Elio Ciol, il fotografo del Creato
Un’anziana signora seduta, segnata dalle rughe, si gira e sembra cercare qualcuno con lo sguardo. La luce invade la scena in obliquo tra gli intarsi della panca e il dipinto di sant’Antonio appena dietro. Un piede della donna dondola impaziente, mentre l’altro è scalzo, la pantofola abbandonata vicino, e la sua mano sgrana un rosario. È intitolata In attesa una delle prime immagini che “aspetta” il visitatore nell’esposizione fotografica Elio Ciol. Orizzonti di luce.
Scattata nella chiesa di San Giovanni di Casarsa, a pochi chilometri dalla casa del fotografo friulano, è una delle oltre cento foto in bianco e nero esposte fino a dicembre negli spazi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano tra scalone d’onore, cappella di San Francesco, sala di lettura della biblioteca centrale e ambulacri del primo piano del chiostro dorico. «Ho catturato il momento in cui avevano appena aperto la porta in fondo alla chiesa e la donna si era girata di scatto, – racconta l’autore in un’intervista che spiega l’opera – in quell’attimo sembra che si possa vedere tutta la sua vita, sembra che guardi l’ultima luce che le può arrivare nel viso».
La mostra a Milano in Università Cattolica
A partire da qui per il visitatore è un viaggio tra le opere di Ciol in giro per l’Italia e per il mondo, iniziando dall’amata Casarsa, dove il fotografo 95enne vive e opera tutt’ora, e giungendo ai giochi di luce dei canyon dell’Arizona, attraverso i monti dell’Armenia e i paesaggi di Libia e Terra Santa. La visita è possibile con ingresso libero dal martedì al venerdì (10-14) e il sabato mattina (10-13.30). L’esposizione è organizzata dalla fondazione Crocevia, a cura del presidente Giovanni Gazzaneo, grande amico del fotografo, e del figlio architetto Paolo che si è occupato del progetto espositivo.
«Da ottobre la mostra, che è stata allestita in diverse tappe temporali, è completa – spiega a Tempi Gazzaneo – si può finalmente apprezzare in tutto il suo valore la capacità di Elio di guardare il mondo con la purezza di sguardo di un bambino. Per tutta la vita è stato capace di mantenere quello stupore da cui è scaturita la sua arte, ha colto sempre l’essenziale, il
cuore palpitante dell’essere per offrircelo».
La ricerca dell’armonia
I paesaggi catturati da Elio Ciol sono avvolti nel mistero dei giochi di luce e delle linee geometriche che tagliano le immagini e rendono quell’armonia da sempre ricercata dall’autore. Come testimonia lui stesso:
«In natura e in arte c’è un solo imperativo categorico: l’armonia. Il senso dell’ordine, della disposizione delle cose per me è un riflesso del Dio creatore. E il senso di profonda armonia lo trovo in me e nel mondo che si apre al mio sguardo. L’atteggiamento migliore per cogliere l’armonia è l’attesa: solo così posso percepire le immagini donate ai miei occhi».
La nebbia e il Creato nelle opere di Ciol
Gli scorci ricordano gli spazi sterminati della fotografia di Sebastião Salgado, non a caso considerato un «monumento» da Ciol e spesso, come accade anche per il fotografo brasiliano, il protagonista non è solo la luce. S’instaura negli scatti un gioco con la foschia e la nebbia, di cui l’autore si serve come un vero e proprio effetto scenico. Le figure prendono forma uscendo dal nulla, in un risultato messo in risalto dal bianco e nero.
Nelle opere che restituiscono i momenti di vita quotidiana e del lavoro si intravvedono personaggi molto diversi tra loro, dai pescatori chioggiotti ai materassai partenopei, fino ai pendolari milanesi, ma sempre rimane presente l’eco di un desiderio di vivere, di stare al mondo che non abbandona mai il visitatore. «Mi sono sempre sentito piccolo rispetto al Creato – racconta Ciol – ma allo stesso tempo presente di fronte ad esso, “sentivo” le cose che scattavo».
