Rimini. Non è facile essere un imam in Francia oggi, in un periodo in cui si moltiplicano gli attentati terroristici di matrice islamica. Ancora più difficile è esserlo nei dintorni di Lione, città da cui provenivano i fratelli Kouachi, che hanno compiuto a gennaio la strage alla redazione parigina di Charlie Hebdo. Azzedine Gaci, rettore della moschea Othman di Villeurbanne, città limitrofa a Lione, lo sa e non si nasconde. Insegnante all’École Supérieure de Chimie, Physique Electronique di Lione e presidente del Consiglio regionale del culto musulmano Rhône-Alpes, ha partecipato al Meeting per dialogare con il Gran rabbino di Francia e il cardinale Jean-Louis Tauran. Gaci negli ultimi anni ha incontrato papa Francesco, è amico personale dell’arcivescovo francese Philippe Barbarin e parla di tutto senza censure. A margine del suo incontro a Rimini, ha rilasciato un’intervista a tempi.it.
Professor Gaci, perché il fenomeno della radicalizzazione è scoppiato tra i giovani francesi musulmani?
Il fenomeno della radicalizzazione e della violenza non riguarda solo i musulmani ma tutta la società. Oggi la tendenza alla radicalizzazione dei giovani, non solo francesi, riguarda tutti, non solamente l’islam.
Da dove deriva, secondo lei?
Ciò che è molto pericoloso oggi è che questa violenza tocca gli adolescenti tra i 14 e i 18 anni, quando sono ancora dei ragazzi. Noi in moschea abbiamo un problema. Facciamo l’equivalente del catechismo cattolico con ragazzi dai 6 ai 12-13 anni: insegniamo lingua araba, corano, eccetera. Dopo questa età, però, non abbiamo più niente da proporre loro. Questo è un problema perché è proprio in questo periodo della vita che si pone la questione dell’identità, del senso delle cose, di come vivere il rapporto con gli altri: tutti problemi importanti che non si possono spiegare con uno schemino sulla lavagna. Nel momento in cui i giovani hanno più bisogno di noi, noi non ci siamo.
Perché?
Perché non abbiamo né i mezzi intellettuali né quelli finanziari, avremmo bisogno di formatori perché ci sono domande per le quali non basta un libro. Abbiamo bisogno di giovani che stiano con i ragazzi, non solo sessantenni, persone che possano uscire e vivere con loro in una compagnia. Ma non abbiamo i mezzi umani. Credo che non siamo gli unici ad avere questo problema, ce l’avete anche voi cattolici. Purtroppo è proprio in questo periodo che i giovani rischiano di diventare violenti. Ci sono alcune organizzazioni che li prendono fuori dalla moschea e li radicalizzano. Questo fenomeno è anche un problema internazionale.
Il problema quindi è educativo?
Assolutamente sì: questi giovani hanno bisogno di essere educati e formati per resistere alle interpretazioni estremiste del Corano. Questo fenomeno purtroppo è reale in Francia, spesso tocca ragazzi che vivono in condizioni molto difficili e che cercano una risposta nella violenza. Ma non è certo la moschea il luogo in cui si radicalizzano e non è giusto identificare l’islam con il terrorismo.
Cosa cercano i giovani nel terrorismo?
Cercano di dare un senso alla loro vita. Oggi per educare non basta fare una lezione, non basta dire: “Questo è bene e questo è male”. Bisogna prima di tutto dare un senso alla vita, rispondere alla domanda: “Perché vale la pena vivere o fare certe cose e non altre?”. Ci sono alcuni francesi che si convertono all’islam su Facebook e poi vengono circuiti da alcune organizzazioni, senza aver mai visto un musulmano, senza aver mai messo piede in moschea. Ma bisogna anche fornire un’istruzione migliore, perché i giovani comprendano meglio il Corano e siano così armati per difendersi dalle interpretazioni estremiste. Devono essere formati dal punto di vista intellettuale per essere forti. E la terza cosa di cui i giovani hanno bisogno è una spiritualità.
Un’interpretazione distorta della laicità favorisce la radicalizzazione dei giovani in Francia?
