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Mio caro Malacoda, sono reduce da una lettura che mi ha fatto gioire e soffrire insieme, I nuovi barbari di Giulio Meotti. Giulio è un aretino tignoso. Dal suo famoso concittadino Pietro, «figlio di cortigiana con anima di re» non ha ereditato la licenziosità dei Sonetti lussuriosi né l’arte del «dialogo puttanesco», ma come Guido d’Arezzo ha la capacità di riconoscere uno spartito e un canone e di cantarle chiare a chi gli vuol vendere Roma per toma, come direbbero i sabaudi. E vede lungo, come quell’altro suo conterraneo focoso, Amintore Fanfani, che nel 1974 in un comizio se ne uscì così: «Votate per il divorzio, e poi magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva».
Meotti vola più alto, parla di neolingua, di gender, di razzismo, di suprematismo bianco, di cancel culture, di soppressione della libertà di parola. Ed è per questo che la lettura del suo pamphlet mi ha fatto gioire: grande è la confusione sotto il cielo e sopr...
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