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I tiepidi discreditano il cristianesimo. Noi portiamo l’amore. Cioè il fuoco. Parola di BXVI

È una contaminazione carnale che deve succedere. È una vita riversata nell’altro che deve accadere. Una sottolineatura e un primo commento allo strepitoso discorso di Benedetto XVI al Sinodo.

Luigi Amicone
10/10/2012 - 16:04
Chiesa
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«Il cristiano non deve essere tiepido. L’Apocalisse ci dice che questo è il più grande pericolo del cristiano: che non dica di no, ma un sì molto tiepido. Questa tiepidezza proprio discredita il cristianesimo».
Benedetto XVI ha aperto il Sinodo con un richiamo a essere quello che dobbiamo essere. Come cristiani. Come persone raggiunte dall’”evangelium” (qui il testo del discorso).

«Qui il termine «evangelium» indica una parola, un messaggio che viene dall’Imperatore. Il messaggio, quindi, dell’Imperatore – come tale – porta bene: è rinnovamento del mondo, è salvezza. Messaggio imperiale e come tale un messaggio di potenza e di potere; è un messaggio di salvezza, di rinnovamento e di salute. Il Nuovo Testamento accetta questa situazione. San Luca confronta esplicitamente l’Imperatore Augusto con il Bambino nato a Betlemme: «evangelium» – dice – sì, è una parola dell’Imperatore, del vero Imperatore del mondo. Il vero Imperatore del mondo si è fatto sentire, parla con noi».

E quali sono i due “le due colonne” della riscossa dal tiepidume che “discredita il cristianesimo” indicati dal Papa? Prima colonna: la testimonianza pubblica della fede, la confessione di ciò che ci costituisce come identità, certezza e speranza di uomini di fronte a tutti gli altri uomini. «La collocazione della “confessione” è nel cuore e nella bocca: deve stare nel profondo del cuore, ma deve essere anche pubblica; deve essere annunciata la fede portata nel cuore: non è mai solo una realtà nel cuore, ma tende ad essere comunicata, ad essere confessata realmente davanti agli occhi del mondo».

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In questo senso, sottolinea il Papa, la “Confessio”, la confessione della fede, è più che una professione: «È la vita stessa, il tesoro, la perla preziosa e infinita. Proprio nella dimensione martirologica della parola “confessio” appare la verità: si verifica solo per una realtà per cui vale la pena di soffrire, che è più forte anche della morte, e dimostra che è verità che tengo in mano, che sono più sicuro, che “porto” la mia vita perché trovo la vita in questa confessione».

Seconda “colonna”. «La “confessio” non è una cosa astratta, è “caritas”, è amore». Ma siamo al capo opposto di tutte le concezioni dell’amore che abitano i nostri pensieri e le nostre parole come riflesso dell’esperienza amorosa suggerita dal sentimento nostro e dalle figure dell’amore che ci circondano. Non è nemmeno quella roba melensa ed evanescente di cui disserta certo clericalume. Amore è carne. «È ardore, è fiamma, accende gli altri». Benedetto XVI insiste su questa seconda “colonna”. E insiste a tal punto che “amore” pare essere l’unica vera condizione per non essere “cristiani tiepidi”. E perciò, scellerati che arrecano “discredito” al cristianesimo.

Il cristiano, par di capire da papa Ratzinger, non porta una visione del mondo che rende la vita più gradevole, più consolatoria, più compassionevole, più gentile nei confronti altrui, più solidale con la gente povera o più confacente alla gente che si porta come gente onesta e perbene. No. Il cristiano porta “il fuoco”. Punto. «C’è una passione nostra che deve crescere dalla fede, che deve trasformarsi in fuoco della carità. Gesù ci ha detto: “Sono venuto per gettare fuoco alla terra e come desidererei che fosse già acceso”. Origene ci ha trasmesso una parola del Signore: “Chi è vicino a me è vicino al fuoco”».

È una contaminazione carnale che deve succedere. È una vita riversata nell’altro che deve accadere. Anzi. È fiamma che deve incendiare il mondo. Eravamo abituati a sentire che la fede è “Parola”, compulsazione delle Sacre Scritture, autocoscienza teologica, dichiarazione di fratellanza universale, buoni sentimenti, scelte per gli ultimi e per i poveri. Il Papa ci dice: «La fede deve divenire in noi fiamma dell’amore, fiamma che realmente accende il mio essere, diventa grande passione del mio essere, e così accende il prossimo. Questo è il modo dell’evangelizzazione: “Accéndat ardor proximos“, che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anche l’altro. Solo in questo accendere l’altro attraverso la fiamma della nostra carità, cresce realmente l’evangelizzazione, la presenza del Vangelo, che non è più solo parola, ma realtà vissuta».

E di nuovo insiste, il Papa, sulla metafora, anzi, sulla realtà del fuoco come carattere proprio, originale e, addirittura, culturale del cristianesimo. «San Luca ci racconta che nella Pentecoste, in questa fondazione della Chiesa da Dio, lo Spirito Santo era fuoco che ha trasformato il mondo, ma fuoco in forma di lingua, cioè fuoco che è tuttavia anche ragionevole, che è spirito, che è anche comprensione; fuoco che è unito al pensiero, alla “mens“. E proprio questo fuoco intelligente, questa “sobria ebrietas“, è caratteristico per il cristianesimo. Sappiamo che il fuoco è all’inizio della cultura umana; il fuoco è luce, è calore, è forza di trasformazione. La cultura umana comincia nel momento in cui l’uomo ha il potere di creare fuoco: con il fuoco può distruggere, ma con il fuoco può trasformare, rinnovare. Il fuoco di Dio è fuoco trasformante, fuoco di passione – certamente – che distrugge anche tanto in noi, che porta a Dio, ma fuoco soprattutto che trasforma, rinnova e crea una novità dell’uomo, che diventa luce in Dio».

È la strada. Oddio. È, in un certo (e reale) senso, anche La strada. Sì, proprio quella del romanzo di Cormac McCarthy. Poiché la personalità cristiana cui oggi ci reclama di diventare Bendetto XVI nella sua strepitosa apertura di Sinodo è la promessa che nemmeno i religiosi, religiosissimi e in gran parte clericali “discreditatori” del cristianesimo, prevarranno sulla nostra sete di juissance e fame di salvezza. Di tutta la vita intera. Nemmeno un pollice in meno. Come dice McCarthy nel suo romanzo di amore cristiano, camminando dentro la distruzione atomica che ci circonda, dentro il nichilismo di qua e il fondamentalismo di là, totalitarismi travestiti di giustizia di qua e di là, noi figli camminiamo sicuri e ardenti sotto la guida del nostro Santo Padre, il Papa, il messaggero dell’Imperatore.

«Ce la caveremo, vero, papà?
Sí. Ce la caveremo.
E non ci succederà niente di male.
Esatto.
Perché noi portiamo il fuoco.
Sí. Perché noi portiamo il fuoco».

@LuigiAmicone

Tags: Benedetto XVICormac McCarthyfedefuocola stradasinodo
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