Il compito dell’educatore nell’epoca dell’insicurezza è proporre la verità

Di Giancarlo Cesana
15 Ottobre 2020
Qualche elemento per andare al fondo della grande emergenza che tutti denunciano, ma che nessuno si prende la briga di affrontare
Che cos'è la verità? Cristo e Pilato, dipinto di Nikolaj Nikolaevič Ge, particolare

Articolo tratto dal numero di ottobre 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Sono spesso invitato a incontri sull’educazione, credo a causa della mia collaborazione con don Giussani e del mio ruolo in Cl per oltre trent’anni. A volte, se non annoio chi ascolta, annoio me stesso, perché mi rendo conto di dire sostanzialmente le stesse cose. Però è giusto così – insistere – per almeno tre ragioni. Se mi invitano è perché vogliono sentire quello che penso, che vale per quello che è la mia esperienza e non perché è una “genialata” che si reinventa continuamente. I princìpi educativi che seguo continuano a essere incompresi e trascurati, abbandonando l’educazione allo stato di emergenza che tutti denunciano. “Ripetere”, nella sua origine latina, significa ri-domandare, ovvero verificare quanto si è capito e completarlo con gli elementi nuovi che la vita aggiunge.

Per quest’ultima ragione ho chiesto a Tempi di ospitare la stesura scritta del mio intervento su educazione e libertà, il 19 settembre scorso, al raduno annuale dell’Associazione culturale Esserci dedicato a “Il potere della libertà”. È un’altra ripetizione. Non sarà certo l’ultima.

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Oggi la libertà è fortemente invocata e pretesa come fonte di diritti “essenziali”, magari prima non riconosciuti, per la realizzazione della persona. I suoi contenuti sono generalmente posti in relazione confusa con la soddisfazione di desideri propri che non disturbino quelli degli altri. Illusione perché, se c’è una caratteristica del desiderio, è, quasi sempre, quella di interferire con i desideri altrui. Di qui le regole severissime e praticamente impossibili del politicamente corretto applicato ai rapporti dove il desiderio è più vivo – per esempio quelli sessuali che dovrebbero essere come forma distanziati e freddi, cioè il contrario di quello che sono. Allo stesso modo, le tensioni del rapporto educativo vengono svuotate di drammaticità e ridotte a psicologia, se non a neurofisiologia: meccanismo interattivo di funzioni psichiche e aree cerebrali, di volta in volta individuate e abbandonate per la loro inefficacia a risolvere i problemi. Infine, quando la vita è fragile e può disturbare, alla nascita, nelle malattie gravi, e nella vecchiaia, il problema può essere addirittura eliminato, con aborto ed eutanasia, anche senza il consenso degli interessati, nel primo caso sempre, nel secondo caso non infrequentemente. Riassumendo, la vita umana è materia biologica, non ha quel quid, l’anima, che rende ciascuno irrepetibile. E se non si crede nell’anima, di fatto nemmeno si crede nella libertà o ci si crede poco, che è lo stesso.

È vero che la libertà ha una base biologica e che si compie e si modifica nel tempo. Non è una dote, sempre e comunque disponibile al 100 per cento. La malattia, le diverse forme di dipendenza, psicologica, da sostanze e da comportamenti nocivi per sé e gli altri, riducono e ostacolano la libertà. Mi ha sempre colpito l’ipotesi di Freud, che pone l’origine delle più importanti malattie mentali, psicosi e nevrosi, nell’infanzia, quando la libertà è piccola, poco sviluppata, cedevole alle intemperie esterne. Tuttavia, la libertà, eccetto che nel coma, non è mai completamente abolita. Anche nella follia e negli stati vegetativi sussiste come fiammella tenue, che lotta per la vita, che talvolta riemerge, che sempre attende di essere accolta, attraverso espressioni magari minime di piacere di dolore. Quante volte l’inavvertenza della libertà di chi soffre è semplicemente dovuta alla trascuratezza di chi dovrebbe assistere?

Nulla è scontato nella persona

La libertà è molto più che biologia, molto più che meccanismo finalizzato alla sopravvivenza di sé e della specie. Non sono mai state scoperte le determinanti genetiche del sì, del no o di comportamenti complessi, quali a esempio l’omosessualità – come riportato dal più grande studio finora realizzato e pubblicato su Science dell’agosto 2019. La libertà è mistero – anima, abbiamo detto – che esprime la tensione di ogni persona alla verità, che dia senso definitivo a sé e al mondo. Si vede positivamente nella gratuità, nel sacrificio e nell’amore, eventi che lasciano stupiti, perché non misurabili né prevedibili in base a calcoli o antecedenti, ma che mostrano come tutto e tutti, anche dove è impossibile, possano stare insieme. All’opposto, la libertà si vede nel no, anche violento, all’evidenza, al bene per sé e per gli altri ostinatamente non riconosciuto. Nulla è scontato nella persona. Appunto, è libera.

