Il Libano prova a uscire da una delle crisi più gravi al mondo con il miliardario Mikati
A quasi un anno dalla devastante esplosione che il 4 agosto 2020 devastò il porto e parte della città di Beirut provocando 205 morti, 7.500 feriti e un danno stimato in 15 miliardi di dollari, il Libano si trova ancora senza un governo.
Dopo nove mesi di consultazioni, il premier incaricato Saad Hariri ha gettato la spugna lo scorso 15 luglio a causa di dissidi insanabili con il presidente Michel Aoun. In una mossa che di fatto ha scontentato gran parte dell’opinione pubblica, il 26 luglio il parlamento del Libano guidato dal leader del partito sciita Amal, Nabih Berri, ha ripiegato ancora una volta su un volto ultra noto della politica libanese: il 65enne magnate delle comunicazioni e politico navigato Najib Mikati.
Proteste inascoltate
A nulla sono valse le manifestazioni di questi mesi da parte della popolazione per chiedere un premier lontano dall’élite politica e non coinvolto nell’asfissiante sistema di clientele ed equilibri politico-religiosi che dagli accordi di Ta’if del 1989 rende di fatto ingovernabile il paese. Considerato l’uomo più ricco del Libano, Mikati ha già guidato per due volte il paese in qualità di premier e nel 2019 è stato accusato di appropriazione indebita.
La nomina di Mikati, che paradossalmente proviene dalla città più povera del Libano, Tripoli, è stata colta da molti libanesi come prova che il piccolo Stato mediterraneo è incapace di riformarsi anche per salvarsi dal collasso e che i suoi politici sono totalmente insensibili alle richieste dei suoi cittadini. La nomina di Mikati è infatti la terza da quando il governo di Hassan Diab ha rassegnato in blocco le dimissioni nell’agosto del 2020 a seguito della devastante esplosione che ha distrutto il porto di Beirut. Da allora, il gabinetto di Diab ha agito solo per la gestione degli affari correnti, aggravando ulteriormente la paralisi del Libano.
La crisi più grave del mondo
Il paese dove le istituzioni si basano su un fragile equilibrio confessionale tra cristiani, musulmani sunniti e sciiti, si trova dalla fine del 2019 al centro di una crisi economica che è costantemente peggiorata e che secondo la Banca mondiale è una delle più gravi al mondo dal 1850. Nel paese dei cedri la povertà è aumentata vertiginosamente negli ultimi mesi, con gravi carenze di medicinali, carburante ed elettricità e una gestione praticamente nulla della pandemia di Covid-19, soprattutto per quanto riguarda prevenzione sanitaria, vaccini e sostegno economico alla popolazione. La lira libanese ha perso circa il 90 per cento del suo valore rispetto al dollaro, guidando l’iperinflazione.
La minacce di Francia e Ue
In un anno, e in modo particolare dopo le devastazioni del 4 agosto 2020, la comunità internazionale, guidata da Francia e Unione Europea ha offerto al Libano diverse soluzioni sia economiche che politiche, stanziando miliardi di dollari in aiuti, subordinati però all’attuazione di riforme diffuse in tutti gli aspetti della gestione economica e politica e alla nomina di un leader che consentisse allo Stato di fornire i servizi essenziali. Il rifiuto da parte di partiti e movimenti politici di raggiungere un accordo per formare un governo durante il mandato di Hariri ha spinto sia la Francia che l’Europa a minacciare sanzioni contro diversi esponenti della classe politica libanese.
Un segnale di collaborazione
Secondo diversi analisti, la scelta di Mikati rappresenta un segnale di collaborazione con la comunità internazionale, nonostante ad oggi il magnate libanese non abbia mai affrontato le accuse di corruzione, bollandole come «politiche». Dopo aver ricevuto l’incarico di formare un governo, Mikati ha dichiarato il 26 luglio in una conferenza stampa: «Da solo, non ho una bacchetta magica e non posso fare miracoli. Siamo in una situazione molto difficile e la mia è una missione difficile che può avere successo solo se lavoriamo tutti insieme».
Accuse mai arrivate a processo
Mikati ha servito come primo ministro nel 2005 e dal 2011 al 2013, quando si è dimesso al culmine della guerra civile siriana dopo un periodo di due anni in un governo dominato dal movimento sciita Hezbollah e dai suoi alleati. Il 65enne originario di Tripoli ha fondato la società di telecomunicazioni Investcom con suo fratello Taha negli anni Ottanta e l’ha venduta nel 2006 al gruppo sudafricano Mtn per 5,5 miliardi di dollari. L’accusa di corruzione è stata intentata contro di lui da un giudice nel 2019 in un caso che riguardava guadagni illeciti legati a prestiti immobiliari agevolati. Il caso non è mai andato a processo. Mikati è considerato molto vicino alla Francia, ex potenza coloniale in Libano, e anche agli Stati Uniti.
Foto Ansa
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