La laicità non è un problema, anzi, è un’occasione per i musulmani. Però la laicità intesa nel suo vero significato. E cioè: libertà di coscienza, libertà di credere o di non credere, diritto anche di essere atei, libertà di espressione e libertà di culto, libertà di vivere la propria fede sempre nel rispetto della legge. Il problema non è la laicità, ma il laicismo: che ormai è una religione in Francia.
Cioè?
Parlano di neutralità dello Stato ma non è vero, la laicità come la si intende troppo spesso oggi è la negazione della neutralità, è la negazione della religione. Questo è un problema. Il laicismo è molto pericoloso, perché non dà alle religioni il giusto posto nella società e questa è una delle cause che spinge i giovani, anche musulmani, a radicalizzarsi. La laicità è una possibilità ma a patto che lasci spazio alle religioni. Deve essere possibile essere francesi e musulmani, non francesi o musulmani. Se non è così, si crea la paura: io già vedo l’islamofobia e il razzismo in Francia, basta entrare nelle banlieue.
Lei è molto impegnato nel dialogo interreligioso. Come può essere fruttuoso e non risultare solo un insieme di discorsi?
Io sono impegnato nel dialogo con le altre religioni da 15 anni. Il dialogo può aiutare a impedire la radicalizzazione, perché i terroristi non riconoscono l’altro, i cristiani e gli ebrei. Ma gli altri ti possono aiutare anche a capire la tua religione, la tua identità. Io parlo con rabbini e cardinali in tutto il mondo, come qui al Meeting. La religione può fornire un senso alla vita, io non penso che possa esistere una spiritualità laica, e il dialogo insegna a conoscere, ascoltare e rispettare l’altro.
Perché ha accettato l’invito al Meeting?
Mi piace venire a manifestazioni come questa quando posso, mi piace dialogare con i non musulmani. È importante dire a tutti i predicatori di odio: voi non riuscirete mai a dividerci, noi possiamo vivere insieme. È difficile, lo so, perché quando si dialoga si viene spesso criticati da più parti, ma dobbiamo continuare. C’erano 5 mila persone a sentirci a Rimini, raggiungere queste persone è importante.
Papa Francesco parla sempre più spesso del fenomeno della persecuzione dei cristiani. Che cosa pensa quando vede compiere questi delitti nel nome della sua religione?
Sono davvero deluso, mortificato, la persecuzione dei cristiani in Siria, Iraq e Libia è un tradimento dei testi dell’islam, perché il Corano riconosce l’altro e la diversità. Se Dio avesse voluto, avrebbe creato una sola comunità, invece ha permesso l’esistenza dei cristiani e degli ebrei, che vanno rispettati.
Perché allora è così difficile vedere applicato il rispetto delle altre religioni nei paesi arabi, come l’Arabia Saudita, dove non si possono costruire chiese?
Perché lì c’è un problema enorme di educazione, nei paesi arabi questa non è certo l’unica cosa che non funziona, ce ne sono moltissime. Il problema è anche politico: non esistono sistemi educativi, l’altro è spesso considerato un nemico. Ma non è così per l’islam, non è così secondo le parole del Profeta.
Come si spiega allora il fatto che il Corano venga usato per giustificare atti di violenza come quelli perpetrati dall’Isis?
Io sono imam, insegno il Corano. Quello che posso dire è che il testo è uno e non è quello a rappresentare il problema. Il problema è come lo si insegna e come lo si comprende: il problema è dell’uomo. Lei mi chiede perché io lo comprendo in un modo e loro in un altro: il problema è educativo.
La libertà di culto di cui godono i musulmani in Occidente non dovrebbe essere riconosciuta anche ai cristiani in Medio Oriente?
Bisogna dire che non tutti i paesi musulmani sono uguali: in Tunisia ad esempio è diverso. Persino in Qatar sono state costruite due chiese, me l’ha detto il cardinale Tauran. Però è vero: che troppo spesso i cristiani non possano praticare il loro culto nei paesi arabi è sicuramente un problema.
Foto Meeting Rimini