Haiti, la tomba degli innocenti

Di Caterina Giojelli
05 Dicembre 2024
I racconti dei bambini arruolati dalle bande armate, la fame, i linciaggi, la capitale isolata. «È il preludio della guerra civile»
Un bambino al Rex Theater di Port-Au-Prince, Haiti, trasformato in un centro d’accoglienza (foto Ansa)
Un bambino al Rex Theater di Port-Au-Prince, Haiti, trasformato in un centro d’accoglienza (foto Ansa)

La situazione già catastrofica di Haiti sarebbe precipitata di lì a poco, ma nel rapporto dell’8 ottobre di Human Rights Watch c’era già abbastanza: «Gabriel, il capo della gang di Brooklyn [a Cité Soleil], chiede ai suoi scagnozzi di portargli una ragazza vergine ogni mese. Con il capo che fa questo, non c’è modo di fermare gli altri che lo imitano», racconta un operatore umanitario. Quanto alle ragazze della Tibwa Gang, «le violentano, non solo il capo, chiunque, chiunque voglia, può violentarle. Servono il gruppo con il sesso, cucinando e lavando i vestiti», spiega un membro della gang, 16 anni appena.

Un suo coetaneo di Port-au-Prince ne aveva solo 14 quando si è unito alla banda Village de Dieu: «Prima vivevo con mia madre… Era davvero difficile procurarsi cibo e vestiti. A casa, non c’era cibo. Ma quando ero con [il gruppo], potevo mangiare». «Una volta, mi hanno detto di bendare qualcuno che avremmo rapito», spiega ancora un 14 enne della Tibwa Gang. «Quando mi sono rifiutato di farlo, mi hanno colpito alla testa con una mazza da baseball e hanno detto che se non l’avessi fatto, mi avrebbero ucciso».

L’inferno dei bambini di Haiti, tra fame, bande e linciaggi

L’alternativa per i ragazzini, spinti dalla fame ad “arruolarsi” nelle bande armate che controllano circa l’80 per cento della capitale Port-au-Prince, è finire massacrati da polizia, gruppi rivali, o dai movimenti di “autodifesa” dei cittadini che puntano a riprendere il controllo dei quartieri restituendo ai criminali quanto patito dalla gente inerme. Tempi vi aveva raccontato qui l’ascesa del molto celebrato movimento Bwa Kale, stesso modus operandi degli aguzzini – terrorizzare, identificare, catturare e uccidere –, un solo scopo, fare giustizia, giustizia sommaria. E tra gennaio e giugno le Nazioni Unite hanno documentato casi di esecuzioni sommarie e linciaggi anche di bambini. Sono solo numeri, i più terribili di Haiti.

Da quasi un mese Port-au-Prince è isolata: da quando le bande armate hanno assaltato un aereo, lo scorso 11 novembre, l’aeroporto è chiuso e si è interrotto anche il flusso degli aiuti umanitari. Tutti i servizi sono bloccati, si spara contro gli aerei civili in fase di atterraggio e decollo, non c’è acqua, cibo, carburante. Le ong abbandonano il paese, molte ambasciate sono state chiuse. Anche Medici senza Frontiere ha sospeso le attività e le Nazioni Unite hanno ordinato l’evacuazione di buona parte del personale dalla capitale. Si contano oltre 4.500 morti e oltre 2.000 feriti.

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L’esodo infinito, 700 mila sfollati

La scorsa settimana le forze speciali dell’Onu hanno effettuato un blitz nel covo dell’ex poliziotto Jimmy Cherizier, detto “Barbecue”, alla testa della sanguinaria coalizione delle bande armate G9 che controllano la città. Le immagini della ruspa blindata che fa irruzione nel rifugio hanno fatto il giro del mondo, ma Cherizier è riuscito a scappare. Latitante il bandito, in fuga migliaia di persone.

L’esodo dei civili è impressionante. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) calcola 700.000 sfollati. 41 mila solo dall’assalto dell’aereo a novembre. 365.000 sono minorenni e solo nelle ultime due settimane sono 21 mila i bambini che sono stati costretti a lasciare le case di Port-au-Prince a causa dell’escalation di violenza.

Jimmy Cherisier, chiamato “Barbecue”, alla testa della coalizione delle bande armate di Haiti G9
Jimmy Cherisier, chiamato “Barbecue”, alla testa della coalizione delle bande armate di Haiti G9 (foto Ansa)

«Sempre più corpi di bambini vengono rinvenuti in strada»

Russia e Cina si oppongono all’invio di una missione di peacekeeping richiesta da Haiti col sostegno degli Stati Uniti. Alle azioni della missione Multinational Security Support (Mss) a guida kenyana – solo 430 soldati, molto al di sotto delle 2.500 unità originariamente previste per la missione a presidio del consiglio presidenziale di transizione in un paese in preda al caos – i gruppi hanno infatti risposto aumentando il reclutamento di minorenni, un incremento del 70 per cento rispetto allo scorso anno. Secondo l’Unicef mezzo milione di bambini e adolescenti vivono oggi ad Haiti sotto il controllo delle gang.

