Franchezza evangelica e insieme tenerezza nell’accompagnamento

Di Marco Invernizzi
16 Aprile 2021
«Non basta ribadire il valore della dottrina, se non diventiamo custodi della bellezza della famiglia e non ci prendiamo cura delle sue fragilità», ricorda il Papa
Papa Francesco con due bambini
Papa Francesco con due bambini al termine della Via Crucis in piazza San Pietro, 2 aprile 2021 (foto Ansa)

Mi scrive un parroco: «Ho celebrato più di cento matrimoni negli ultimi anni: ricordo una sola coppia non convivente. L’ultimo ieri, e lei era già incinta. Ho celebrato il matrimonio di mio cugino, praticante da sempre, che mi chiama, qualche settimana prima della celebrazione, tutto contento, dicendomi che poiché desiderano molti figli hanno già iniziato, e ci sono pure riusciti. Un altro esempio “fantastico” è quello di un ragazzo che accendeva la candela alla Madonna per ringraziarla che la sera prima era riuscito a portarsi a letto una ragazza: non sto scherzando, l’ho vissuto io. Da questo si parte».

La santità del matrimonio, la bellezza della famiglia, il grande ideale della purezza e della castità devono fare i conti con la realtà, che è questa, così descritta da uno dei tanti parroci di una ex società cristiana nella quale ci si sposa sempre meno e dove nascono sempre meno figli. Proprio il 19 marzo, solennità di san Giuseppe, la Chiesa ha iniziato a celebrare l’anno della famiglia Amoris laetitia, l’esortazione apostolica post-sinodale di papa Francesco che cinque anni fa provocò divisioni e un lungo strascico di polemiche. Non sono certo io che posso dire una parola definitiva sul tema, solo il Magistero lo può fare, ma forse può essere utile riprendere il documento e rileggerlo, alla luce anche delle parole pronunciate da papa Francesco nel Messaggio dello stesso giorno in cui è cominciato l’anno dedicato alla famiglia.

«L’intenzione principale del Documento è quella di comunicare, in un tempo e in una cultura profondamente mutati, che oggi è necessario uno sguardo nuovo sulla famiglia da parte della Chiesa: non basta ribadire il valore e l’importanza della dottrina, se non diventiamo custodi della bellezza della famiglia e se non ci prendiamo cura con compassione delle sue fragilità e delle sue ferite».

Il mondo è cambiato molto e non certamente in meglio, negli ultimi decenni. Il settimanale 7 del Corriere della Sera del 19 marzo riportava un’intervista a Madame, nuova star del Festival di Sanremo, che dice: «Un giorno mi sveglio femmina e l’altro maschio». Sempre il Corriere del giorno prima ha messo in prima pagina la foto di due calciatrici svedesi lesbiche della Juventus che aspettano un figlio grazie alla fecondazione eterologa. Anche qui è considerato normale, tra un allenamento e l’altro, andare in una banca a comprare dello sperma per iniettarlo in un utero e così avere “normalmente” un figlio.

Ma questa rivoluzione non ha il fascino della trasgressione, come avveniva nel 1968. Allora si dovettero aspettare anni per capire la menzogna insita nell’ideologia rivoluzionaria, quando cominciarono i suicidi, la disperazione della dipendenza dalla droga e dal sesso, le conseguenze degli aborti e del cosiddetto “sesso senza amore”. Oggi basta guardare gli occhi di questi testimoni tristi di un mondo disperato per capire che l’eterologa non affascina, anche se viene usata, che l’incertezza sessuale produce problemi e disturbi psichiatrici, ma non libera, non eccita, non diventa lo scopo della vita: questa rivoluzione non solo porta alla disperazione, come tutte le precedenti, ma nasce nella disperazione. 

Ci vogliono i santi

Allora tocca ai cattolici, a chi ha ancora un po’ di speranza da offrire. Purché ci rendiamo conto della situazione. Per questo è stata scritta Amoris laetitia, per tenere insieme «la franchezza dell’annuncio evangelico e la tenerezza dell’accompagnamento». Tenere insieme significa non lasciarci dividere fra quelli che vogliono soltanto la franchezza, cioè la dottrina, e quelli che pensano che basti la tenerezza senza dottrina.

La partita è difficile, ci vogliono i santi. Penso a san Giovanni Paolo II, al suo straordinario Magistero sull’amore umano, in particolare le catechesi chiamate “teologia del corpo” unite alla testimonianza della sua vita. Penso a san Paolo VI, al coraggio con cui nel 1968, controcorrente, pubblicò l’Humanae vitae. Due santi che a lungo si sono contrapposti alla cultura della morte, consapevoli che non era sufficiente dire la verità, ma bisognava incarnarla dentro una vita. E non scoraggiamoci perché anche i santi non hanno raccolto in vita quanto hanno seminato: i tempi di Dio non sono i nostri.

Foto Ansa

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