L’attimo eterno fermato da Giovanni Chiaramonte

Di Giuseppe Beltrame
30 Novembre 2024
Fino al 9 febbraio presso il Museo Diocesano di Milano è visitabile il suo «testamento per immagini». In mostra la «pace inquieta» dell'artista a un anno dalla scomparsa. Parla il curatore Corrado Benigni
Giovanni Chiaramonte, Corpus Christi, Texas, 1991 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Corpus Christi, Texas, 1991 © Archivi Giovanni Chiaramonte

Una linea in mezzo taglia in due le immagini, a tratti si fa storta, obliqua. È l’orizzonte, che per Giovanni Chiaramonte (Varese 1948 – Milano 2023) non è un semplice elemento della composizione, diventa il protagonista che dà una dimensione a ciò che l’uomo riesce a vedere, ma anche il luogo a cui si rivolge per capire di più, per cercare qualcosa di nuovo, per cominciare un viaggio. Non divide solo cielo e terra, ma dà equilibrio e stabilità, pone un limite, sì irraggiungibile, ma allo stesso definibile e presente.

Quel confine che si fa domanda emerge in ogni immagine della mostra “Giovanni Chiaramonte. Realismo infinito” che celebra uno dei più grandi maestri della fotografia italiana a un anno dalla sua morte. La rassegna è visitabile presso il Museo Diocesano Carlo Maria Martini a Milano fino al 9 febbraio e propone quaranta opere scattate tra il 1980 e il 2000. Diviso in tre sezioni (Italia, Europe, Americans), il percorso espositivo ripercorre i punti chiave dell’identità occidentale, partendo dalla Penisola e raggiungendo le coste statunitensi attraverso diversi paesi, tra cui Turchia, Grecia, Cuba, per comprendere il carattere e il destino della nostra civiltà. In una sezione a parte sono esposte alcune immagini contenute nel Nuovo Evangeliario Ambrosiano del 2011, all’edizione del quale il fotografo contribuì insieme ad altri artisti su indicazione del cardinale Dionigi Tettamanzi.

«La luce ha scordato i suoi impegni»

«Per Chiaramonte la fotografia era l’espressione ultima di una ricerca approfondita – spiega a Tempi Corrado Benigni, curatore della mostra -. La sua vita univa nella ricerca artistica quella spirituale e religiosa, attraverso lo studio di discipline diverse come teologia, architettura e scienza. Tutto questo per alimentare la domanda di significato che era sempre presente dentro di lui e che in qualche modo lo tormentava».

Al centro delle immagini ci sono paesaggi e vedute urbane attraversati da una luce morbida, che ferma il tempo tra le colonne dei templi greci e gli spazi sconfinati del mare oceanico. Tutto sembra cristallizzato in una pace eterea, un invito continuo al silenzio e alla contemplazione. Il vero protagonista è proprio la luce che pare «aver scordato i suoi impegni, aver scordato dove stava andando alla velocità di quasi 300 milioni di metri al secondo, per rimanere per sempre nella sua foto, senza volerlo», spiega il critico americano Teju Cole in un testo contenuto nel catalogo della mostra.

Giovanni Chiaramonte, Venezia, 2002 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Venezia, 2002 © Archivi Giovanni Chiaramonte

Un testamento per immagini

«Si tratta di un vero e proprio testamento per immagini – spiega Benigni -, che attraverso le connotazioni precise di colore si aprono alla grazia ricercata da Chiaramonte. Anche i vuoti delle composizioni assumono un significato, sono spazi metafisici che invitano l’osservatore a un’esplorazione esistenziale e spirituale».

Il fotografo scatta seguendo linee geometriche definite, ottenendo così disposizioni in cui le ombre oblique di alberi e colonne si incrociano con costruzioni verticali di fari e palazzi. La luce del sole irrompe continuamente, delineando le forme delle costruzioni e degli elementi naturali. A Gerusalemme da uno spioncino aperto Chiaramonte ferma nell’obiettivo un raggio che cade sul pavimento, illuminando la stanza tutt’intorno. In un’immagine di un colonnato berlinese la luce arriva da destra e taglia in due il portico dividendo a metà la scena, da una parte lo scuro dell’ombra e dall’altra i colori accesi degli alberi e del parcheggio sullo sfondo.

Giovanni Chiaramonte, Gerusalemme, 1988 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Gerusalemme, 1988 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Berlino, 1990 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Berlino, 1990 © Archivi Giovanni Chiaramonte

«La fotografia la fai nel tempo in cui vivi»

Chiaramonte è stato anche un grande teorico della fotografia, avendo scritto numerosi testi e libri sull’argomento. Negli anni ha insegnato Storia e Teoria della Fotografia allo IULM di Milano, alla Facoltà di Architettura di Palermo e al Master di “Forma” a Milano, oltre ad aver fondato e diretto diverse collane tra gli altri per Jaca Book, Edizioni della Meridiana e Ultreya. In un’intervista spiegò così la nascita della sua idea artistica:

Decisi di non fare reportage, del resto per fare il fotoreporter devi essere convinto che quel tipo di fotografia sia in grado di comunicare il destino dell’uomo nel mondo, mentre questa era la certezza che proprio io non avevo. Mi accorgevo che la vita veniva definita non da attimi straordinari, ma dalla monotonia di un tempo sempre uguale, fatto degli spazi della periferia, della logica dell’industria e della macchina. Cominciai a intuire che la fotografia la fai nel tempo in cui vivi.

Giovanni Chiaramonte, Milano, 1999 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Milano, 1999 © Archivi Giovanni Chiaramonte

L’uomo e la domanda

Tra gli scatti esposti si intravede anche l’uomo. Piccolo, ma non schiacciato dall’immensità, è presente nella composizione a volte al centro, altre sullo sfondo. Chiaramonte non se ne dimentica, ma lo inserisce in un mistero più grande, che traspare nei due innamorati tra le rovine di Atene, tra i bambini che corrono sui terrosi campi da calcio di Istanbul e nella coppia di fronte al mare in compagnia di tre cani. Lo stesso spettatore è sovrastato dalla grandezza che non può contenere e di fronte alla quale si sente infinitesimo, desideroso di rispondere a una domanda che si apre come uno squarcio prepotente. Chi può riempire quei vuoti? Chi c’è dietro quest’immenso?

Del resto rimane la sensazione che il fotografo, scattando, instauri un continuo dialogo con Dio, come se attraverso le foto chiedesse continuamente “perché sono qui?”. E nel suo domandare colmo di attesa ci presenta questa pace, frutto della sua riflessione e inquietudine. Quasi cercasse di fermare per un attimo nell’obiettivo la domanda all’Eterno.

Giovanni Chiaramonte, Lisbona, 1996 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, Lisbona, 1996 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, La Brea, Trinidad e Tobago, 2003 © Archivi Giovanni Chiaramonte
Giovanni Chiaramonte, La Brea, Trinidad e Tobago, 2003 © Archivi Giovanni Chiaramonte
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