Compito dell’educazione è sviluppare, dare potenza – potere, secondo il titolo del raduno di Esserci – alla libertà, evocandola attraverso la proposta della verità che abbiamo conosciuto come la faccia nota del mistero. Una citazione molto popolare, tratta dal Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry, dice che «l’essenziale è invisibile agli occhi», a indicare che l’essere è molto di più di ciò che appare e che «non si vede bene che con il cuore». Qualche anno fa, Carlo Simone, figlio del mio amico Antonio, mi fece leggere la sua tesi di laurea triennale, che commentava la prima frase riportata, mettendo la in di invisibile tra parentesi. È il cuore, versione biblica dell’anima, che presente il grande mistero che sta dietro le cose perché ha la stessa natura. Ma il cuore non presente irragionevolmente, perché è colpito da ciò che il mistero manifesta come segno ed espressione di sé: e certo la libertà è la principale manifestazione della tensione al vero, anche se in tanti si accorgono, ma non aderiscono.

La decisione di tutta l’esistenza

Come diceva Churchill: «A volte l’uomo inciampa nella verità, ma nella maggior parte dei casi si rialza e continua per la sua strada». Il compito dell’educatore è far comprendere i vantaggi e la convenienza della verità, che, dando senso e ragioni, rende la vita più soddisfacente. La possibilità di scegliere è certamente un aspetto importante della libertà, quando la situazione è incerta e confusa, ma la libertà piena si realizza quando si accetta un bene che viene incontro. È più libero un uomo che deve decidere quale sposare tra diverse donne, o quello che innamorato e corrisposto si unisce felice alla donna della sua vita?

«Cosa è la verità?», chiese Pilato a Gesù (Gv 18,38), nemmeno immaginando che potesse essere la persona che aveva davanti. In effetti non si può parlare di verità a prescindere da Cristo, cioè l’unico uomo che ha affermato di essere Dio, la verità. «Che il cristianesimo ti è stato annunciato significa che tu devi prendere posizione di fronte a Cristo. Egli, o il fatto che Egli esiste, o il fatto che sia esistito, è la decisione di tutta l’esistenza» (Søren Kierkegaard). Egli è misteriosamente presente nella tradizione di chi lo ha seguito e nella compagnia di chi lo segue oggi; l’incontro con lui in questa compagnia rende significativa – valevole – la vita e la difficoltà affrontabile, non come rinforzo psicologico, ma come coscienza e rapporto. Così si compiono, come certezza e speranza, le corrispondenze riscontrate nella realtà. «La verità vi farà liberi», promette il Vangelo (Gv 8,32), appunto, darà forza e potere alla libertà, «introducendo alla realtà totale», come definisce Joseph Jungmann lo scopo dell’educazione.

La necessità del giudizio

La realtà non è il regno del caos, ma il luogo dove di ogni particolare si può scoprire il significato, cioè il nesso con il tutto. Questo bisogna insegnare, o meglio mostrare, così da vincere la paura dell’ignoto, l’insicurezza di sé e degli altri, così diffuse oggi tra le popolazioni che avendo lasciato Dio per la scienza, i soldi e il piacere, si trovano abbandonate a se stesse, a una vita che sempre si ammala e muore, a una realtà che non riesce a essere amica (vedi la rubrica “Quello che siamo” nel numero precedente di Tempi).

La libertà comincia dal giudizio, dice don Luigi Giussani nel Rischio educativo (vedi ad esempio alle pagine 103-104). È con il giudizio, ricavato dal confronto con la realtà e con chi ha esperienza, che l’uomo si rende protagonista, secondo le sue possibilità, “padrone” e non schiavo di quel che succede. Il giudizio non è semplicemente un’idea, è l’espressione dell’appartenenza a una amicizia che approssima – va verso – il vero. «Via, verità e vita», dice il Vangelo (Gv 14,6). Senza via, verità e vita sono impossibili. Rendersi conto della necessità del giudizio è fondamentale, soprattutto oggi.

Mauro Grimoldi, come contributo al raduno annuale di Esserci, ha raccolto una serie di aforismi su libertà e potere; sulla copertina è riportata una citazione decisiva di Olivier Clément: «Nel suo Racconto dell’Anticristo, Vladimir Solov’ëv predisse che nel XXI secolo, “se l’enorme maggioranza di persone pensanti rimaneva per nulla credente, i pochi credenti, per necessità, diventavano tutti anche pensanti, adempiendo così alla prescrizione dell’apostolo: ‘Siate fanciulli nel cuore, ma non con la mente’”».

Dio ci ha dato il cervello per usarlo e non per farne olocausto.

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