La storia di Elio Ciol
Il suo primo maestro è stato il padre Antonio, fotografo del paese. Nel suo laboratorio ha imparato i rudimenti del mestiere, ma il suo sogno era diventare meccanico come i suoi amici d’infanzia, «capaci di risolvere ogni problema con le mani e qualche ferro». Poi l’incontro con un medico tedesco della Wehrmacht cambia le cose, quell’uomo lo fa lavorare alle sue pellicole della Leica e lui per la prima volta conosce la sua gente in modo diverso. «Così ho imparato a vedere. Tutto mi sembrava nuovo, con quella luce, con quel taglio, tutto acquistava una dignità fino ad allora ignorata».
Da qui comincia la sua opera, che per tutta la vita lo ha portato a ricercare il «vero». Il fotografo friulano è conquistato dal fascino che si insinua dappertutto e che può essere svelato dall’obiettivo della fotocamera. E così i protagonisti delle opere sono «cose semplicissime», colte nella spontaneità del quotidiano per come appaiono: Ciol non chiede mai ai protagonisti di mettersi in posa. Spesso al centro delle sue foto ci sono bambini immersi nei loro giochi, mentre si arrampicano sulle reti o giocano per strada, il capolavoro è lo sguardo complice e colmo d’affetto dei due protagonisti di Fratelli. «Osservo la gente con gli occhi del cuore – dice l’autore – e cerco di fissarla in quei momenti “particolari” e forse irripetibili che ci vengono occasionalmente e misteriosamente donati»
Negli anni ’70 il fotografo trova il grande successo della critica, a partire dallo studioso inglese sir John Pope-Hennessy che lo presenta al grande pubblico. Oggi le sue opere sono esposte nei più importanti musei internazionali (Metropolitan Museum di New York, Victoria and Albert Museum di Londra, Museo Pushkin di Mosca e Musee del Photographie di Charleroi).
Assisi, Cl e Pasolini
Un legame inscindibile unisce la storia di Ciol ad Assisi. Se per la sua esistenza il Friuli è stata la terra a cui sempre tornare, il luogo della fatica nei campi e della gente che ha conosciuto e con cui è cresciuto nel suo quotidiano, la cittadina umbra è stata il punto d’incontro tra lo Spirito e l’amore di una vita. Qui ha conosciuto la moglie Rita e scattato alcuni dei suoi capolavori raccolti nella sezione “Assisi tra cieli e terra” nella cappella di San Francesco della Cattolica. Le opere, immerse in un intimo misticismo, invitano il visitatore al silenzio e alla contemplazione. Non a caso al vederle lo storico dell’arte Alistair Crawford scriverà:
La fotografia di Elio Ciol è spirituale; la luce illumina il suo paesaggio come una fede. Essa contiene, senza vergognarsene, nozioni di bellezza. Riafferma il ruolo positivo della creatività, l’integrità del mestiere, la dignità del lavoro manuale, il bisogno di una capacità e, non da ultima, l’aspirazione dell’arte. Se consentiamo a queste immagini immacolate di influenzarci, esse possono elevarci.
La storia di Ciol è anche profondamente legata all’incontro con Comunione e Liberazione: l’autore racconta che in gioventù nell’unico anno trascorso a Milano, convinto a trasferirsi nella città meneghina da Elio Vittorini, «il mio unico sollievo ai muri che mi chiudevano era andare la domenica agli incontri di Gioventù Studentesca nella Bassa». Da qui alcune delle foto più iconiche dei primi incontri dei ragazzi di Don Giussani e dello stesso sacerdote.
Altra figura simbolica nella sua vita è quella di Pierpaolo Pasolini. Casarsa era la terra d’origine della madre del poeta e luogo a cui l’autore era legatissimo, tanto da farsi seppellire nel cimitero del paese a fianco del fratello partigiano Guido, morto a 19 anni nei fatti conseguenti all’eccidio di Porzûs. Ciol aveva conosciuto l’artista grazie all’amicizia in comune con il cugino di lui Nico Naldini, firmando alcuni dei suoi ritratti più celebri.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!