Gilet gialli e Cina rossa spaventano gli ambientalisti verdi di tutto il mondo

Di Leone Grotti
07 Dicembre 2018
Mentre Macron si gioca il governo per introdurre tasse sul diesel e «impedire la fine del pianeta», come richiesto dai leader riuniti alla conferenza Onu sui cambiamenti climatici, Pechino continua a inquinare
A demonstrator waves the French flag onto a burning barricade on the Champs-Elysees avenue with the Arc de Triomphe in background, during a demonstration against the rise of fuel taxes, Saturday, Nov. 24, 2018 in Paris. French police fired tear gas and water cannons to disperse demonstrators in Paris Saturday, as thousands gathered in the capital and staged road blockades across the nation to vent anger against rising fuel taxes and Emmanuel Macron's presidency.(ANSA/AP Photo/Michel Euler) [CopyrightNotice: Copyright 2018 The Associated Press. All rights reserved.]

Le speranze “verdi” di tutto il mondo sono riposte in questi giorni nei leader mondiali riuniti a Katowice per il consueto appuntamento delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (Cop24). L’obiettivo, come sempre, è sconfiggere il nemico “grigio”, le emissioni di Co2, e salvare così il pianeta “blu”. Ma tra il tanto agognato obiettivo e le proposte dei convenuti in terra polacca si frappongono due ostacoli ben identificabili sulla scala cromatica: il “giallo” e il “rosso”.

I GILET GIALLI

Partiamo dal primo. Il riferimento è alla protesta dei “gilet gialli” che da tre settimane mettono a ferro e fuoco la Francia e che hanno rovinato, forse per sempre, la reputazione di un leader internazionale come Emmanuel Macron. I manifestanti si battono contro la “carbon tax”, l’aumento da 6,5 centesimi di euro al litro del diesel introdotto dal governo per combattere l’inquinamento e così «impedire la fine del mondo».

Ma come hanno efficacemente fatto notare al governo i “gilet gialli”, anche abbandonandosi a inaccettabili proteste violente, «è difficile parlare della fine del mondo quando non riusciamo ad arrivare alla fine del mese». Macron ha tenuto la barra dritta finché ha potuto, ignorando sprezzantemente la protesta come solo l’astro nascente della gauche sa fare, poi è capitolato dopo tre settimane di posti di blocco, sit in e slogan “Macron Démission” e ha annunciato che la tassa non verrà applicata nei primi sei mesi del 2019.

I gilet gialli hanno già annunciato che non si fermeranno, ma non è questo il punto. «La peggiore rivolta che si sia vista a Parigi negli ultimi decenni preoccupa gli ambientalisti di tutto il mondo», scrive il Washington Post. «Tassare i combustibili fossili è infatti proprio quello che i negoziatori climatici internazionali riuniti in Polonia vogliono proporre per rallentare il cambiamento climatico». Ma come dimostra il caso francese, non è facile far digerire alla gente l’aumento del costo dell’energia inquinante, senza offrire una buona alternativa. Proteste simili, inoltre, si sono viste anche in India, Messico e Stati Uniti.

I MANDARINI ROSSI

Detto del giallo, veniamo ora al secondo ostacolo colorato che impedirebbe l’agognata risoluzione del problema dei cambiamenti climatici: il rosso. Non sono solo le tasse in sé, infatti, ad essere particolarmente invise ai cittadini europei. Come evidenzia l’ultimo rapporto dei ricercatori del Global Carbon Project, nel 2018 le emissioni di Co2 aumenteranno del 2,7%, dopo l’aumento dell’1,6% del 2017 e dopo il positivo triennio 2014-2016.

In Unione Europea, però, le emissioni di Co2 diminuiranno dello 0,7% circa. Secondo gli ambientalisti l’Ue dovrebbe fare di più, ma il risultato non è da buttar via. Chi è responsabile allora per il 50% dell’aumento nel 2018? La Cina, le cui emissioni cresceranno di circa il 4,7% rispetto al 2017. Il secondo responsabile è l’India, dove le emissioni cresceranno del 6,3% rispetto allo sorso anno. Ci sono poi gli Stati Uniti, dove l’aumento del 2,5%, spiega il Gcp, è dovuto a un inverno particolarmente freddo e dovrebbe essere compensato da un nuovo declino nel 2019.

MORIRE PER PECHINO?

A Katowice i leader mondiali hanno buon gioco a parlare di «mondo fuori rotta», «disastro imminente», «Olocausto a fuoco lento» e a ricordare che «ci rimangono solo 20 anni per salvare il pianeta» e via catastrofizzando. L’Europa deve continuare a fare la sua parte e come nota il Gcp «l’utilizzo di carbone è in forte calo negli Stati Uniti e in Europa anche a causa del crescente ricorso alle energie rinnovabili». Ma quanto valgono questi sforzi se la Cina, per mantenere la crescita intorno al 6%, ha già annunciato per il 2019 stimoli statali da 10 mila miliardi di dollari per sostenere il settore delle costruzioni, nonostante le belle promesse fatte in ambito internazionale di ridurre le emissioni?

Sacrificarsi per «impedire la fine del mondo» è uno slogan ostico e poco efficace, come dimostra la veemente protesta dei gilet gialli. Sacrificarsi per la gloria di Pechino è semplicemente inaccettabile.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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