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I soldati italiani in Libano visti da vicino

Di Giancarlo Giojelli
12 Ottobre 2024
Mettere in sicurezza il territorio, sminare i campi, costruire ponti tra i villaggi colpiti dalla guerra e il resto del mondo, favorire la rinascita di un tessuto umano. Chi sono i nostri caschi blu presi di mira dagli israeliani e che cosa fanno. Quasi sempre a mani nude
Un medico del contingente italiano dell’Unifil visita una donna a Tiro, nel Sud del Libano, 5 luglio 2024
Un medico del contingente italiano dell’Unifil visita una donna a Tiro, nel Sud del Libano, 5 luglio 2024 (foto Ansa)

La base avanzata 1-31 è a meno di duecento metri in linea d’aria dai kibbutz Hanita e Sasa. Qui è Libano, un metro più in là Israele. Tra qui e là un piccolo avvallamento dove passa la Linea Blu, la linea di demarcazione stabilita dalla convenzione internazionale che separa lo Stato ebraico dal Libano, una demarcazione accettata formalmente ma mal tollerata dalle due parti. Ci sono arrivato più di una volta con il blindato dell’esercito italiano, ho amici che abitano in quei kibbutz come ho amici che abitano nei villaggi libanesi poco distanti. Ma le case dei kibbutz, i campi coltivati, gli spazi dove giocavano i bambini, la scuola tra i giardini pieni di fiori e alberi potrebbero essere in un’altra galassia. Da qui potrei salutare Angelica, Jeuda, Cesare con un cenno della mano, ma non si può: basterebbe questo a far sospettare chi ci guarda (non lo vediamo ma c’è) che si tratti di segnali al nemico. E viceversa. In mezzo c’è la “fence”, la trincea: una strada ricoperta di sabbia fini...

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