propone alcuni scorci di Linosa, in cui spesso le architetture delle case colorate, i muri a secco e i luoghi di lavoro degli agricoltori contrastano con la potenza della natura strabordante dell’isola.
L’opera più emblematica dei suoi paesaggi raffigura l’approdo dei pescatori illuminato dai raggi del crepuscolo. «La terra pareva un vulcano sul punto di esplodere – spiega a Tempi l’autore -. La luce del tramonto si univa a quella indiretta di un segnalatore per le barche in prossimità del porto, colorando il suolo con un morbido riverbero di tinte arancio-violacee. Per un attimo mi è parso di stare su un altro pianeta».
Per eseguire gli scatti il fotografo ha soggiornato a lungo sull’isola, anche in periodi dell’anno in cui il paese non è frequentato dai turisti, entrando così in rapporto con numerosi linosani. «Per me è fondamentale cercare un’interlocutore nei luoghi in cui lavoro e in paese ho trovato una grande accoglienza – racconta il fotografo -. Ho scattato dando praticamente le spalle al mare. Mi sono concentrato su quanto vedevo sull’isola, cogliendo l’amore degli abitanti per la loro terra e lo splendore di alcuni scorci che paiono paesaggi “lunari”. Sono pian piano entrato nel loro mondo, fatto anche di fatica e sacrifici vivendo a otto ore di traghetto dalla Sicilia, con le conseguenti difficoltà di approvvigionamento e trasporto. Il risultato sono questi ritratti che costituiscono un archivio del tempo dell’isola degno di memoria».
La mostra è visitabile fino al 19 gennaio presso l’Acquario Civico di Milano, sito all’interno di Parco Sempione (mar-dom 10.00-17.30).
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