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Il coraggio e la prudenza di Stephen Chow, il nuovo vescovo di Hong Kong

Parlando ai giornalisti, il gesuita è stato accorto e intelligente nei confronti della Cina. La sua nomina denota un cambio di atteggiamento verso il regime da parte del Papa

Leone Grotti
19/05/2021 - 14:37
Chiesa
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La prima conferenza stampa del nuovo vescovo di Hong Kong, il gesuita Stephen Chow

«Non ho paura, ma credo che la prudenza sia una virtù». È questa la dichiarazione chiave della prima conferenza stampa tenuta ieri dal nuovo vescovo di Hong Kong, Stephen Chow Sau-yan. Il superiore provinciale della provincia cinese dei gesuiti è stato nominato da papa Francesco per succedere a monsignor Michael Yeung Ming-cheung, morto nel 2019. In questi anni la diocesi era stata affidata al cardinale John Tong Hon quale amministratore apostolico.

Hong Kong nella bufera

Ci vuole coraggio per accettare la nomina a vescovo a Hong Kong, una delle diocesi più difficili e turbolente da gestire nel mondo. Dopo l’imposizione l’anno scorso della legge sulla sicurezza nazionale da parte della Cina, il modello “Un paese, due sistemi” che doveva garantire autonomia alla città fino al 2047 è stato eliminato con un colpo di spugna. Le principali libertà civili (assemblea, stampa, espressione) sono di fatto cancellate, decine di attivisti sono già stati arrestati, il movimento democratico è quasi azzerato. Ogni dichiarazione critica verso la Cina può valere un’accusa di separatismo o sedizione, reati puniti anche con l’ergastolo.

Come se non bastasse, le relazioni tra Vaticano e Cina sono molto tese. Nonostante a ottobre 2020 sia stato rinnovato per altri due anni l’accordo sino-vaticano, anche la Santa Sede si sta rendendo conto che il Partito comunista non ha nessuna intenzione di rispettare i patti e lasciare a papa Francesco l’ultima parola sulle nomine episcopali. La diocesi di Hong Kong non rientra formalmente nell’accordo, ma se la nomina del nuovo vescovo è stata rinviata così a lungo è per la sua estrema delicatezza.

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L’obbedienza a papa Francesco

Stretto nella morsa tra chi gli chiedeva un vescovo favorevole al regime comunista e chi invocava un vescovo barricadero, il Papa ha optato per una via di mezzo: non ha infatti scelto né il candidato considerato molto vicino a Pechino, padre Peter Choy, né quello giudicato troppo simpatizzante con i giovani manifestanti democratici, monsignor Joseph Ha. La decisione di Francesco di non cedere alle pressioni della Cina, in ossequio alla Ostpolitik, potrebbe rivelarsi lungimirante e indica in ogni caso una leggera correzione di rotta rispetto alla posizione troppo accomodante scelta dal Vaticano negli ultimi anni. La posizione, per intenderci, culminata nell’incredibile intervista dello scorso ottobre del segretario di Stato vaticano Pietro Parolin, che ad Avvenire arrivò a dire testualmente: «Ma quali persecuzioni in Cina! Bisogna usare le parole correttamente».

Il compito affidato a monsignor Chow è improbo e il gesuita nato il 7 agosto 1959 a Hong Kong lo sa bene. Non a caso, nella prima conferenza stampa ha dichiarato di aver rifiutato a dicembre la nomina papale. «Non mi sentivo chiamato a diventare vescovo», ha affermato. A fargli cambiare idea è stata una lettera scritta a mano in italiano dal Pontefice: «Per me è stato un segno. Alla fine, come gesuiti, dobbiamo obbedienza al Santo Padre».

Priorità all’educazione dei giovani

Monsignor Chow ha fatto capire fin da subito quali saranno le sue priorità: l’educazione dei giovani e l’unità del popolo cattolico, che a Hong Kong conta 400 mila fedeli, compresi i principali leader democratici e non della città. Negli ultimi anni, infatti, il mancato appoggio esplicito delle proteste da parte della diocesi ha alienato alla Chiesa molti fedeli. «Non è necessario essere d’accordo con i giovani», ha detto. «Ma dobbiamo comprenderli e dimostrare empatia. Questo ci permetterà di tornare a camminare insieme».

Il nuovo vescovo si è sempre occupato di educazione a Hong Kong, dove la Chiesa gestisce oltre 300 scuole. Nel 2011, quando era sacerdote, riporta AsiaNews, «monsignor Chow ha potuto sperimentare la pressione negativa di Pechino quando i gesuiti volevano far nascere un’università cattolica a Hong Kong in un ex campo militare a Fanling. L’allora capo dell’esecutivo, fortemente pro-Cina, Leung Chun-ying, ha cambiato la destinazione d’uso del terreno, e ha bloccato il progetto».

«La Cina non è un nemico»

In merito all’insegnamento della legge sulla sicurezza nazionale, che diventerà obbligatorio nelle scuole di ogni ordine e grado, monsignor Chow si è detto speranzoso che per gli studenti continuerà a esserci «spazio per il libero pensiero». Interrogato su come le scuole cattoliche introdurranno l’insegnamento, ha aggiunto che «la legge verrà discussa con gli studenti come un fatto oggettivo». Per il resto, la Chiesa continuerà a «cooperare passivamente» con il governo.

Ma il piatto forte della conferenza stampa sono state le risposte alle domande più spinose dei giornalisti riguardo alla Cina. Dopo aver saggiamente dichiarato di non considerare la Cina «un nemico», ha preferito non rilasciare commenti su alcuni temi spinosi: «Sarebbe avventato. Considero la prudenza una virtù». Ne ha dato prova rispondendo, in modo molto “gesuitico”, alla domanda sulla campagna di demolizione delle croci in Cina nel Zhejiang: «Non siamo contenti di vedere queste cose, rimuovere una croce non è una bella cosa. Ma dobbiamo anche capire le ragioni che ci sono dietro. Non conosco bene la vicenda». Ha poi detto di «non amare la parola “soppressione”», riferita alla situazione che i cattolici vivono in Cina.

«Prego per le vittime di Tienanmen»

In una precedente intervista, rilasciata prima di diventare vescovo, monsignor Chow aveva dichiarato di aver partecipato a più di una veglia del 4 giugno al Victoria Park per commemorare le vittime di Piazza Tienanmen. La veglia è stata proibita a Hong Kong per la prima volta l’anno scorso dopo 31 anni, ufficialmente per ragioni legate al Covid-19, e molti attivisti sono stati già condannati per aver violato il divieto. Alla domanda se quest’anno parteciperà alla veglia, che con ogni probabilità verrà nuovamente bandita, ha risposto: «Dipende se sarà possibile, se sarà ritenuta legale. In passato, quando non potevo partecipare, ho comunque pregato per la Cina e per le vittime del 1989».

Infine, il nuovo vescovo di Hong Kong ha parlato della fondamentale difesa della libertà religiosa, ormai a rischio in città come anche nella Cina continentale: «Bisogna riuscire a dialogare con la Cina. Per me la libertà religiosa è un diritto fondamentale. Credo che il cardinale John Tong Hon abbia già incoraggiato il governo a non dimenticare quanto sia importante la pratica della fede».

L’ordinazione episcopale di monsignor Chow avverrà soltanto il prossimo 4 dicembre. Fino ad allora le redini della diocesi continuerà a tenerle il cardinale John Tong Hon. Infatti, la provincia cinese dei gesuiti ha bisogno di tempo per trovare un sostituto.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Tags: Cinahong kongPapa Francescopartito comunista cinesepietro parolin
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