Secondo altre fonti riportare da Nigrizia almeno il 30 per cento delle bande risulta oggi composto da ragazzini: «Sempre più bambini feriti, anche da armi da fuoco e con i segni della violenza sessuale, arrivano ai centri sanitari. Molti di loro cercano il rifugio e aiuto nelle chiese, temendo che se si recassero negli ospedali, potrebbero essere denunciati alla polizia, il che potrebbe causare problemi per loro e le loro famiglie. Inoltre, sempre più corpi di bambini vengono rinvenuti in strada». Da gennaio a metà settembre ne sono stati “raccolti” 105.

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«Ad Haiti siamo al preludio della guerra civile»

«Vediamo in giro sempre più adolescenti armati. E molti più bambini associati alle bande. Vengono usati per altri servizi, come fare le vedette, portare il cibo alle persone sequestrate, fare piccole commissioni, perché il bambino attira meno attenzione rispetto ad un adulto», ha spiegato Flavia Maurello, rappresentante Paese della Fondazione Avsi, in una lunga intervista al Sir in cui ha confermato la recrudescenza dei rapimenti di bambini e ragazzi. «Non c’è più un limite. Soprattutto da parte di alcuni gruppi più estremisti di altri. Il periodo di Natale è sempre stato il mese dei rapimenti perché prima delle feste servono soldi».

La preoccupazione principale è di trovarsi al preludio di una guerra civile: «Prima le bande trovavano consenso nei quartieri popolari, ora sono contro la popolazione. Stanno provando a prendere il territorio e avanzare verso la parte alta della città. Notiamo sempre di più fenomeni di auto-organizzazione di civili nelle varie comunità, che si frappongono tra l’area delle bande e l’ultima zona espugnabile di Pétionville». È qui che si trova la sede di Avsi che in tutto il paese lavora nei quartieri sviluppando progetti socioeducativi e di sviluppo nei settori salute, nutrizione, ambiente e non solo. Dai doposcuola alle cliniche mobili per mamme incinte e bambini in un paese in cui «non ci sono più luoghi sicuri, nemmeno la Chiesa è più un luogo sicuro. Ci sono tanti campanelli di allarme».

Port-au-Prince, Haiti, 19 agosto 2024 (foto Ansa)

«Ero un orfano, non avevo niente e nessuno. La gang mi ha dato un lavoro»

La stessa Conferenza episcopale ha indirizzato, lo scorso 15 novembre, al governo e alla società civile l’ennesimo appello: «Nel Paese non c’è pace», denunciano i Vescovi, e «non possiamo pensare di ottenerla seminando violenza; è necessario che tutti gli attori politici, la società civile e i gruppi armati e non armati si impegnino per risolvere questa crisi e a far cessare le violenze». «Tutti ci sentiamo minacciati», spiega l’Arcivescovo Max Leroys Mésidor, presidente della Conferenza episcopale, ad Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), che quest’anno ha fornito aiuti alla Chiesa di Haiti con quasi 70 progetti: «Da due anni stiamo operando una strategia pastorale di sopravvivenza, ma la situazione si è fatta più difficile».

Mathis F., un orfano di 14 anni, vive per strada e si prende cura del fratello di 13 anni. Agli operatori di Hrw ha spiegato: «Mi sono unito alla gang perché non avevo niente. Non sono mai andato a scuola… Ero per strada, affamato, senza un posto dove dormire, senza vestiti, niente… Il giorno in cui mi sono unito, mi hanno dato 1.150 gourdes [9 dollari Usa] e del cibo. Mi hanno portato in una casa dove vivevano altri membri della gang… Ero l’unico ragazzo lì. Due giorni dopo, sono arrivati ​​altri cinque ragazzi. La gang mi ha offerto un lavoro».

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«Resto nella gang per proteggere mia mamma e le mie sorelle dagli stupri»

I piccoli iniziano dalle “basi”, rispondendo ai compiti assegnati dai responsabili per testare la loro lealtà in cambio di soldi, cibo e riparo. Tra le nuove leve, bambini di appena dieci anni. Segue l’addestramento a maneggiare armi e munizioni, fino all’“impiego” vero e proprio negli scontri con la polizia, i gruppi rivali o i gruppi di autodifesa dei cittadini. Ricaricano i caricatori trasportano armi, vengono usati come informatori o vedette. Le ragazze di 15-17 anni vengono violentate ogni giorno e danno alla luce i “figli della gang”.

Spesso vengono consegnate dalla famiglia stessa ai criminali sotto minaccia. Michel T., entrato nella gang Gran Ravine a soli 8 anni, ha lasciato il gruppo a 13 dopo aver visto i suoi compari uccidere persone del suo quartiere. Oggi vive di stenti in mezzo alla strada. Quentin M. invece è rimasto perché ha tutto il denaro che guadagna «facendo commissioni, lavando le auto, comprando generi alimentari e trasportando armi per il gruppo va a mia madre e alle mie due sorelle più piccole, di 2 anni e 10 mesi». Ha il terrore che subiscano la stessa sorte delle ragazze violentate dalla sua banda.

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