Il decreto dignità rischia di essere la “Waterloo del lavoro”, non del precariato
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Più che la «Waterloo del precariato» il decreto dignità ideato dal ministro Luigi Di Maio e approvato dal consiglio dei Ministri rischia di diventare una “Waterloo del lavoro”. Almeno stando alle reazioni di imprenditori dei settori più svariati.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] RIVOLTA DEGLI ARTIGIANI. Particolarmente preoccupato è Marco Accornero, segretario generale Confederazione delle libere associazioni artigiane italiane-unione artigiani di Milano e Monza. Parlando al Giornale spiega che «i rinnovi dei contratti a tempo determinato con le nuove regole e la reintroduzione delle causali diventano altamente insidiosi per le imprese sottoposte a seri e concreti rischi di aperture di contenzioso con i lavoratori». Le imprese artigiane, secondo Accornero, sono troppo piccole per affrontare il rischio di lunghi contenziosi con i dipendenti e hanno bisogno di flessibilità: «In media le nostre associate hanno tre dipendenti. Un irrigidimento dei vincoli come previsto dal decreto dignità, rappresenterebbe un laccio quasi mortale per le aziende». La conseguenza? Oltre la metà dei contratti a tempo determinato che sarebbero rinnovati dalle imprese una volta giunti a scadenza, potrebbero quindi saltare, lasciando a casa, secondo le stime di Accornero, non meno di 100 mila persone, 20 mila nella sola Lombardia.
«CI SARÀ MENO LAVORO». Agli artigiani si accoda anche Confindustria, secondo cui il dl avrà come risultato «meno lavoro, non meno precarietà». Per Sergio Dompè, presidente dell’omonimo gruppo farmaceutico, è «meglio avere un milione di posti in più che non avere più occupazione e avere gli altri più tutelati. La tutela vera oggi deve averla chi non ha un lavoro». Il presidente di Confindusitra Veneto, Matteo Zoppas, lamenta che «non siamo ancora usciti dalla crisi e vi è un numero enorme di aziende in bilico che con questo decreto avranno un cappio al collo, sarà solo questione di tempo. È un errore aumentare il costo dei contratti a termine, irrigidendo le regole, e riaccendere la spirale dei contenziosi. Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà». La soluzione, suggerisce, sarebbe semmai «la riduzione del cuneo fiscale». Come dichiarato a tempi.it da Angelo Colombini, segretario confederale della Cisl, che pure apprezza l’intento del decreto, «questo decreto va accompagnato da investimenti pubblici e privati. Per favorire assunzioni e occupazioni servono politiche attive e formazione».
VIA IL 20% DEI DIPENDENTI. La decisione poi di vietare alle case di giochi e scommesse di fare pubblicità ha fatto infuriare i club di calcio e le emittenti sportive. In particolare Michele Criscitiello, ceo di SportItalia, ha dichiarato al Tempo: «Il betting, ovviamente quello regolamentato, su Sportitalia incide per il 15% sul fatturato totale. L’idea di Di Maio alla base era buona, ovvero regolamentare il settore, ma quando uno vieta dalla sera alla mattina tutto non può mai essere un decreto apprezzato». Le conseguenze per i dipendenti dell’emittente potrebbero essere gravi: «Se passa questo decreto, almeno il 20% dei nostri dipendenti rischia il posto di lavoro, perché o vado a rubare o mi invento un nuovo fatturato, cosa che al momento non posso fare. È un problema non solo per me ma anche per il dipendente, perché se ci lamentiamo che perdiamo i posti di lavoro qualcuno dovrebbe anche spiegare che questo è un provvedimento contro l’impresa. Se lo Stato vuole fare una cosa del genere deve trovare i fondi per mantenere le emittenti».
Foto Ansa
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