
Il comunista e lo Squalo

Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da giovedì 21 aprile (vai alla pagina degli abbonamenti) – Una volta, col sigaro penzolante a mezza bocca, me lo chiese sornione: «Ma, tu, sei sicuro di essere cattolico?».
In effetti, tra i due, era lui l’esperto di preti e suore. Era la sua frase per prendere in giro il giovane collega a una scrivania di distanza, fingendo di stupirsi che il mondo a volte procedesse capovolto, su sentieri diversi da quelli battuti dai pregiudizi.
Amava i gatti e il comunismo dei buoni sentimenti, e si divertiva a molestare le mie granitiche certezze di fede. Mi piaceva quando mi disturbava coi suoi aneddoti sul Transatlantico parlamentare, dove, come regista di un teatro, sapeva far muovere e recitare le sue marionette, senza mai una punta d’acredine, senza mai un giudizio malignamente definitivo.
Forse era per questo che era diventato così amico di Vittorio Sbardella, il politico Dc, lo Squalo, l’impresentabile, il “boxer fascista”, il cui ritratto più bello, quando morì, lo scrisse lui, al tempo cronista politico dell’Unità. A lui, comunista semi-regolare, piaceva il ciellino irregolare Sbardella e quella sua frase con cui concludeva ogni aneddoto: «Aò a Ste’, so’ cattolico, mica santo».
Stefano Di Michele, giornalista del Foglio, maestro di stile e ironia, è morto il 16 aprile 2016 e io mi chiedo se mai avremo di nuovo la fortuna di leggere “pezzi” come i suoi, dove si rideva di gusto delle nostre e altrui miserie, e dove non poteva mai mancare di fiorire un moto di intelligente simpatia verso tutti i personaggi coinvolti nel grande oceano del mondo, Squali inclusi.
Foto di Stefano Di Michele in uno scatto di Francesco Billi, per gentile concessione del Foglio.
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